MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO – GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

Pubblicato giorno 4 ottobre 2017 - Papa Francesco

 

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
I GIORNATA MONDIALE DEI POVERI

12 Novembre 2017

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                                                Non amiamo a parole ma con i fatti

1. «Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità» (1 Gv 3,18). Queste
parole dell’apostolo Giovanni esprimono un imperativo da cui nessun cristiano può prescindere.
La serietà con cui il “discepolo amato” trasmette fino ai nostri giorni il comando di Gesù è resa
ancora più accentuata per l’opposizione che rileva tra le parole vuote che spesso sono sulla
nostra bocca e i fatti concreti con i quali siamo invece chiamati a misurarci. L’amore non ammette
alibi: chi intende amare come Gesù ha amato, deve fare proprio il suo esempio; soprattutto
quando si è chiamati ad amare i poveri. Il modo di amare del Figlio di Dio, d’altronde, è ben
conosciuto, e Giovanni lo ricorda a chiare lettere. Esso si fonda su due colonne portanti: Dio ha
amato per primo (cfr 1 Gv 4,10.19); e ha amato dando tutto sé stesso, anche la propria vita (cfr 1
Gv 3,16).
Un tale amore non può rimanere senza risposta. Pur essendo donato in maniera unilaterale,
senza richiedere cioè nulla in cambio, esso tuttavia accende talmente il cuore che chiunque si
sente portato a ricambiarlo nonostante i propri limiti e peccati. E questo è possibile se la grazia di
Dio, la sua carità misericordiosa viene accolta, per quanto possibile, nel nostro cuore, così da
muovere la nostra volontà e anche i nostri affetti all’amore per Dio stesso e per il prossimo. In tal
modo la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere in
movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le sorelle
che si trovano in necessità.
2. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta» (Sal 34,7). Da sempre la Chiesa ha compreso
l’importanza di un tale grido. Possediamo una grande testimonianza fin dalle prime pagine degli
Atti degli Apostoli, là dove Pietro chiede di scegliere sette uomini «pieni di Spirito e di sapienza»
(6,3) perché assumessero il servizio dell’assistenza ai poveri. È certamente questo uno dei primi
segni con i quali la comunità cristiana si presentò sulla scena del mondo: il servizio ai più poveri.
Tutto ciò le era possibile perché aveva compreso che la vita dei discepoli di Gesù doveva
esprimersi in una fraternità e solidarietà tali, da corrispondere all’insegnamento principale del
Maestro che aveva proclamato i poveri beati ed eredi del Regno dei cieli (cfr Mt 5,3).
«Vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno»
(At 2,45). Questa espressione mostra con evidenza la viva preoccupazione dei primi cristiani.
L’evangelista Luca, l’autore sacro che più di ogni altro ha dato spazio alla misericordia, non fa
nessuna retorica quando descrive la prassi di condivisione della prima comunità. Al contrario,
raccontandola intende parlare ai credenti di ogni generazione, e quindi anche a noi, per sostenerci
nella testimonianza e provocare la nostra azione a favore dei più bisognosi. Lo stesso
insegnamento viene dato con altrettanta convinzione dall’apostolo Giacomo, che, nella sua
Lettera, usa espressioni forti ed incisive: «Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i
poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che
lo amano? Voi invece avete disonorato il povero! Non sono forse i ricchi che vi opprimono e vi
trascinano davanti ai tribunali? […] A che serve, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha
le opere? Quella fede può forse salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e
sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”,
ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede: se non è
