scarica ===> sotto il campanile 17 Gennaio 2021
II DOPO L’EPIFANIA
17 Gennaio 2021 – Foglio n. 134
A Cana di Galilea Gesù manifestò la sua gloria (Gv 2, 11)
Undici mesi di pandemia si sentono tutti. L’arrivo del vaccino, salutato con enfasi esagerata, ha aperto una campagna lunga e complicata, mentre il virus continua la sua corsa forsennata, costringendoci a tenere alte le misure di protezione e il distanziamento sociale. La nostra resistenza è messa a dura prova. La paura, la solitudine, la rabbia crescono nei cuori con l’incertezza e la preoccupazione per il domani. Il blocco dei licenziamenti è stato prorogato fino a marzo e nuove misure sono state approvate a sostegno dell’economia. Ma non si potrà andare avanti così per molto tempo. Le file fuori dei Centri di ascolto Caritas la dicono lunga sulla gravità dei problemi quotidiani. E poi gli ammalati, il fiato che manca, la morte solitaria, la curva dei contagi che non intende abbassarsi, il timore della salute, gli ospedali pieni, i posti in terapia intensiva insufficienti, la stanchezza di medici e infermieri, esami diagnostici rimandati, interventi chirurgici sospesi. E ancora: gli uffici spopolati, le serrate dei negozi, le scuole chiuse per mille difficoltà, rinvii, confusioni. Alla fine conteremo due anni di povertà educativa per gli studenti e di fatica misconosciuta per gli insegnanti. Stanchezza, sfinimento, depressione … . Quanta triste verità contengono le parole di George Orwell: “All’infuori del lavoro tutto era vietato, camminare per strada, distrarsi, cantare, ballare, riunirsi”. Ed eravamo nel 1984. Fino a quando? Pensavo a questo una mattina, mentre leggevo il Vangelo delle Nozze di Cana. Non erano ancora le dieci e fuori la luce aveva assunto una densità grigiastra, cupa, oppressiva. “Non hanno più vino”. Manca la gioia. La vita non è più una festa.
Un terribile silenzio circonda le tante tragedie nel Mediterraneo e la drammatica situazione nei Balcani, dove i migranti in cerca di asilo vengono picchiati, seviziati, derubati, ricacciati oltre il confine con la Bosnia e lasciati senza assistenza tra bufere di neve. Persone che rischiano di morire di fame, di freddo, di stenti, di malattie. Diritti umani violati, intolleranza e violenza in crescendo, una catastrofe umanitaria dimenticata. L’unica risposta al dramma dei poveri sembra essere il rifiuto. Danno fastidio. Sono una minaccia alla sicurezza, alla cultura, alla identità nazionale. Vanno ricacciati nell’inferno, da dove sono figgiti, e abbandonati a se stessi. “Non hanno più vino”. Manca la fratellanza, la fiducia, la consapevolezza di sentirsi chiamati dalla storia a ridisegnare il mondo. È scomparsa la “civiltà dell’amore” e con essa la giustizia.
Nel lontano 1967 il Papa San Paolo VI scriveva nella Populorum Progressio: “Quando tanti popoli hanno fame, ogni estenuante corsa agli armamenti diviene uno scandalo intollerabile. Noi abbiamo il dovere di denunciarlo. Vogliano i Responsabili ascoltarci, prima che sia troppo tardi” (n. 53). Una voce profetica caduta nel vuoto. Il mercato delle armi continua a fiorire. Dei tanti Paesi, che ricevono armi dall’Italia, molti sono in guerra e violano i diritti umani. Come l’Egitto, dove le carceri rigurgitano di innocenti perseguitati. Nello Jemen villaggi e città cadono sotto le bombe della tedesca Rvm, prodotte in Sardegna e vendute dall’Italia. Ordigni nucleari sono presenti a Ghedi e ad Aviano. Le nuove bombe B61-12 arriveranno tra poco con gli F35. Uno solo di questi aerei costa oltre 130 milioni di euro, soldi che potrebbero essere usati per curare le persone e salvare vite. Conflitti armati – spesso dimenticati – divampano un po’ ovunque e si cede con facilità alla tentazione di risolvere i contenziosi con la forza delle armi. “Non hanno più vino”. Manca la pace. L’umanità avanza sulle vie di Erode e gli innocenti subiscono violenza.
