Sotto il Campanile 7 Maggio 2023

Pubblicato giorno 5 maggio 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

Scarica ====> sotto il campanile 07 Maggio sito

Domenica di Pasqua
07 Maggio 2023 – Foglio n. 224
“Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14, 9)

Non è facile cogliere il senso ultimo dell’evento
pasquale. La morte e la resurrezione di Gesù
da sempre scuote le menti e turba le coscienze.
Prese di sorpresa pesino gli apostoli. Li riempì
di gioia, ma suscitò tanti interrogativi. Il capitolo
14 del Vangelo di Giovanni riporta le domande
che tre discepoli fecero a Gesù. Tommaso gli
chiese qual è la via che porta al Padre. Gesù
rispose “Io sono la via” (Gv 14, 5-7). Filippo ag-
giunse: se non riusciamo a percorrere la stes-
sa strada, mostraci il Padre! (Gv 14, 8-21). E
Gesù: “ Chi ha visto me, ha visto il Padre (Gv,
14, 9). Come se dicesse: da quando sono venuto tra voi, Dio è alla portata di tutti. Non va più cercato altrove. È qui. “Chi mi ama, sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Gv 14, 21). C‘è un intreccio d’amore sorprendente, che stupisce. Gesù e il Padre sono uno. Amandoci “fino alla fine” (Gv 13, 1), Gesù ha manifestato il volto di Dio, suscitando una scia d’amore, che percorre la storia come un fiume in piena e inarrestabile. Quando amiamo come Lui, il volto di Dio continua a risplendere.

“Ubi caritas est vera, Deus ibi est”. Così canta un antico inno. “Dove l’amore è vero, lì c’è Dio”. Quando avviene? Ci aiuta la domanda che Giuda, non l’Iscariota, rivolse a Gesù: “Come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?” (Gv 14, 22). “Se uno mi ama – rispose Gesù – , osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo di- mora presso di Lui” (Gv 14, 23-24).

L’amore è l’orizzonte ultimo nel quale si esprime ogni appartenenza. Un amore senza barriere, al di là di ogni misura, in continuo movimento, non statico, in perenne superamento, verso un oltre mai raggiungibile. Quando l’amore di Dio ci afferra, ci prende nel suo vortice, ci spinge alla follia del dono della vita. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). Non se ne può fare a meno. Dove divampa il fuoco, tutto brucia.

Nella ricorrenza del 25 aprile sono venuto a conoscenza della testimonianza di un prete milanese, che tenne accesa la luce di Dio in un momento oscuro della storia. Anni di guerra, terrore, odio, fame. Don Ferdinando Meda accolse e nascose ad Affori ebrei e giovani renitenti alla leva, ricercati e perseguitati dai nazifascisti, aiutandoli a lasciare Milano e raggiungere la Svizzera per aver salva la vita. E lo fece mettendo a rischio la sua. Di giorno a fare il prete e di notte la guida oltre il confine, fino allo sfinimento. Ospitò in Oratorio gli abitanti del quartiere, che avevano perso la casa sotto le bombe. Aprì le porte a tutti , anche a chi aveva la bestemmia facile, senza distinzioni di colori politici. Trasformò l’oratorio in un punto di riferimento della Resistenza, catalizzatore di assistenza e di aiuto, sede di un piccolo ospedale da campo. Avviò i sui giovani nei partigiani azzurri. E dopo il 25 aprile protesse i fascisti, quando la vendetta rischiava di prendere il posto della giustizia. Non aveva nemici. “Sono tutti figli di Dio, sono tutti figli miei”, diceva. Don Ferdinando fu un prete, un patriota, una persona di eccezionale grandezza. “Ribelle per amore”, rivelò la forza, la tena- cia l’ostinazione, la bellezza del volto di Dio.

Manlio Gelsomini è uno dei 335 civili, militari e prigionieri politici, trucidati a Roma il 24 marzo 1944 dalle truppe di occupazione tedesche, come rappresa- glia per l’attentato partigiano di via Rosella. Aveva 37 anni e alle spalle una vita di sportivo. Fin da ragazzo correva fortissimo, tanto da diventare velocista nelle file della “A.S. Roma” ed essere convocato dalla squadra nazionale di atletica leggera, sfiorando la partecipazione ai Giochi Olimpici. Gli piaceva studiare. Si iscrisse alla Facoltà di Medicina senza abbandonare lo sport. Nel 1928 divenne campione italiano universitario nei cento metri. Entrò a far parte del Guf (Grup- pi Universitari Fascisti), che il “Gran Consiglio del Fascismo” utilizzava come veicolo di propaganda. Praticò rugby, eccellendo anche in questa disciplina. Fu messo nella lista dei potenziali atleti per i giochi del 1932 a Los Angeles. Manlio era un giovane pieno di vita. Un leader. Viveva la sua gioventù alla gran- de. Parlava, difendeva il regime, menando anche le mani. Presto si rese conto della insostenibilità del fascismo, totalitario e repressivo. Uscì dal Guf e iniziò a esporsi criticamente. Non fu convocato per i giochi. Si concentrò sul suo percor- so accademico e sulla tesi di laurea: “La ricerca del Ph nelle urine degli epilettici”. Diventò un medico colto e generoso. Si applicò nella professione, abbuffandosi di vita. Si faceva trovare ovunque, per tutti. Quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, venne arruolato come capitano medico di complemento. Il 5 Settem- bre 1942 ruppe definitivamente col Fascismo, che emise un provvedimento di- sciplinare nei suoi confronti e lo sospese. Da quel momento cambiò tutto.
L’8 settembre del 1943 entrò nel Fronte militare clandestino della Resistenza Romana “Ruggiero Fiamma”. Si organizzò sulle montagne viterbesi con il rag- gruppamento “Monte Stella”. Denunciato da un delatore, fu arrestato dai Te- deschi e “sottoposto per 76 giorni ad inumane, indicibili torture, serbando il più assoluto silenzio circa l’organizzazione di cui faceva parte”, così recita la moti- vazione della medaglia d’oro al valor militare, assegnatagli alla memoria. Morì trucidato alle Fosse Ardeatine insieme agli altri martiri.
Gli anni del regime e della guerra furono terribili e fecondi. In Manlio vedo il mistero del Figlio dell’Uomo ripetersi nella storia. Gesù tradito da Giuda fu con- segnato ai carnefici per essere crocifisso. In quell’ora buia apparve la gloria di Dio, che non è più tramontata. Rivive in coloro che scelgono l’amore. Come “le sentinelle del mattino”, annunciano che la notte è finita e la luce nuova della re- surrezione è prossima a rischiarare il cielo dell’umanità.
don Franco Colombini