seguita dalle opere, in se stessa è morta» (2,5-6.14-17).
3. Ci sono stati momenti, tuttavia, in cui i cristiani non hanno ascoltato fino in fondo questo
appello, lasciandosi contagiare dalla mentalità mondana. Ma lo Spirito Santo non ha mancato di
richiamarli a tenere fisso lo sguardo sull’essenziale. Ha fatto sorgere, infatti, uomini e donne che in
diversi modi hanno offerto la loro vita a servizio dei poveri. Quante pagine di storia, in questi
duemila anni, sono state scritte da cristiani che, in tutta semplicità e umiltà, e con la generosa
fantasia della carità, hanno servito i loro fratelli più poveri!
Tra tutti spicca l’esempio di Francesco d’Assisi, che è stato seguito da numerosi altri uomini e
donne santi nel corso dei secoli. Egli non si accontentò di abbracciare e dare l’elemosina ai
lebbrosi, ma decise di andare a Gubbio per stare insieme con loro. Lui stesso vide in questo
incontro la svolta della sua conversione: «Quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara
vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E
allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di
corpo» (Test 1-3: FF 110). Questa testimonianza manifesta la forza trasformatrice della carità e lo
stile di vita dei cristiani.
Non pensiamo ai poveri solo come destinatari di una buona pratica di volontariato da fare una
volta alla settimana, o tanto meno di gesti estemporanei di buona volontà per mettere in pace la
coscienza. Queste esperienze, pur valide e utili a sensibilizzare alle necessità di tanti fratelli e alle
ingiustizie che spesso ne sono causa, dovrebbero introdurre ad un vero incontro con i poveri e
dare luogo ad una condivisione che diventi stile di vita. Infatti, la preghiera, il cammino del
discepolato e la conversione trovano nella carità che si fa condivisione la verifica della loro
autenticità evangelica. E da questo modo di vivere derivano gioia e serenità d’animo, perché si
tocca con mano la carne di Cristo. Se vogliamo incontrare realmente Cristo, è necessario che ne
tocchiamo il corpo in quello piagato dei poveri, come riscontro della comunione sacramentale
ricevuta nell’Eucaristia. Il Corpo di Cristo, spezzato nella sacra liturgia, si lascia ritrovare dalla
carità condivisa nei volti e nelle persone dei fratelli e delle sorelle più deboli. Sempre attuali
risuonano le parole del santo vescovo Crisostomo: «Se volete onorare il corpo di Cristo, non
disdegnatelo quando è nudo; non onorate il Cristo eucaristico con paramenti di seta, mentre fuori
del tempio trascurate quest’altro Cristo che è afflitto dal freddo e dalla nudità» (Hom. in
Matthaeum, 50, 3: PG 58).
Siamo chiamati, pertanto, a tendere la mano ai poveri, a incontrarli, guardarli negli occhi,
abbracciarli, per far sentire loro il calore dell’amore che spezza il cerchio della solitudine. La loro
mano tesa verso di noi è anche un invito ad uscire dalle nostre certezze e comodità, e a
riconoscere il valore che la povertà in sé stessa costituisce.
4. Non dimentichiamo che per i discepoli di Cristo la povertà è anzitutto una vocazione a seguire
Gesù povero. È un cammino dietro a Lui e con Lui, un cammino che conduce alla beatitudine del
Regno dei cieli (cfr Mt 5,3; Lc 6,20). Povertà significa un cuore umile che sa accogliere la propria
condizione di creatura limitata e peccatrice per superare la tentazione di onnipotenza, che illude di
essere immortali. La povertà è un atteggiamento del cuore che impedisce di pensare al denaro,
alla carriera, al lusso come obiettivo di vita e condizione per la felicità. E’ la povertà, piuttosto, che
crea le condizioni per assumere liberamente le responsabilità personali e sociali, nonostante i
propri limiti, confidando nella vicinanza di Dio e sostenuti dalla sua grazia. La povertà, così intesa,
è il metro che permette di valutare l’uso corretto dei beni materiali, e anche di vivere in modo non
