Sotto il Campanile 10 Dicembre 2023

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V DOMENICA DI AVVENTO
10 Dicembre 2023 – Foglio n. 240
“Rendete diritta la via del Signore” (Gv 1, 23)

Da tempo, al confine tra Polonia e Bielorussia, donne e uomini, con zaini in spalla, giorno e notte, si avventurano nel folto degli alberi per portare un termos, una coperta, un qualunque soccorso ai migranti che traversano la foresta murata. A Trieste, quanti giungono
stremati dalla rotta balcanica trovano chi li medica e riveste di scarpe nuove i piedi piagati da chilometri di
lungo cammino. A Lampedusa, gli abitanti aprono le porte di casa per condividere un piatto di pasta con
minori e adulti affamati.

Scene di grande umanità, dove l’accoglienza, la relazione, il soccorso compassionevole prevalgono su ogni ragionamento. E la gioia dell’incontro, di un sorriso, dell’offerta di un sollievo, pur momentaneo, lascia tracce indelebili nell’anima di chi ha bisogno. Per chi si trova accolto, è la luce in fondo al tunnel.
Tutti abbiamo vissuto incontri che ci hanno segnato. Il calore di un amore gratuito, il camminare
fianco a fianco con un amico hanno cambiato per sempre il corso della vita. In me sono scolpiti
nomi e volti indimenticabili. Che cosa sarei oggi senza i tanti compagni e compagne di strada?
Anche Dio ci è venuto incontro alla maniera umana e a Natale non ci stanchiamo di guardare quella
povera coppia di giovani genitori che contempla il figlio appena nato, deposto in una mangiatoia,
in cui si è manifestato il Dio venuto tra noi. Tutta la vita di Gesù fu un andare incontro alla gente,
un lasciarsi disturbare, circondare, toccare, provocare dalle sofferenze e dalle solitudini umane.

Equando si nascose ne l deserto o sulla cima solitaria di un monte fu per vivere un altro incontro,
quello con Dio suo Padre.
Domenica scorsa gli adolescenti si posero questa domanda: “Essere cristiani significa osservare i
Dieci Comandamenti?”. La risposta viene dal Natale, un incontro sorprendente con il “Verbo fatto
carne” (Gv 1, 14). Gli occhi lo guardano attoniti e vedono qualcosa di diverso. Scorgono la verità
tanto cercata, riconoscono il senso della vita, scoprono il Dio Amore, sul quale fondare la propria
speranza. Gesù è una persona viva. Quando lo si incontra, non lo si lascia più, lo si segue in capo
al mondo.
Etty Hillesum, giovane ebrea olandese, nell’inferno di Auschwitz, scrisse nel suo Diario:

“Un pozzo molto profondo è dentro di me. E Dio c’è in quel pozzo.

Talvolta mi riesce di raggiungerlo, più spesso pietra e sabbia lo coprono: allora Dio è sepolto.

Bisogna di nuovo che lo dissotterri”. Etty non lasciò mai la mano di Dio pur nell’esperienza della sua massima negazione e nel male assoluto della Shoah fino a confidare: “Vivo costantemente in intimità con Dio. … Una volta che si comincia
a camminare con Dio, si continua semplicemente a camminare e la vita diventa un’unica, lunga
passeggiata”.
Una bella riflessione di Papa Francesco ci aiuta ad entrare nella gioia del Natale

LA STELLA CHE ILLUMINA LE SCELTE DELL’ESISTENZA
In un certo momento qualche “stella” speciale ci invita ad assumere una decisione, a fare una scelta,
a iniziare un cammino. A Dio dobbiamo con forza chiedere di farci vedere quella stella che ci spinge
verso qualcosa in più rispetto alle nostre abitudini, perché quella stella ci porterà a contemplare Gesù,
quel bimbo che nasce a Betlemme e che vuole la nostra piena felicità. In quella notte, resa santa dalla
nascita del Salvatore, troviamo un altro segno potente: la piccolezza di Dio.

