Sotto il Campanile 8 Giugno 2025

Pubblicato giorno 5 giugno 2025 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

 

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DOMENICA DI PENTECOSTE

“Tutti furono colmati di Spirito Santo” (At 2, 4)

08 Giugno 2025 – Foglio n. 303

 

 

Gesù Risorto porta a compimento la missione, affidatogli dal Padre, facendo dono all’umanità del suo Spirito, il Paraclito, Colui che ora ci è vicino, si fa prossimo, cammina a fianco, anzi dentro, infuso nella nostra vita. La dispersione, che da sempre minaccia la convivenza umana, a partire dalla triste esperienza della Torre di Babele fino al brutto spettacolo ancora sotto i nostri occhi di guerre e violenze, è superata dalla comunione fraterna. Lo Spirito affianca gli uomini, li conduce al Risorto, li incorpora a Lui e di molti, anzi di tutti, fa una cosa sola. Il sogno del Salmo 85 finalmente si avvera: “Misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno, la verità germoglierà dalla terra e la giustizia si affaccerà dal cielo” (vv 11-12). Ora è l’amore l’unica legge a guidare il cammino dei popoli.

I nostri adolescenti, di età compresa tra i 14 e i 18 anni, che animeranno le settimane estive in Oratorio, sono un segno strepitoso della presenza dello Spirito. Mi dà gioia e meraviglia riconoscere che questi nostri ragazzi, pur in mezzo alle crisi e alle turbolenze dell’età, cercano una via di vera pienezza, il bene da far fiorire nei cuori, un mondo nuovo da realizzare nell’amicizia e nella disponibilità al servizio dei più piccoli. Il loro impegno è un invito a guardare avanti con fiducia. Alla superficie degli oceani le onde sono spesso agitate e fanno paura. La maggior parte delle acque e del calore, però, è trasportata da correnti profonde e silenziose. Anche la storia, in perenne subbuglio e colpita dalla cieca violenza del male, nasconde fermenti nuovi di vita, che portano verso l’unità e la pace. Lo Spirito bussa alla porta dei  cuori – “Toc Toc” – e fa nascere belle esperienze di bene, che sono un seme di speranza.

Quando ci si lascia andare al vento dello Spirito, tutto cambia. Santiago, l’anziano pescatore, protagonista de “Il vecchio e il mare” di Hemingway, diceva a se stesso: “Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai”. Un campetto dell’Oratorio può dar vita a storie incredibili. Forse non tutto, ma molto, moltissimo è possibile fare per il futuro dell’umanità. Anche i miracoli. Sulla terra dura, calpestata da centinaia di bambini, dove non spunta un filo d’era, crescono gli uomini e le donne di domani, i capolavori dello Spirito.

 

IL COLLASSO DELLA RAGIONE SENZA SPIRITUALITÀ, NESSUNA PACE

 

Il mondo ha bisogno di profeti, pieni di Spirito, decisi ad andare controcorrente e a seguire con coraggio la via indicata da Gesù, quella della pace e della fratellanza. Mauro Magatti analizza i nostri tempi, segnati da odio e violenza, e indica la promessa del profeta Gioele, per uscire dalla crisi e ripartire: “Dopo questo, io effonderò il mio Spirito sopra ogni uomo e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie; i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni. Anche sopra gli schiavi e sulle schiave, in quei giorni, effonderò il mio Spirito. Farò prodigi nel cielo e sulla terra” (Gl 3, 1-3).

 

Il mondo oggi è testimone di drammi, che sembrano non conoscere tregua. A Gaza e in Ucraina, lo scontro ha assunto una logica totalizzante. Le leadership di Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu, seppur diversissime per contesto e storia, si stanno muovendo secondo uno schema comune: l’annientamento dell’altro come soluzione finale. Putin, intrappolato nel suo disegno imperiale post-sovietico, non può permettersi una sconfitta in Ucraina senza mettere a rischio la sua stessa permanenza al potere. Ogni cedimento, ogni passo indietro, verrebbe vissuto come un’umiliazione intollerabile, non solo per lui, ma per l’intero apparato che ha costruito. Così la guerra continua, anche se logora la Russia, economicamente e culturalmente.

