Sotto il campanile 1 maggio 2022

Pubblicato giorno 30 aprile 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

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III Domenica di Pasqua
01 Maggio 2022 – Foglio n. 183
Io sono la luce del mondo (Gv 8, 12)

“Io non mi vergogno del Vangelo, perché è po- tenza di Dio per la salvezza di chiunque crede”
(Rom 1, 16). Così scrisse San Paolo ai cristiani
di Roma in una lunga lettera. Si era appellato
a Cesare, per sfuggire all’ira dei Giudei, che lo
volevano condannare. Dopo un viaggio lungo e
pericoloso, giunse nella Città Eterna e fu messo
in domicilio coatto in attesa di giudizio. Non era
preoccupato della sua sorte. Bruciava dal desiderio di testimoniare la salvezza che viene da
Gesù morto e risorto. Non perdeva occasione.
Sapeva che non avrebbe avuto grandi successi,
ma Gesù era in lui una forza dirompente, scatenata, incontenibile.
Sembra di risentire la voce di San Giovanni Paolo II nell’esortare i giovani a
Denver il 15 agosto 1993: “Non abbiate paura di andare per le strade e nei
luoghi pubblici, come i primi Apostoli, che hanno predicato Cristo e la Buona
Novella della salvezza nelle piazze delle città e dei villaggi. Non è tempo di vergognarsi del Vangelo. È tempo di predicarlo dai tetti. Non abbiate paura di
rompere con i comodi e abituali modi di vivere, al fine di raccogliere la sfida di
far conoscere Cristo nella moderna ‘metropoli’. Dovete essere voi ad andare
‘ai crocicchi delle strade’ e a invitare tutti quelli che incontrate al banchetto
che Dio ha apparecchiato per il suo popolo”. La ‘violenza’ del Vangelo risiede
nella passione di chi ha incontrato Gesù, gli ha creduto, grida con la vita l’amore che lo riempie e lo sazia di gioia. Una di questi straordinari testimoni è
Armida Barelli, proclamata beata ieri nel nostro Duomo di Milano.
Nacque nel 1882 a Milano in una famiglia dove soffiava aria risorgimentale,
estranea agli impulsi del cattolicesimo intransigente. Secondogenita di sei
figli, trascorse un’adolescenza felice. Possedeva un temperamento vivace,
generoso, entusiasta, ottimista. Frequentò la scuola pubblica e proseguì gli
studi in collegio a Menzingen, nella Svizzera tedesca, dove imparò le lingue,
vivendo in un contesto internazionale. Nonostante la sua esuberanza le impedisse di accettare la rigida educazione e l’austera pratica religiosa, scoprì
il culto del Sacro Cuore, imparò a meditare, iniziò seriamente a fare i conti
con la chiamata del Signore, tanto da pensare di vestire l’abito religioso. La
famiglia si allarmò e le fece interrompere l’anno scolastico. Nel suo animo di
adolescente aveva preso il via la lunga ricerca della volontà di Dio.
Rientrata in Collegio, concluse gli studi. Nell’incontro con le compagne per
festeggiare il diploma, quando tutti fanno pronostici per il proprio avvenire, Ida
affermò: “O sarò Suor Elisabetta, missionaria in Cina, o madre di dodici figli e
la prima bambina si chiamerà Elisabetta. Ricordate tutte che Ida Barelli sarà
suora o mamma, ma vecchia zitella mai”. Parole forti, dettate dall’entusiasmo
giovanile. Il cammino vocazionale continuò per alcuni anni. Passò per un fidanzamento lampo. Ma non era la sua strada.
La famiglia premeva e aveva delle aspettative. Armida non vedeva chiaro, dava
spazio alla preghiera, si accostava ai sacramenti. Nel 1909, durante un corso
di cultura religiosa nell’Arcivescovado di Milano, conobbe Rita Tonioli. Fu un in- contro importante. Rita le propose di aiutarla nella Piccola Opera per la salvezza
del fanciullo e le fece conoscere il gesuita, Padre Mattiussi, che divenne la sua
