Sotto il Campanile 11 Dicembre 2022

Pubblicato giorno 8 dicembre 2022 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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Quinta Domenica di Avvento
11 Dicembre 2022 – Foglio n. 203
“Chi resisterà al suo apparire?” (Mal 3, 2)

 

Vent’anni fa la mia generazione aveva sognato che il cambio di millennio avrebbe lasciato alle spalle il secolo breve delle guerre mondiali e degli stermini. Così non è stato e oggi ci troviamo a contare cinquantanove conflitti nel mondo. Uno di questi esploso vicino a noi da farci paura. L’umanità è in subbuglio. La globalizzazione del commercio non si è allargata ai dritti e ai doveri, per abitare in pace la casa comune. L’ambiente, sempre più maltrattato, è bombardato da siccità, inondazioni, malattie, calore inconsueto, piante ed animali in sofferenza. E sono i più poveri a pagarne il conto. Il virus non si è stancato di mutare e ci ha privato delle abitudini quotidiane, che a fatica tentiamo di riconquistare. Di rado il lavoro è una base stabile su cui costruire la famiglia, mandando in crisi generazioni di giovani e destabilizzando il futuro. Gli affetti sembrano segnati dall’evanescenza. Si consumano in fretta e tramontano nel vuoto della solitudine. La malinconia sembra essere il sentimento più diffuso. Lo ha sottolineato di recente il Censis nel Rapporto Annuale. Viviamo con l’ombrello sempre aperto. Tanti si rassegnano all’ingiustizia, si lasciano andare allo scoraggiamento, cercano spazi individuali di felicità, si abbandonano all’indifferenza. Ma c’è ancora chi lotta tenacemente per il bene comune e vive la fraternità.

Dalle pagine del Vangelo viene in nostro soccorso quella che Peguy chiamava “la fanciullina”. “La Speranza è una fanciullina insignificante. Che è venuta al mondo il giorno di Natale dell’anno scorso. … La Speranza vede quel che non è ancora e che sarà. Ama quel che non è ancora e che sarà. Nel futuro del tempo e dell’eternità. Sul sentiero in salita, sabbioso, disagevole. Sulla strada in salita”.
Duemila anni fa venne tra noi un uomo uguale a tutti e straordinario. Osò credere e piegare la sua vita al progetto di un mondo riscattato dalla schiavitù del male. Seppe amare chi lo inchiodava a un legno, pronunciando parole di perdono e di misericordia. La speranza porta il suo nome. È Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio. Chi ha fede in lui riceve la forza per camminare sulle sue tracce, attratto dalla stessa invincibile tenacia. Non ha alcuna certezza su come sarà il futuro della storia, ma il cuore riposa nella convinzione che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio. … Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia” (Gv 3, 16; Gv 1, 16) e si lascia pervadere dall’amore. Vivere la prossimità nel quotidiano è dare corpo alla speranza del Natale e rendere la malinconia via di redenzione.

Quante volte prendo atto di novità inaspettate! Lo sconforto di vedere i desideri del cuore non trovare pieno compimento conduce spesso ad accogliere con umiltà e serenità la nostra condizione di finitezza e ad aprirci ad un “oltre” e ad un “Altro”. Il dolore per la perdita di una persona cara – un lutto, una separazione, un litigio, una delusione – ci fa cogliere la bellezza dei legami e l’importanza di custodirli. Sovente proprio la malinconia suscita poesia, musica, canto, bellezza, compassione, riedificando nel profondo il tessuto umano. Anche il vero umorismo attinge a questo sentimento per poter “ridere delle cose che si amano e amarle ancora”. Mentre scende una lacrima, grandi e piccoli sorridono per quella strana capacità del clown di lasciar vedere il sole oltre le nuvole e trovare un senso dove sembra essere perduto. Il grande filosofo Romano Guardini scrisse che “la malinconia è il prezzo della nascita dell’eterno nell’uomo”. Sono parole che mi fanno pensare in questo tempo difficile, di attesa, di apertura all’Eterno, che viene nel Natale di Gesù.

Lui è “la luce vera, che illumina ogni uomo” (Gv,1, 9). Nessun miracolo può cancellare con un colpo di spugna le infinite paure che ci abitano o liberarci da situazioni che tolgono il respiro. Ma da quando Dio nella sua onnipotenza si è reso presente nella fragilità di un bambino, dentro il buio più cupo si sono dischiusi sprazzi di luce. Più oscura è la notte, più vicina è l’alba. È di somma importanza saper distinguere tra i bagliori improvvisati dei fuochi d’artificio, le scintille scoppiettanti dell’illusionista e la luce vera, che illumina certe notti che sembrano non finire mai. La tragedia inizia quando si ha paura della luce. Temendola, per chissà quale contorsione della mente, la si respinge. “Venne tra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1, 11). Gesù, incurante dell’indifferenza e della ribellione di chi lo rifiuta, viene ancora. Lui viene sempre. Senza alcuna imposizione. Sicuro che più forte della morte è l’amore (Cdc 8, 6-7a).

La vita è una grande avventura verso la luce. Non mi rimane che pregare, vigilando nell’attesa: “Guidami luce benigna nel buio che mi circonda. Nera è la notte e ancor lontana la Casa. Sostieni il mio cuore vacillante. Nell’oscurità del cammino guidami Tu. Non ti chiedo di vedere oltre e lontano, solo passo per passo, ove posare il piede”. Così pregava il Santo Cardinale John Henry Newman. Nella piccolezza di un Dio apparso nella inermità di un bambino, adoro “il Verbo fatto carne, che ha posto la sua dimora tra noi” (Gv 1, 14). Mi inginocchio come i pastori e mi perdo nella gioia di Colui che annulla la morte, scalza alla radice ogni conflitto e promuove la pace.

 

don Franco Colombini