Gli angeli indicano ai pastori un bambino nato in una mangiatoia. Non un segno di potenza, di autosufficienza o di superbia.
No. Il Dio eterno si annienta in un essere umano indifeso, mite, umile. Dio si è abbassato perché noi
potessimo camminare con Lui e perché Lui potesse mettersi al nostro fianco, non sopra e lontano da
noi. Stupore e meraviglia sono i due sentimenti che emozionano tutti, piccoli e grandi, davanti al presepe che è come un Vangelo vivo che trabocca dalle pagine della Sacra Scrittura. Non è importante come si allestisce il presepe, può essere sempre uguale o modificarsi ogni anno; ciò che conta è che esso parli alla vita. Il primo biografo di san Francesco, Tommaso da Celano, descrive la notte di Natale
del 1223, di cui quest’ anno festeggiamo l’VIII centenario.

Quando Francesco arrivò, trovò la greppia con il fieno, il bue e l’asinello. La gente accorsa manifestò una gioia indicibile, mai assaporata prima, davanti alla scena del Natale. Poi il sacerdote, sulla mangiatoia, celebrò solennemente l’Eucaristia,
mostrando il legame tra l’Incarnazione del Figlio di Dio e l’Eucaristia. In quella circostanza, a Greccio,
non esisteva nessuna statuina: il presepe venne realizzato e vissuto da quanti erano presenti. Due
volte ho desiderato di andare a visitare Greccio. La prima per conoscere il luogo dove san Francesco
d’Assisi ha inventato il presepe, qualcosa che ha segnato anche la mia infanzia: nella casa dei miei
genitori a Buonos Aires non mancava mai questo segno del Natale, prima ancora dell’albero.

La seconda volta sono tornato volentieri in quella località, oggi in provincia di Rieti, per firmare la Lettera
Apostolica Admirabile Signum sul senso e il significato del presepe oggi. In entrambe le occasioni
ho avvertito sprigionarsi una particolare emozione dalla grotta, ove si ammira un affresco medievale,
che ritrae la notte di Betlemme e quella di Greccio, messe dall’artista come in parallelo. L’emozione
di quella vista mi spinge ad approfondire il mistero cristiano che ama nascondersi dentro ciò che è
infinitamente piccolo. In effetti, l’incarnazione di Gesù Cristo resta il cuore della rivelazione di Dio, anche se si dimentica facilmente che il suo dispiegarsi è così discreto al punto da passare inosservato.
La piccolezza, infatti, è la strada per incontrare Dio. In un epitaffio commemorativo di sant’Ignazio di
Loyola troviamo scritto: “Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo, divinum est”. È divino avere
ideali che non siano limitati da niente di ciò che esiste, ma ideali che siano allo stesso tempo contenuti
e vissuti nelle cose più piccole della vita. Insomma, non bisogna spaventarsi delle cose grandi, occorre andare avanti e tenere conto delle cose più piccole. Ecco la ragione per cui salvaguardare lo spirito del presepe diventa una salutare immersione nella presenza di Dio che si manifesta nelle piccole, talora banali e ripetitive, cose quotidiane. Saper rinunciare a ciò che seduce, ma porta su una brutta
strada, per capire e scegliere le vie di Dio, è il compito che ci attende. A tal proposito, è un grande
dono il discernimento, e non bisogna mai stancarsi di domandarlo nella preghiera.

I pastori nel presepe sono quelli che accolgono la sorpresa di Dio e vivono con stupore l’incontro con Lui, adorandolo:
nella piccolezza riconoscono il volto di Dio. Umanamente siamo tutti portati a cercare la grandezza,
ma è un dono saperla trovare davvero: saper trovare la grandezza in quella piccolezza che Dio tanto
ama. Nel gennaio 2016 incontrai i giovani di Rieti proprio nell’oasi di Gesù Bambino, poco sopra il
Santuario del presepe. A loro, e oggi a tutti, ricordai che nella notte di Natale due sono i segni che
ci guidano nel riconoscere Gesù. Uno è il cielo pieno di stelle. Sono tante, un numero infinito, quelle
stelle, ma fra tutte spicca una stella speciale, quella che spinge i Magi a partire dalle proprie case e
iniziare un viaggio, un cammino che essi non sapevano dove li avrebbe condotti. Succede così anche
nella nostra, sono certo che il primo presepe, che realizzò una grande opera di evangelizzazione,
possa anche oggi essere l’occasione per suscitare stupore e meraviglia. Così, ciò che San Francesco
iniziò con la semplicità di quel segno permane fino ai nostri giorni, come una genuina forma della
bellezza della nostra fede.

don Franco Colombini