guida spirituale, confermandola nella scelta di consacrarsi a Dio per l’apostolato
nel mondo. Il 1909 fu per Armida un “Anno di grazia”. Nel maggio 1913 confermò
questa scelta nel Duomo di Milano.
Di animo sensibile, sentiva forte la preoccupazione per l’ateismo del fratello Luigi. La Tonioli le suggerì di parlare con un giovane, che aveva indossato il saio
francescano dopo gli studi in medicina e la militanza socialista. Era l’11 febbraio
1910, quando Armida si recò al convento di Via Maroncelli. L’incontro con fra
Agostino Gemelli fu di quelli decisivi. Dopo aver parlato del fratello, il frate le
chiese di collaborare alla traduzione di articoli per la Rivista di filosofia neoscolastica, nata l’anno precedente.
La nuova attività le cambiò la vita. Abbracciò il francescanesimo, aderì al Terz’Ordine e cominciò a manifestarsi in lei l’idea di consacrarsi nel mondo senza essere del mondo. Padre Gemelli le scrisse: “Il Signore faccia di lei una santa laica
nel vero senso della parola, non come ‘le suore in casa’, ma com’erano le prime
vergini e martiri cristiani, che hanno ingigantito la missione della donna nel mondo. E chissà quale parte hanno avuto nella diffusione del cristianesimo. Così deve fare lei: laica, ma santa”.
Durante la prima guerra mondiale fu segretaria del Comitato per la consacra- zione dei soldati al Sacro Cuore. Il Cardinale Ferrari, preoccupato dagli effetti
dei grandi rivolgimenti sociali, le chiese di prendersi cura delle ragazze. Armida,
dopo una prima esitazione, sviluppò una intensa opera organizzativa. Nacque
la Gioventù Femminile. La sua azione fu talmente efficace che Papa Benedetto
XV le chiese di diffonderla nelle altre diocesi. Diventò il ramo più fiorente dell’Azione Cattolica. L’organizzazione conobbe un successo imprevedibile, aprendo
circoli e sezioni in tutta Italia. Prese la forma di un movimento di massa, capace
di rinnovare la mentalità, ridestare la vita cristiana attraverso una seria cultura
religiosa, libera da consuetudini e condizionamenti, sollecitò le giovani all’esercizio dei doveri in ordine alla vita politica, amministrativa, sindacale, rendendole
consapevoli del loro ruolo nella società. Si schierò per il diritto di voto alle donne.
Contrastò le violenze del Fascismo. Non volle mai prendere la tessera del Partito.
Collaborò alla fondazione dell’Università Cattolica. Fu presente in tutti i passaggi
costitutivi accanto ad Agostino Gemelli, Francesco Olgiati, Vico Necchi e al con- te Ernesto Lombardi. Costruì sull’intero territorio nazionale una rete efficace di
sensibilizzazione e di sostegno del nuovo ateneo. Nel 1929 fondò l’opera della
regalità, che anticipò la riforma liturgica, favorendo la partecipazione popola- re. Nel 1946 Pio XII la nominò vicepresidente generale dell’Azione Cattolica.
In quella veste organizzò le “Missioni sociali” in tutta la penisola insieme a Giuseppe Lazzati. Fu instancabile nell’apostolato. Negli ultimi anni di vita continuò
a seguire le sue opere. Morì a Marzio (VA) il 15 agosto 1952, dopo una lunga e
dolorosa malattia.
Armida Barelli ha incarnato la “santità della porta accanto”. La Chiesa oggi la
propone come un modello di donna che ha testimoniato l’amore di Dio, la passio- ne per la gente, la gioia di vivere per il Vangelo, la fiducia nel domani da costruirsi con la cultura e la fede, la voglia di cambiare la società edificando “la città di
Dio nella città degli uomini”. Con tutta se stessa, fino all’ultimo respiro, ha gridato
al mondo che Cristo è tutto!
don Franco Colombini