Sotto Campanile 3 Dicembre 2023

Pubblicato giorno 1 dicembre 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

scarica ==  > sotto il campanile 03 Dicembre 2023

IV DOMENICA DI AVVENTO
03 Dicembre 2023 – Foglio n. 239
“Benedetto Colui che viene nel nome del Signore” (Mc 11, 9)

 

Ci sono figure nel Vangelo che mi toccano da vicino. Scavano nel tessuto quotidiano e silenzioso
della mia vita e lasciano un segno. In prossimità della Pasqua Gesù inviò due discepoli a cercare un
asino per entrare in Gerusalemme.

Essi “trovarono un puledro, lo slegarono” (Mc 11, 4) e i presenti “li lasciarono fare” (Mc 11, 6). Questo mi affascina.
Un semplice assenso di persone anonime permise a Gesù di entrare in Gerusalemme compiendo
un’antica profezia: “Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un
puledro figlio d’asina” (Zc 9, 9). Quel giorno la folla accolse il Nazareno con grida di gioia: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”, come i nostri bambini quando cantano il Santo battendo le mani: “Osanna eh, osanna eh” e noi
adulti li ascoltiamo compiaciuti, mentre le voci si uniscono e riconoscono in Gesù il Re che non
sopporta l’arroganza dei potenti e preferisce l’umiltà di un animale da soma. Gesti minimi, semplici, senza importanza, ma portatori di qualcosa d’altro, messaggeri del Mistero più grande.
Purtroppo esistono comportamenti inconsulti che, all’opposto, rivelano la bruttura del male e
lasciano col fiato sospeso. In questi giorni si è detto molto contro la violenza sulle donne.

E giustamente. Mi è piaciuta la scelta di non esporre il giovane omicida agli occhi di tutti, quando fu
portato in Italia. Non avrebbe aggiunto nulla alla gravità di quanto era successo. Quando sferrò
la prima coltellata, aveva già calpestato la sua dignità umana, rendendosi impresentabile alla
comunità. Non c’è bisogno dell’odio della piazza e dei social. Ammoniva Voltaire tre secoli fa:
“Là dove manca la carità, la legge è sempre crudele”, perché la civiltà giuridica di un popolo si
misura anche da come tratta i criminali. Noi siamo diversi!
La violenza è una bestia disperata, insita nel cuore umano come una sorta di soluzione finale.
“È un bravo ragazzo , non può aver fatto una cosa simile”. Sono state le parole del papà. E
invece l’ha fatto. Quel povero uomo non conosceva il suo ragazzo. Mi spaventa l’dea che di
fronte ad una rottura affettiva anche un figlio potrebbe diventare un femminicida.

Esiste una fragilità che si fa violenta e assassina.

Qualcuno l’ha chiamata “nichilismo attivo”. Ben vengano le marce, le fiaccolate, le mobilitazioni, le manifestazioni (libere da strumentalizzazioni di parte), la formazione nelle scuole, negli oratori, nelle istituzioni pubbliche e private. È un’emergenza.
Ma ancora più urgente è mettere un fondamento e riempire il vuoto delle esistenze.

Per me “la forza che fa la storia è un uomo, che ha posto la sua dimora tra di noi, Cristo”.
Ho letto con interesse una riflessione di Riccardo Mensuali , scritta in occasione del 150°
anniversario della morte di Alessandro Manzoni. La fede della gente semplice fa miracoli. Nel
suo humus nascono personalità di alto spessore umano, dove anche i violenti, prima o dopo,
lasciano cadere le armi per imboccare la strada del perdono e della mitezza.
SE QUESTA SOCIETÀ NEVROTICA RILEGGESSE I PROMESSI SPOSI
Si avvia a concludersi il 150° anniversario della morte di Alessandro Manzoni, l’autore del più
famoso di tutti i matrimoni. In fondo, I Promessi Sposi nascono sul presupposto della violenza
contro una donna. Per portare a compimento la prepotenza di impedire le nozze, si sceglie di rapire Lucia.

