Sotto il Campanile 12 gennaio 2020

Pubblicato giorno 12 gennaio 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Domenica Battesimo del Signore
12 Gennaio 2020 – Foglio n. 95
“Questi è il Figlio mio, l’amato”

Tanta gente andava ad ascoltare Giovanni Battista sulle rive del Giordano. Predicava la conversione, teneva alta l’attesa del Messia, battezzava per il perdono dei peccati e la purificazione del cuore. Tra la folla c’era anche Gesù, in fila con gli altri per ricevere il battesimo. Giovanni, quando lo vide, manifestò il suo sconcerto, avrebbe voluto impedirglielo. Ma Gesù lo esortò ad accettare senza opporre resistenza. È venuto per colmare la distanza tra Dio e l’uomo, a riunire ciò che è diviso, ad adempiere ogni giustizia. Il disegno del Padre passa attraverso la via dell’umiltà, dell’obbedienza, della misericordia, della solidarietà con l’uomo fragile e peccatore, della piena vicinanza di Dio ai suoi figli.
Quando uscì dalle acque, la voce del Padre si fece sentire dall’alto, riconoscendo in Gesù il Figlio tanto amato, obbediente alla sua volontà, e inviò lo Spirito Santo, che scese su di lui come una colomba.

Il Battesimo di Gesù è il gesto di Colui che si fece uno di noi, nostro fratello, compagno di viaggio. Volle condividere in tutto la nostra povera condizione umana. Si unì ai peccatori – Lui che era senza peccato – per portare sulle spalle la colpa dell’intera umanità. Nell’animo bruciava dall’assillo di dare all’uomo un cuore nuovo, strappare le radici del male, renderlo tempio dello Spirito Santo, figlio di Dio, per compiere le opere che fanno bello il mondo e portano pace. Nessun ostacolo fermò Gesù. In lui ha vinto l’amore.

Questa pagina del Vangelo è rivoluzionaria. In essa vedo la manifestazione della misericordia di Dio, che salva entrando dentro la torbida fluidità del male. Gesù, il solo giusto, si spinse nel caos disarmonico del peccato non certo per eliminare le imperfezioni e cancellare le brutture, ma per condividere il cammino penitenziale di ogni peccatore, trasformare dall’interno il disordine in bellezza, rivestire di misericordia i lembi di umanità denudata. Con la scelta della marginalità del Giordano, Gesù iniziò il suo umile cammino e affermò di voler vivere il suo tempo nella compagnia dei peccatori.

Il Battesimo che riceviamo è l’inizio della vita nuova. Quando cambiamo lavoro o ci trasferiamo in un’altra città, non è più come prima. Spesso eventi di fondamentale importanza ci capitano addosso con la violenza di un terremoto come un innamoramento, una delusione, una malattia, un imprevisto grave. … e ci costringono a modificare i valori, a mettere in discussione le scelte fondamentali, a dare una svolta all’esistenza. Ma la vita nuova del Battesimo è un’altra cosa.

È la vita stessa di Dio data a noi, per la quale diventiamo suoi figli, rinasciamo pieni di amore, perché Dio è Amore. Partecipiamo all’amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Veniamo afferrati nella carne dalla passione di Dio per tutti gli uomini e per la creazione, la stessa violenza interiore che ha condotto Gesù al patibolo della croce. La vita nuova è Dio in noi, il compimento della profezia di Giovanni: “Egli battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Mt 3, 11). È un incendio d’amore inestinguibile nel cuore.

Da sempre noi cristiani abbiamo cercato immagini e simboli per esprimere questo regalo immenso. Una di queste tra le più antiche – già usata da San Paolo – è quella del corpo, il cui capo è Cristo e noi siamo le membra (Cfr 1 Cor 12, 27). Siamo tanti, diversi, eppure formiamo l’unica Chiesa, un popolo. E questa unità è quella dell’amore, che non costringe, non umilia, non limita, ma rinforza, costruisce, lega, ci fa amici. Nel corpo umano ci sono funzioni vitali, essenziali. Mi piace immaginare che la preghiera personale e comunitaria sia il respiro, il battito cardiaco della Chiesa, che infonde la propria forza nel servizio di chi lavora, studia, insegna; rende feconda la conoscenza delle persone istruite; esalta l’umiltà di quelle semplici; dà speranza alla tenacia di chi combatte l’ingiustizia; rinsalda l’unione familiare; sostiene la testimonianza di chi annuncia il Vangelo; apre i cuori di coloro che ricevono l’amore.
Ce lo insegna la storia di Libasse, un giovane senegalese, arrivato da solo in Italia a 17 anni. Qualche giorno fa ha confidato: “A Natale ho festeggiato anch’io. Anche se sono musulmano. Per noi Gesù è una figura importante, grande uomo e grande profeta da onorare. E in questa comunità, fondata da un prete, ho imparato una cosa importante insegnata da Gesù: la gratuità, fare la cosa giusta senza pretendere nulla in cambio”.

Libasse è arrivato da noi, come tanti, inseguendo il sogno italiano, coltivato in un villaggio vicino a Dakar, in cui era nato. Partì da casa, all’insaputa dei genitori, il viaggio in pullman fino in Mauritania, poi il mare, destinazione Spagna, mangiando cous-cous e latte, scrutando l’orizzonte per giorni interi alla ricerca di un profilo diverso dall’acqua. Scappò dal campo profughi, dove l’aveva portato la guardia costiera spagnola, arrivò a Milano ed entrò nel microcosmo dei minori stranieri non accompagnati. Venne assegnato alla comunità Kayròs, che accoglie giovani allontanati dalle famiglie o in espiazione di pena alternativa al carcere.

I primi mesi li passò inseguendo il miraggio di diventare calciatore professionista, come tanti ragazzi africani. Ma un grave infortunio mise fine ai suoi sogni di gloria. La realtà urgeva e Libasse aveva fretta di diventare grande. Prese il diploma di terza media, si iscrisse a una scuola serale di servizi sociali, cominciò un percorso universitario alla Cattolica in Scienze dell’Educazione. E intanto lavorava in un supermercato e per un’azienda dolciaria. Bruciò le tappe, perché – spiega – “non voglio perdere tempo. In comunità mi trovo bene, ma non mi piace la vita comoda, non voglio essere ospite a vita, ora il mio obiettivo è conquistare l’autonomia, farmi una famiglia e avere dei figli”.
Libasse considera Kayròs la sua seconda casa, dove ha incontrato un padre come don Claudio e tanti fratelli in cammino verso un futuro migliore.

Nel cuore di ogni giovane sta un desiderio di compimento e di bene, che può emergere quando incontra un adulto che gli offre amore e testimonia delle ragioni solide su cui costruire l’esistenza. È la Carità di Gesù che, battezzando “in Spirito Santo e fuoco”, compie meraviglie.

don Franco Colombini