egoistico e possessivo i legami e gli affetti (cfr Catechismo della Chiesa Cattolica, nn. 25-45).
Facciamo nostro, pertanto, l’esempio di san Francesco, testimone della genuina povertà. Egli,
proprio perché teneva fissi gli occhi su Cristo, seppe riconoscerlo e servirlo nei poveri. Se,
pertanto, desideriamo offrire il nostro contributo efficace per il cambiamento della storia,
generando vero sviluppo, è necessario che ascoltiamo il grido dei poveri e ci impegniamo a
sollevarli dalla loro condizione di emarginazione. Nello stesso tempo, ai poveri che vivono nelle
nostre città e nelle nostre comunità ricordo di non perdere il senso della povertà evangelica che
portano impresso nella loro vita.
5. Conosciamo la grande difficoltà che emerge nel mondo contemporaneo di poter identificare in
maniera chiara la povertà. Eppure, essa ci interpella ogni giorno con i suoi mille volti segnati dal
dolore, dall’emarginazione, dal sopruso, dalla violenza, dalle torture e dalla prigionia, dalla guerra,
dalla privazione della libertà e della dignità, dall’ignoranza e dall’analfabetismo, dall’emergenza
sanitaria e dalla mancanza di lavoro, dalle tratte e dalle schiavitù, dall’esilio e dalla miseria, dalla
migrazione forzata. La povertà ha il volto di donne, di uomini e di bambini sfruttati per vili interessi,
calpestati dalle logiche perverse del potere e del denaro. Quale elenco impietoso e mai completo
si è costretti a comporre dinanzi alla povertà frutto dell’ingiustizia sociale, della miseria morale,
dell’avidità di pochi e dell’indifferenza generalizzata!
Ai nostri giorni, purtroppo, mentre emerge sempre più la ricchezza sfacciata che si accumula nelle
mani di pochi privilegiati, e spesso si accompagna all’illegalità e allo sfruttamento offensivo della
dignità umana, fa scandalo l’estendersi della povertà a grandi settori della società in tutto il
mondo. Dinanzi a questo scenario, non si può restare inerti e tanto meno rassegnati. Alla povertà
che inibisce lo spirito di iniziativa di tanti giovani, impedendo loro di trovare un lavoro; alla povertà
che anestetizza il senso di responsabilità inducendo a preferire la delega e la ricerca di favoritismi;
alla povertà che avvelena i pozzi della partecipazione e restringe gli spazi della professionalità
umiliando così il merito di chi lavora e produce; a tutto questo occorre rispondere con una nuova
visione della vita e della società.
Tutti questi poveri – come amava dire il Beato Paolo VI – appartengono alla Chiesa per «diritto
evangelico» (Discorso di apertura della II sessione del Concilio Ecumenico Vaticano II, 29
settembre 1963) e obbligano all’opzione fondamentale per loro. Benedette, pertanto, le mani che
si aprono ad accogliere i poveri e a soccorrerli: sono mani che portano speranza. Benedette le
mani che superano ogni barriera di cultura, di religione e di nazionalità versando olio di
consolazione sulle piaghe dell’umanità. Benedette le mani che si aprono senza chiedere nulla in
cambio, senza “se”, senza “però” e senza “forse”: sono mani che fanno scendere sui fratelli la
benedizione di Dio.
6. Al termine del Giubileo della Misericordia ho voluto offrire alla Chiesa la Giornata Mondiale dei
Poveri, perché in tutto il mondo le comunità cristiane diventino sempre più e meglio segno
concreto della carità di Cristo per gli ultimi e i più bisognosi. Alle altre Giornate mondiali istituite dai
miei Predecessori, che sono ormai una tradizione nella vita delle nostre comunità, desidero che si
aggiunga questa, che apporta al loro insieme un elemento di completamento squisitamente
evangelico, cioè la predilezione di Gesù per i poveri.
Invito la Chiesa intera e gli uomini e le donne di buona volontà a tenere fisso lo sguardo, in questo
giorno, su quanti tendono le loro mani gridando aiuto e chiedendo la nostra solidarietà. Sono
