Sotto il Campanile 11 Febbraio 2024

Pubblicato giorno 8 febbraio 2024 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

 

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ULTIMA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
GIORNATA MONDIALE DEL MALATO
11 Febbraio 2024 – Foglio n. 249

“Con affetto perenne ho avuto pietà di te” (Is 54, 8) 

La prima volta che andai a Lourdes da pellegrino avevo venticinque anni nel lontano 1975.

Fu un regalo del mio parroco don Luigi per il primo anniversario di Ordinazione Sacerdotale.

Un pomeriggio, mentre esploravo ogni angolo delle chiese e dell’Esplanade, mi imbattei in una lunga coda di donne all’ingresso delle Piscine in attesa di bagnarsi nell’acqua del Santuario. Venivano da ogni parte del mondo. Due di loro mi sono rimaste impresse, sedute vicino: una francese, ingioiellata, profumo di Chanel e allure da parigina, e l’altra una popolana dell’Est tutta vestita di nero con la pelle spaccata dal sole dei campi. Non avevano nulla da spartire se non l’inizio della vecchiaia.

La piega dei capelli, le unghie smaltate della prima e le mani grosse e ruvide dell’altra, proprio di chi faceva il bucato e raccoglieva patate.
Le accomunava lo stesso sguardo concentrato e intenso attorno a una domanda, alla supplica che le aveva portate lì: forse un figlio malato, l’attesa di una diagnosi, una disgrazia improvvisa, il desiderio di Dio, … .

La parigina e la popolana dell’est entrambe mendicanti, in coda, pregavano testardamente la Madonna sgranando la corona del Rosario. Davanti a lei, sorelle. Una scena di pietà che non ho più dimenticato. Capii che la sollecitudine fraterna non può fermarsi alle piaghe del corpo, ma deve raggiungere ciò che dentro il corpo sente e pena, per condividere, gioire, soffrire.

“Sentire il sentire dell’altro”, come magistralmente insegna Edith Stein. Viene il tempo che la vita sfiorisce e declina, a volte fra spine e sconforto fino all’appuntamento con il mistero dell’Oltre, alla soglia della morte. Momenti supremi, spesso segnati dalla solitudine, da un sentore di abbandono, di esclusione, di paura, di caduta in oblio. L’amore ci porta accanto ad ogni capezzale e ad ogni esistenza tormentata, per essere “una presenza che accompagna, una storia di bene che si unisce a ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce” (Papa Francesco, Lumen Fidei n. 57).
Gesù, raccontando la parabola del fariseo e del pubblicano, indica ai suoi discepoli la via dell’umiltà. Ci chiede di lasciarci sfiorare dal istero di Dio con delicatezza, sentendoci sotto il suo sguardo, evitando ogni presunzione. Un certo piglio padronale,
la cecità nei confronti della fatica e della fragilità della gente, l’indifferenza davanti al dolore, la sete di vendetta dicono quale considerazione abbiamo di Dio.

La sua presenza scalda il cuore, purifica, è un risveglio di fraternità, un recupero di humanitas e di reciproca cura. È voglia di volerci bene.
Momcilo Jankovic è un medico in pensione. Sulla rivista della gente di strada “Scarpdel tennis” del mese di Novembre parla con entusiasmo del miracolo della vita e della gioia di prendersene cura. Una bella testimonianza da conoscere e su cui riflettere nella Giornata Mondiale del Malato.

I BAMBINI SONO I MIEI MAESTRI QUANDO È ANDATO IN PENSIONE HANNO SBARRATO UNA CASELLA SUL SUO
CARTELLINO: FUNZIONE RIMOSSA. ALLA CONTABILITÀ SANITARIA MALATA DI BUROCRAZIA INTERESSAVA IL SUO BADGE, NON L’APPROFONDIMENTO SULLA QUALITÀ DELLE CURE, NON LA SUA ESPERIENZA AL SERVIZIO DELLE PERSONE MALATE.