Il Regno di Gesù non è di questo mondo. Con quale luce triste risplende oggi questa verità! “Perché la giustizia è in lutto, perché gli afflitti non sono, non possono essere consolati, perché i perseguitati non vengono soccorsi, perché la verità di Dio non è detta, perché improvvisamente il mondo è diventato così piccolo, così stretto per lo spirito, per l’uniformità della menzogna, che vi regna, e quasi sola fa sentire la sua voce”. Lo scriveva Raissa Maritain nel lontano 1940, alla vigilia della Shoa. La memoria dovrebbe aiutarci a evitare gli errori del passato. Tante “inutili stragi”.
La storia insegna che anche attraverso le catastrofi, il crollo degli imperi, le persecuzioni, il martirio il bene passa, si fa, resta. In questi tempi oscuri ho visto tanta bontà chinarsi sulle ferite, non fermarsi davanti a nessun distanziamento, abbracciare ogni debolezza, tenere accesa la fiamma della speranza, che rischiava di spegnersi. Il cantautore americano Leonard Cohen dice bene, quando canta: “Suonate le campane, che ancora possono suonare. Dimentica la tua offerta perfetta. C’è una crepa in ogni cosa, è così che entra la luce”. Nell’oscurità più buia infinite sono le fessure che lasciano passare la lucentezza del bene. Ci sono tanti cuori, come le giare del Vangelo, pieni del “vino buono” della gioia, dell’entusiasmo, di una vitalità esuberante. È lo sprizzare lieto dell’uomo, che abbandona le precauzioni, le paure, le difese, le riserve e si butta nella grande avventura di amare e servire, mosso dallo Spirito di Colui che ha vinto la morte.
“Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2, 5): è la strada maestra da seguire, la via d’uscita. Per evitare di finire risucchiati dal cinismo e dall’indifferenza, occorre una bellezza nuova, un cuore entusiasta, la voglia di cambiare, l’ardire di osare, una speranza più grande, un avvenire da costruire insieme, che non sia la mera ripetizione del passato. Una sfida che impegni tutti. Mai come oggi la speranza del Vangelo è il lievito necessario per una profonda trasformazione degli uomini e della vita sociale.
Verso mezzogiorno di quella mattina uscii per una passeggiata. Desideravo sgranchire le gambe. Camminavo senza pensare a niente di particolare. Il tempo non era tra i più belli. Faceva freddo. Una fioca luce argentea spioveva sotto una coltre di nuvole basse. Improvvisamente avvertii qualcosa di indefinibile, come se dai sensi passassi ad un sentire solo interiore. La campagna si fece più estesa, gli alberi divennero più grandi, l’acqua nei fossi prese a correre più veloce, limpida, gorgogliante. Tutto sembrò parlarmi di un Altro. Il cuore palpitava forte. In quell’istante percepii che “Dio è” e mi trovai alla sua presenza. Mi gettai in ginocchio come ci si butta in mare per salvare qualcuno e recitai il Padre nostro con l’intensità della prima volta. In me bruciava il desiderio di una vita meravigliosa, dove tutto non è che ordine, bellezza, amore, calma, verità. Un’aspirazione infinita verso ciò che poteva colmare il mio animo. Il vino nuovo dello Spirito, appena ricevuto, travasava, mi rendeva irrequieto, non vedevo l’ora di offrirlo alla gente, a chiunque, a tutti, per condividere una straordinaria sbornia d’amore.
don Franco Colombini