Netanyahu, dal canto suo, ha legato la sua sopravvivenza politica alla guerra contro Hamas e alla promessa, esplicita o implicita, di “eliminare” la minaccia palestinese con ogni mezzo. Dopo l’orrore del 7 ottobre, la risposta di Israele è stata sproporzionata, cieca, devastante. Interi quartieri sono stati rasi al suolo, decine di migliaia di morti, tra cui moltissimi bambini.  La logica che guida l’azione del governo israeliano non sembra più rispondere a criteri strategici, ma piuttosto a un impulso ossessivo alla vendetta, al dominio, al controllo assoluto. In entrambi i casi, il punto di non ritorno è superato. Tornare indietro richiederebbe una forza morale e politica che questi leader non hanno, o non vogliono avere. E, nel frattempo, si perde il conto delle vite sospese, spezzate, umiliate.

Di fronte a questi drammi, il mondo appare impotente. La comunità internazionale è divisa, stanca, bloccata da interessi contrapposti. Nessuno sembra avere il coraggio, la visione o la credibilità per proporre una via d’uscita. Gli Stati Uniti, da sempre attore centrale nella politica globale, sono nel pieno di una profonda crisi interna. La politica estera americana oscilla tra improvvisazioni muscolari e ritiri disordinati. Manca una coerenza, manca una strategia, manca – soprattutto – la capacità di parlare al mondo come guida morale, come forza capace di costruire pace. La Cina è prigioniera delle sue stesse ambizioni neo-imperiali. Il suo silenzio complice davanti alla guerra in Ucraina e la retorica ambigua su Gaza mostrano una leadership preoccupata più dei propri interessi economici e strategici che della costruzione di un sistema internazionale più giusto.

L’Europa, infine, è forse l’attore più deludente. Troppo debole, troppo dispersa, troppo ripiegata su se stessa. Incapace di parlare con una voce sola, si limita a reazioni timide, dichiarazioni generiche, iniziative inconsistenti. Eppure sarebbe proprio l’Europa, con la sua storia, la sua cultura della mediazione, la sua vicinanza geografica ed esistenziale ai conflitti in corso, a poter giocare un ruolo determinante.

In questo scenario, l’assenza di una guida globale capace di interrompere la spirale della violenza e proporre una visione alternativa del mondo è la più grave tra le emergenze. Senza un punto di riferimento, le guerre diventano infinite, i conflitti si moltiplicano, la disumanizzazione avanza.

Come se ne esce? Aspettando di vedere chi sarà il “vincitore”? Ma come non capire che, in un mondo tanto interconnesso, quel momento, se mai arriverà, non farà altro che alimentare una catena infinita di odio, rancore, vendetta? Le risposte tradizionali – diplomazia, mediazione, pressioni internazionali – sono necessarie, ma non bastano. La macchina della violenza è ben oliata, gli automatismi della guerra radicati. Serve, paradossalmente, un atto di rottura interiore, cioè l’apertura a un’altra logica, che sospenda il giudizio, che cambi lo sguardo. I tavoli negoziali hanno successo quando c’è qualcuno disposto a interrompere il ciclo della vendetta, a dire “basta” anche quando avrebbe il potere di colpire. Oggi manca questa forza interiore. E forse, il primo passo per ritrovarla, è proprio fermarsi, ascoltare, pregare.

Ci troviamo davanti a un collasso della ragione. In fondo questa crisi prolungata non fa altro che smascherare il vuoto del nostro tempo. Senza il senso della sua fragilità, della sua finitezza, l’umano delira nei suoi bisogni di onnipotenza. La crisi è prima di tutto spirituale. E da lì che bisogna ripartire. Non si costruisce la sicurezza sulla paura, né la giustizia sull’odio. Questo la storia lo ha insegnato mille volte. Gridiamolo sui tetti. Ne abbiamo terribilmente bisogno. (Mauro Magatti, Avvenire, 01 Giugno 2025)

 

don Franco Colombini