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Prima Domenica di Avvento
14 Novembre 2021 – Foglio n. 159
“Alzate il capo, perché la vostra liberazione
è vicina” (Lc, 21, 28 )
Con l’Avvento inizia il cammino verso il Natale. Viene il Signore Gesù, il centro di ogni esistenza. Una
notizia bellissima. Il male, che da sempre devasta la storia e sembra invincibile, ha le ore contate. “Allora
vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria” (Lc 21, 27).
La speranza del vangelo mi fa tornare alla mente il protagonista del “Primo Uomo” di Albert Camus. Al
termine del Liceo il professore di filosofia mi chiese di presentare agli esami di maturità una tesi sull’Esistenzialismo ateo e cristiano.
Alcune figure mi sono rimaste impresse. Leggendo il romanzo ricordo che mi aveva colpito l’esitazione di Jacques Cormery a ritornare
sulla tomba del padre. Non trovava un senso, perché nei suoi confronti “non poteva inventarsi un amore che non sentiva”.
Ma, una volta giuntovi, un’ “ondata di tenerezza
e di pietà, che d’un tratto gli riempì il cuore”, interruppe “la successione del tempo”.
Nacque in lui qualcosa di nuovo, una trasformazione, un cambiamento, una metanoia.
Camus non credeva in Dio, ma nemmeno nell’attimo fuggente. All’indomani
del tramonto definitivo dell’Occidente a Hiroshima e Nagasaki avvertiva l’urgenza di
tornare a vivere da uomini non con il gaio sorriso di chi morde il nulla, aggrappandosi
solo alla propria libertà di scelta, ma con la speranza che viene dalla sofferenza. Il
rifiuto di soluzioni “troppe umane”, forse, altro non era che attesa di Dio.
“Urlate come gli abeti di Zaccaria, foreste, colline, belle piane del mio Paese … .
Un’Europa è morta, quella che ho conosciuto, quella che amavo.
Più la vedevo malata e più l’amavo. Più gridavo che stava per morire e che Dio voleva del nuovo (mi è
stato rimproverato) e più l’amavo”. Così annotava su un taccuino nel 1940 Jacques
Maritain, un altro gigante del pensiero del Novecento. “Contemplativi in cammino”:
così si definiva con la moglie Raissa. Si oppose a una modernità sfinita, agli sgoccioli,
divenuta catastrofica con la Prima Guerra Mondiale, la crisi economica, lo sfinimento
ideologico e sociologico delle democrazie, dei totalitarismi.
Desideroso di raggiungere l’uomo in ogni sua ferita, si sforzò di trovare vie spirituali, culturali, politiche,
radicate nella mistica e nella metafisica, per uscire dal labirinto di una civiltà ormai al
tramonto. Tracciò la via dell’Umanesimo integrale, indicando il Cristo come la chiave
per comprendere e agire.
Tutti cercano Gesù, il Figlio di Dio. Credenti e non credenti. Lui “è la via, la verità e la vita”
(Gv, 14, 6), Colui che rivela all’uomo il suo mistero. Ci guarisce nell’animo, ci rinnova, ci
rimette in cammino, ci spalanca davanti gli orizzonti dell’Infinito, ci spinge a operare con
responsabilità nelle cose che passano guardando a quelle che restano, ad armonizzare
l’impegno nel tempo cronologico con il cuore fisso a quello che verrà. L’inquietudine dei
cuori e il subbuglio dei popoli sono come l’anelito che sospira al Dio vivente.
Nei giorni scorsi si è rievocato il centenario del Milite Ignoto. Anche il giovane Montini,
il futuro Papa Paolo VI, il 4 novembre 1921 si trovava in Piazza Venezia a Milano insieme
al padre Giorgio per assistere agli onori tributati alla Salma di passaggio verso
il Vittoriano, accompagnata dai suoni delle campane e dai colpi di cannone.
Rimase impressionato e commosso dalla massiccia partecipazione di popolo,
“uno spettacolo d’esaltazione nazionale, … ciò che di più grandioso si poteva immaginare”.
Aveva nell’animo tanti giovani, i suoi amici della Fuci, mai più tornati dai campi di battaglia, da
un conflitto qualificato come “una inutile strage”. Raccontava in una lettera, scritta nel
1916, durante il secondo anno di guerra: “Li seguiamo tutti i nostri soldati e al di sopra
di ogni ricreazione, in fondo ad ogni chiasso sta il pensiero di loro, pensiero d’amore, di
gratitudine, di compassione, di preghiera. … Il desiderio delle notizie ci fa dimenticare
la gravità delle notizie stesse: quanti ti sanno ripetere tutto il giornale e non sanno cosa
significhi guerra. E invece a dispetto di ogni discorso, d’ogni civiltà, imperversa questo
immane suicidio dell’umanità”.
Un flagello ancora in atto. Infinite sono le violenze che dissanguano le genti. Un grido di
dolore poco ascoltato, soffocato dalla corsa alla ricchezza e allo sfarzo.
Mi ha impressionato la testimonianza di Zaccaria, un ragazzo di 14 anni, egiziano,
fuggito senza dire nulla ai genitori, per raggiungere il fratello in Italia.
“Ho avuto tanta paura. Mi hanno trattato male. Se mi alzavo, mi picchiavano. Se parlavo, mi picchiavano.
E sparavano in aria. No, non rifarei quel viaggio. Sono rimasto in Libia 25 giorni. I trafficanti ci spostavano in
continuazione da un capannone all’altro. Eravamo in migliaia. Ci davano da mangiare
solo pane secco con la muffa e formaggio. Ma al telefono dovevo dire alla mia famiglia
che mangiavamo da McDonald’s. Ci obbligavano a chiamare gli amici per dire: Venite
in Libia che si sta bene, basta che paghi e ti portano in Italia. E invece i trafficanti libici
picchiano e sparano. Sono mafiosi. Non hanno pietà”.
Dove c’è amore, questi fatti non avvengono. Chi ha Dio nel cuore ama la gente, tutta
quanta, fino ad abbracciarla in un sentimento di unione e solidarietà. La storia moderna
è piena di dolore e spossata per le tante tragedie. Due sono le cose importanti: Cristo e
l’umanità. E queste si devono incontrare.
don Franco Colombini