Sotto il Campanile 12 febbraio 2023

Pubblicato giorno 10 febbraio 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

Scarica =====> sotto il campanile 12 Febbraio 2023

 

VI Domenica dopo l’Epifania della Divina clemenza
12 Febbraio 2023 – Foglio n. 212

Spesso sento dire: il mondo non è più come una
volta! È vero. Ogni generazione lo ripete. La storia muta, si evolve, cambia. La speranza di un tempo migliore si agita spesso con la rassegnazione di chi vede tutto rotolare verso il basso. La complessità del momento esige un punto fermo, un filo sottile e resistente per camminare, correre, scalare, senza perderci e farci del male. Questo appiglio sicuro non può che essere la presenza di Dio, la fede nel suo amore, nella Parola fatta carne in Gesù, nel dono
che ha fatto di sé. Il Regno di Dio, come il piccolo seme di senape o l’invisibile lievito nella pasta, germoglia, cresce, si espande, produce frutto, conduce l’umanità verso l’alto.
Così è avvenuto in Israele, quando un mattino trascinarono davanti a Gesù una povera donna scoperta in flagrante adulterio. Secondo la legge antica doveva essere lapidata. Chissà poi se la responsabilità sia stata tutta sua oppure dovuta alla violenza di un uomo! Gesù prese tempo, quasi a suscitare l’attesa di qualcosa di inaspettato, che stava per succedere.

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra” (Gv 8, 7).

Parole sorprendenti, mai udite prima, che anteponevano la per sona alla legge.
Spalancò gli sguardi su un Dio finora sconosciuto, che sapeva accarezzare, consolare, chinarsi sulle ferite e la fragilità di una donna assetata di affetto, comprenderla, senza umiliarla né metterla alla gogna. Insegnò la clemenza e la misericordia. Il peccato e gli errori sono sempre da condannare. Chi sbaglia, no, mai. Va aiutato a risalire la china, ritrovare la purezza del cuore, il pentimento, la voglia di riparare e ricominciare da capo. Ruppe con la saccenteria e la falsità di coloro che presumevano di essere giusti, perché

“il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti” (Sal 34, 19).

Nei giorni scorsi anch’io ho condiviso la gioia per l’arresto di Matteo Messina Denaro. Un passo avanti nel cammino di liberazione dalla mafia, che come una mannaia incombe sulle nostre città del Sud e del Nord. Una lama che condiziona e mutila l’economia, il carattere, la fiducia nel prossimo e nelle istituzioni, persino la fede in Dio. Una maledizione che rovina l’esistenza di tanti giovani e li costringe a fuggire in cerca di una vita normale. Non mi incuriosisce sapere a quanto ammonta il suo patrimonio, mi fa rabbia che per sottrarlo ai legittimi proprietari abbia sprecato e insozzato la sua unica vita.
Provo pena e pietà. Immagino questo uomo in carcere, chiuso in una cella, guardato a vista, sopraffatto dai rimorsi, a fare i conti con la sua coscienza, i tanti crimini, la crudeltà che lo ha portato alla diabolica decisione di sequestrare un bambino, tenerlo prigioniero per 779 giorni, strangolarlo e scioglierlo nell’acido. La scintilla divina è una fiammella fioca sempre accesa nei cuori. Non si spegne nemmeno sotto i venti impetuosi del delirio di onnipotenza che schiaccia l’esistenza. Ascoltare l’urlo della propria anima significa imboccare la strada della libertà. Il vero uomo d’onore sa pentirsi, piangere, chiedere perdono, espiare le colpe, impegnarsi per il bene, tornare sui propri passi, rinascere. Sento affetto per questo uomo sanguinario. Forse è una parola troppo grossa. Mi interessa il mistero che si porta dentro, gli anni che ha da vivere, la salute, la pace interiore. Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati (cfr Mt 9, 9-13).

Spero che la lunga schiera dei giusti, caduti nella lotta alla mafia, e il sangue innocente di coloro, che ha ucciso, lo aiutino a ritrovare la giusta via. Sarà la vittoria della Divina Clemenza e un balzo in avanti per l’umanità.
Ho seguito con attenzione l’ultimo viaggio di Papa Francesco nelle terre devastate dell’Africa. Il richiamo alle guerre dimenticate dai grandi risuona spesso sulle sue labbra. Eritrea, Yemen, Mali, Somalia, Congo, Sud Sudan e altri Paesi massacrati dai conflitti non sono più semplici nomi di un atlante. Le conosciamo nella loro dram- matica realtà di luoghi di sofferenza e di morte. Infinite volte ha denunciato con coraggio e scarso successo le logiche belliche, il traffico di armi, le trame di sfruttamento di popoli e risorse, il “colonialismo economico”, la corruzione del potere, le mire espansionistiche delle grandi potenze, gli “affari vergognosi”, che ne costituiscono il frutto insanguinato.
Si è fatto voce di una terra ferita, preda di sottosviluppo e piena di futuro. Non si stanca di ricordare all’Occidente, distratto e disinteressato, che dietro le guerre, i saccheggi, le ingiustizie, le disuguaglianze tra ricchi e poveri, le terre abbandonate e devastate c’è sempre l’uomo che soffre ed è “immagine e somiglianza” del Dio vivente (Gen 1, 26). Come un padre bussa alle porte dei cuori, supplica, invoca clemenza per i suoi figli. “Giù le mani dall’Africa. Basta soffocarla, non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare”. Quando mai sarà ascoltato? Siamo rimasti tutti sgomenti davanti alla violenza del sisma, che ha colpito l’Asia Minore. Il peggior disastro dal 1939. S’è formato un crepo sulla superficie della terra largo tre metri e lungo più di cento chilometri. L’intera Anatolia si è spostata di tre metri. In pochi secondi palazzi e città sono diventate macerie con migliaia di morti. Intere aree rase al suolo, una distesa di edifici precipitati, famiglie scomparse. Abbiamo visto gente disperata scavare con le mani nel buio della notte alla ricerca dei propri cari. Il terremoto è una brutta bestia, non capisce né rispetta la bellezza, la fatica, i sentimenti degli uomini. Distrugge, devasta, semina morte. Tutti fuggono terrorizzati. Anche in Turchia e Siria, dove da anni si scappa da una guerra fratricida. Nella tragedia avvengono i miracoli. In un attimo sono crollati i vecchi rancori, è scattata la gara della solidarietà, gli uomini sono diventati fratelli. Nel dolore è tornata la pace. Sono riapparse la pietà e la bontà, le virtù eterne che dovrebbero guidare il cammino della storia per evitare che siano gli uomini a provocare tragedie apocalit- tiche e irrimediabili. La divina clemenza non ci abbandona mai.
don Franco Colombini