Sotto il Campanile 1 Gennaio 2022

Pubblicato giorno 31 dicembre 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Capodanno – Giornata Mondiale della Pace

01 Gennaio 2022 –

Foglio n. 166 Giornata Mondiale della Pace

 

È un miracolo di Natale quello che è accaduto in questi giorni nel laboratorio di falegnameria
del carcere di Opera, alle porte di Milano, dove un gruppo di detenuti ha costruito presepi, utilizzando i resti dei barconi, affondati al largo di Lampedusa. Un’isola che grida al mondo il dolore e il desiderio di felicità di tante persone in fuga dai loro Paesi.

Il manto di Maria è azzurro come la vernice di una barca, il tetto della
capanna è coperto da brandelli di reti, le travi conservano traccia dei colori degli scafi prima
che diventassero relitti. Una Natività essenziale, spoglia, come quella di Betlemme, quando Dio abbracciò l’umanità in tutta la sua miseria. Raccontano il carico di dolore, la voglia di giustizia, le tragedie dei disperati. Un’esperienza di sofferenza e di morte è diventata annuncio di vita, in un misterioso intreccio, che vede protagonisti uomini e donne con le mani macchiate di sangue e
un forte desiderio di rinascita nel cuore. Il Natale non smette di sorprenderci.
La sua luce giunge ovunque. Risplende dietro le sbarre di un carcere. Rischiara la notte del mondo. Parla agli umili e ai potenti della terra, che hanno
dimenticato le vie della pace.

Il Covid ha portato più guerre e disuguaglianze in tutto il pianeta. Gli occhi dei
satelliti militari registrano da settimane un massiccio addensamento di truppe
russe al confine con l’Ucraina. Decine e decine di migliaia di uomini con blindati e artiglieria. L’Occidente assiste impotente al declino della democrazia
e alla nascita di poteri forti, che usano la pandemia per limitare le proteste,
reprimere la libertà e il dissenso politico. Le spese militari mondiali hanno
raggiunto un picco mai toccato dalla fine della Guerra Fredda. I droni sono ormai roba arretrata. Si fabbricano armi al laser, soldati robot, vettori ipersonici.
Aumentano povertà e fame. Ancora morti nel Mediterraneo. Profughi respinti,
concentrati nei campi che sembrano lager, ammassati alle frontiere, picchiati,
minacciati, costretti a pagare cifre esorbitanti per cibo e acqua. Questo è il
volto del Terzo Millennio. I diritti umani, le guerre scomode, le stragi lontane
assomigliano alla polvere nascosta sotto il tappeto. Non sembriamo granché
coscienti di cosa stia accadendo nel mondo. Alle prese con la pandemia, l’amaro computo dei morti, il numero dei vaccinati, le battaglie sul green pass,
la lotta contro il virus, sorvoliamo che gli Stati si stanno riarmando e vittime
innocenti muoiono ignorate da tutti. La famiglia umana è al bivio di scelte decisive per il suo futuro.

Voltare pagina si può. Dall’Africa all’Europa, dall’America all’Asia tanta gente
dalla strada ha chiesto democrazia effettiva, lavoro, diritti civili, rispetto dell’ambiente e della dignità umana, giustizia sociale, la fine di abusi, corruzione, austerità. Di fronte al buio di informazioni molti cronisti – rischiando libertà e incolumità
– tengono desta l’attenzione sulle guerre dimenticate, seguono le mosse dei
mercanti di armi, gli interessi multinazionali, la geopolitica dei blocchi che tutela
avanti alle istituzioni chi le ha volute. Raccontano il massacro dei bombardamenti, il numero delle vittime, le tragedie dei profughi, il disprezzo dei diritti civili.
Parlano delle sofferenze dei poveri e dell’ “economia dello scarto”. Ma non basta.
È il momento di organizzare la speranza, tradurla in vita concreta nei rapporti
umani, nell’impegno sociale e politico, con le opere di carità. Una dinamica che
oggi la Chiesa ci chiede con urgenza.
Una testimonianza bellissima è venuta da Takashi Paolo Nagai. Era medico radiologo in un ospedale di Nagasaki, quando fu sganciata la seconda bomba atomica della storia, che provocò 70 mila morti. Colpito anni prima dalla leucemia mieloide, le sue condizioni di salute peggiorarono velocemente. Trascorse gli ultimi anni in una capanna di quattro metri quadrati, immobilizzato dalla malattia.
Teneva con sé solo la Bibbia, un crocifisso, alcuni libri e il necessario per scrivere e disegnare. La fede in Gesù, che aveva ricevuto dalla moglie Midori, trovata in polvere sotto le macerie, trasformarono i suoi giorni in preghiera, offerta, espiazione. Come un fiammifero diffuse la luce consumandosi. Tanti ricevettero la forza per risollevarsi e ricominciare. Mutò la landa desolata, dove abitava,
ischeletrita dall’atomica, in una collina in fiore, facendo piantare mille ciliegi, consapevole che la vita riparte dalla bellezza.

“Avendo io subito gli effetti della bomba atomica sulla mia pelle, mi rendo conto
di quale sia il danno più terribile. … La cosa più devastante non è la perdita delle
nostre case, né il fatto che tutti i nostri beni siano andati in fumo; e neanche la
morte di tanti parenti e amici, ma è proprio l’orrore che è entrato nella nostra
anima e che si manifesta con la perdita di fiducia nell’umanità. … Dovremmo
trasformare la nostra vita in poesia. Dobbiamo lasciare che lo sguardo attento e
ammirato del poeta scavi sotto la superficie e scorga la bellezza che si nasconde
in ogni cosa e dia forma a ogni nostra azione e pensiero. … Io ho finalmente
raggiunto questo nuovo orizzonte. Mi scalpita in petto un cuore di fanciullo. La
vita di un nuovo giorno mi attende, la vera gioia in questo letto di due metri da
cui non posso neanche uscire. Ma che è vita, senza la sferza dei doveri e i lacci
dei divieti, che arrestano l’audacia di questo cuore, che ogni mattino si rimette
all’opera”.

Mentre un nuovo anno sta per cominciare, mi commuovo sentendo ripetere le
parole buone, che giungono da lontano, incoraggiano al bene, invitano alla fiducia, sostengono il flusso della vita. “Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il
Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia” (Num 6, 22-27).
Non so come saranno i giorni futuri, ma sono certo che il Signore si curverà su
di me e mi proteggerà con il suo amore sconfinato. È la stessa fede di Takashi
Paolo Nagai, che contagiò di speranza gli abitanti di una terra che sembrava
condannata a non conoscerla più. Buon Anno!

don Franco Colombini