Momcilo Jankovic però non ha mai staccato, il mestiere di medico, quello vero, non lo puoi rottamare. È rimasto attaccato ai suoi ragazzi, come li chiama lui, bambini malati diventati adulti, capaci di convivere con qualche cicatrice addosso. Non ha mai dimenticato gli altri, quelli che non ci sono più, strappati alla gioia e al futuro da quei tumori che non hanno ancora una terapia per guarire. Jankovic è un nome che rimanda a Belgrado e alla ex Jugoslavia, ma ha studiato e vive a Milano. in pochi anni è diventato
un riferimento nell’oncologia pediatrica, uno di quei medici che se non ci fossero bisognerebbe inventare.

Ci sono gruppi di fan che lo hanno elevato a mito, ma se glielo dici, lui si schermisce. “I bambini sono i miei maestri”, mi ha detto la prima volta che ci siamo incontrati. Era alla Fondazione Verga, quella che accanto al San Gerardo di Monza si occupa delle leucemie infantili. Per trovarlo sono andato in cerca di un ufficio e di una scrivania nel suo reparto in ospedale. Momcilo Jankovic però non c’era; “è sotto al letto”, mi ha detto un’infermiera. Giocava con un piccolo ricoverato, calvo per effetto delle chemioterapie. Lo faceva sorridere: “In certi casi è importante mettersi alla loro altezza.
Noi adulti facciamo spesso il contrario. E invece ad altezza di bambino si vede tutto con occhi diversi …”.
Una volta un bambino gli ha detto una frase che non si dimentica più: “IO VADO IN UN POSTO DOVE NON VERRÀ NESSUNO DI VOI”. Aveva sei anni. “Ti gela il sangue quando senti parole così”, dice Jankovic. “E tu devi aiutarlo, devi creare un ponte verso la vita e attraversare con lui un territorio seminato di dolore”. I giornalisti, dopo aver parlato con qualche genitore, l’hanno chiamato il dottor sorriso. Viene in mente quel che diceva uno dei padri dell’Oncologia moderna, il grande Gianni Bonadonna, a una specializzanda che una mattina ha visto andarsene i tre malati di cancro che le avevano assegnato. Era scoppiata a piangere, si sentiva inutile, era sconvolta. Bonadonna l’ha chiamata nel suo studio. “Noi dobbiamo sorridere, dottoressa – le ha detto – . Se in corsia ci vedono piangere è finita. Ai malati dobbiamo dare speranza … . Che fiducia può trasmettere al malato un medico che piange?”.
JANKOVIC USA SPESSO IL TUNNEL COME METAFORA PER AFFRONTARE LE EMERGENZE: SE È BUIO, È NORMALE AVERE PAURA.

Ma se qualcuno accende una luce subito ci si sente meglio. Ecco, il medico per Jankovic è quella cosa lì: un riferimento per sperare di farcela, un aiuto quando sei solo e spaventato, un navigatore satellitare che ti orienta in una strada che non conosci e ti porta su quella giusta. Lui ha portato i suoi bambini malati allo stadio, a un concerto, a teatro. “Esaudivo desideri, a volte anche gli ultimi. Quando ci sono diagnosi come la leucemia linfoblastica acuta bisogna attrezzarsi a tutto.

HO VISTO FAMIGLIE PIEGATE DAL DOLORE MA CON GRANDE DIGNITÀ E UN AMORE SENZA CONDIZIONI, EROICHE.

Se vuoi bene a una persona che resiste devi resistere con lui”.
Nessuno è immune dagli imprevisti. Anche Jankovic è passato per l’autostrada del dolore.

Appena laureato gli venne diagnosticato un melanoma alla coroide, nell’occhio sinistro. La radioterapia gli ha fatto perdere l’occhio. Ma lui dice: “Si può sempre cadere nella vita. Quel che conta è rialzarsi. E se qualcuno ti aiuta, è meglio”.

don Franco Colombini