nostri fratelli e sorelle, creati e amati dall’unico Padre celeste. Questa Giornata intende stimolare
in primo luogo i credenti perché reagiscano alla cultura dello scarto e dello spreco, facendo
propria la cultura dell’incontro. Al tempo stesso l’invito è rivolto a tutti, indipendentemente
dall’appartenenza religiosa, perché si aprano alla condivisione con i poveri in ogni forma di
solidarietà, come segno concreto di fratellanza. Dio ha creato il cielo e la terra per tutti; sono gli
uomini, purtroppo, che hanno innalzato confini, mura e recinti, tradendo il dono originario destinato
all’umanità senza alcuna esclusione.
7. Desidero che le comunità cristiane, nella settimana precedente la Giornata Mondiale dei Poveri,
che quest’anno sarà il 19 novembre, XXXIII domenica del Tempo Ordinario, si impegnino a creare
tanti momenti di incontro e di amicizia, di solidarietà e di aiuto concreto. Potranno poi invitare i
poveri e i volontari a partecipare insieme all’Eucaristia di questa domenica, in modo tale che risulti
ancora più autentica la celebrazione della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re
dell’universo, la domenica successiva. La regalità di Cristo, infatti, emerge in tutto il suo significato
proprio sul Golgota, quando l’Innocente inchiodato sulla croce, povero, nudo e privo di tutto,
incarna e rivela la pienezza dell’amore di Dio. Il suo abbandonarsi completamente al Padre,
mentre esprime la sua povertà totale, rende evidente la potenza di questo Amore, che lo risuscita
a vita nuova nel giorno di Pasqua.
In questa domenica, se nel nostro quartiere vivono dei poveri che cercano protezione e aiuto,
avviciniamoci a loro: sarà un momento propizio per incontrare il Dio che cerchiamo. Secondo
l’insegnamento delle Scritture (cfr Gen 18,3-5; Eb 13,2), accogliamoli come ospiti privilegiati alla
nostra mensa; potranno essere dei maestri che ci aiutano a vivere la fede in maniera più coerente.
Con la loro fiducia e disponibilità ad accettare aiuto, ci mostrano in modo sobrio, e spesso gioioso,
quanto sia decisivo vivere dell’essenziale e abbandonarci alla provvidenza del Padre.
8. A fondamento delle tante iniziative concrete che si potranno realizzare in questa Giornata ci sia
sempre la preghiera. Non dimentichiamo che il Padre nostro è la preghiera dei poveri. La richiesta
del pane, infatti, esprime l’affidamento a Dio per i bisogni primari della nostra vita. Quanto Gesù ci
ha insegnato con questa preghiera esprime e raccoglie il grido di chi soffre per la precarietà
dell’esistenza e per la mancanza del necessario. Ai discepoli che chiedevano a Gesù di insegnare
loro a pregare, Egli ha risposto con le parole dei poveri che si rivolgono all’unico Padre in cui tutti
si riconoscono come fratelli. Il Padre nostro è una preghiera che si esprime al plurale: il pane che
si chiede è “nostro”, e ciò comporta condivisione, partecipazione e responsabilità comune. In
questa preghiera tutti riconosciamo l’esigenza di superare ogni forma di egoismo per accedere
alla gioia dell’accoglienza reciproca.
9. Chiedo ai confratelli vescovi, ai sacerdoti, ai diaconi – che per vocazione hanno la missione del
sostegno ai poveri –, alle persone consacrate, alle associazioni, ai movimenti e al vasto mondo del
volontariato di impegnarsi perché con questa Giornata Mondiale dei Poveri si instauri una
tradizione che sia contributo concreto all’evangelizzazione nel mondo contemporaneo.
Questa nuova Giornata Mondiale, pertanto, diventi un richiamo forte alla nostra coscienza
credente affinché siamo sempre più convinti che condividere con i poveri ci permette di
comprendere il Vangelo nella sua verità più profonda. I poveri non sono un problema: sono una
risorsa a cui attingere per accogliere e vivere l’essenza del Vangelo.
Dal Vaticano, 13 giugno 2017
Memoria di Sant’Antonio di Padova
Francesco

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