È lei la parte debole, è su di lei che si concentra il disegno del male degli uomini del suo
tempo. Renzo, comunque vittima, se la svigna e comincia a girare. Lui è un uomo, può scappare.
Lei no. Lucia è, agli occhi di certi uomini, una donna fragile, indifesa, impaurita e, dunque, facile
preda. Quando nasce e si sviluppa il romanzo, è tempo di patriarcato. Che era, e tale è rimasto per
molto tempo, una forma di trasmissione del sapere, del sentire, del vivere e dell’educare. Eppure
Manzoni riempie il suo capolavoro di uomini diversi. Il patriarcato non è una giustificazione, per la
conversione possibile di Fra Cristoforo e per la grandezza d’animo del Cardinal Borromeo o del
sarto che accoglie Lucia, appena fuggita dal castello dell’Innominato.

C’è una conversione, la più famosa, che può ancora indicare una strada.

Lucia, agli occhi del suo autore, rimane per sempre nella cultura italiana e del pensiero cristiano come il personaggio più forte, quello capace di minare le fondamenta di tanta violenza e innescare un cammino di redenzione.

C’è un passaggio, nel famoso racconto della conversione dell’Innominato, in cui la sola presenza di Lucia, vittima
prescelta del male, suscita nell’uomo che le si contrappone un cambiamento radicale. Il suo corpo
ferito e oltraggiato parla più delle parole.

L’Innominato “abbassò gli occhi, stette ancora un momento immobile e muto;

indi rispondendo a ciò che la poverina non aveva detto – è vero – esclamò:
“Perdonatemi!”. Rispondendo a ciò che non aveva detto. Quest’uomo che aveva impostato sulla
violenza tutta la vita, riesce ora a comprendere anche il non detto. Una frase che mostra la via
per accedere ad un profondo rispetto dell’altro: avvicinare e comprendere, cogliere, dell’animo, il
detto ma anche il non detto. A questo dobbiamo ambire, a questo vertice di umanità dobbiamo
far giungere l’uomo contemporaneo. L’Innominato non è un convertito perché impara ad andare a
Messa. Capisce cosa si muove nel cuore di una persona, la guarda con occhi nuovi e la scopre in
tutta la sua dignità. L’esatto contrario della cieca violenza che elimina ciò che non sa capire, che
non vuole comprendere, che non parla e non ascolta, che non sa entrare in dialogo.

L’ “alessitimia” è l’incapacità muta di dare parole ai propri sentimenti. La nostra società nevrotica, accecata
dalla furia del movimento, del caos e del disordine, non sa accompagnare gli uomini a diventare
capaci di fermarsi e cercare di dare parole al “guazzabuglio del cuore”. Di amore si vive, non ne
possiamo fare a meno. Ma di amore si muore e si soccombe, anche. L’amore si trasforma nel suo
contrario. “L’ho uccisa perché l’amavo” – fu l’assurda giustificazione che un uomo portò dopo il suo
omicidio.

Laura Pigozzi, nel suo volume “Amori tossici”, mette in guardia “dall’invocare la natura
come guida dell’umano”. È necessaria una profonda educazione ai sentimenti, alle emozioni e alla
capacità di gestirle, assecondarle o frenarle. Il maschio violento è un uomo per cui il mondo e la
vita coincidono con la propria esuberante e immediata natura. Ciò che ci salverà, allora è la cultura
di un “bordo” e di confini. La base solida di una rinnovata “scuola” sentimentale dovrà essere una
sorta di “teologia del confine”. Come scrive Pigozzi, “l’amore è una questione di confini, di bordi
che dovrebbero restare porosi, mobili, morbidi, e costituire il passaggio di ciò che nutre, come fa
la membrana di una cellula”. Bisogna imparare ad accettare e far emergere il valore di un “bordo”,
nelle relazioni umane. Di un limite.

Non è una barriera, il bordo, è un confine che chiama all’impegno e alla responsabilità di conoscerlo,

prima di attraversarlo, di rispettarlo senza scavalcarlo e di amarlo senza calpestarlo.

don Franco Colombini