Sotto il Campanile 13 Dicembre 2020

Pubblicato giorno 11 dicembre 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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QUINTA DI AVVENTO
13 Dicembre 2020 – Foglio n. 129
In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete (Gv 1, 26)
Ormai è una cosa certa. Le prossime festività natalizie non saranno come quelle degli anni passati. La pandemia di Covid-19 non ha intenzione di fare sconti nemmeno per la nascita di Gesù. Dobbiamo prepararci a un Natale diverso. Povero, sobrio, essenziale, vero. Una nascita. In un luogo umile, fatto di stenti e difficoltà. Un presepe, che ha cambiato l’uomo, il tempo, il mondo. Gesù, il figlio di Giuseppe e di Maria. Giovanni il Battista si lamenta con la folla che lo ascoltava: “In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete” (Gv 1, 26). Noi abbiamo fatto lo stesso. Per anni abbiamo messo da parte Gesù. Abbiamo santificato il mercato e profanato il tempio. L’enorme macchina dei festeggiamenti ha nascosto l’Evento, che fonda la storia: “Oggi nella città di Davide vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore” (Lc 2, 11).

Le ristrettezze del momento ci fanno ritornare alla semplicità, posare lo sguardo su Gesù, che viene sotto il nostro cielo per far rifiorire l’umanità. Si propone come il Dio degli inizi. Con Lui, quando il vento della vita “gira e rigira e torna sui suoi giri e nulla sembra nuovo sotto il sole” (Qo 1, 3-9), è possibile aprire il futuro, generare cose nuove, traversare deserti. A Betlemme i pastori andarono per vedere e si allontanarono pieni di gioia. Si accorsero che era avvenuto qualcosa di inaudito e il mondo stava cambiando. Alla fine di un anno tremendo, che non potrà essere cancellato con un’alzata di spalle, Gesù accende una fiammella, parla al cuore di chi vuole ascoltare, bello come il sogno più bello. Vicino a lui l’anima si infiamma con lo stesso ardore di un abbraccio che sprigiona la vita.

Da bambino mi piaceva restare al buio davanti al presepe illuminato. Le pive, i canti, le ninne nanne mi davano dolcezza. Sembravano venire dall’alto e mi portavano lontano. Pregavo, mi perdevo nel sogno di Dio. Quel Bambino mi incantava, mi affascinava, mi parlava. Stavo in silenzio, senza tempo, a guardare e ascoltare. È stato impossibile negarmi alla sua voce. Sfuggivo al fracasso, al frastuono, alla dissipazione. Amavo il raccoglimento, l’interiorità. Conservo nel cuore un ricordo meraviglioso dei Natali della mia infanzia. Al mattino mi svegliavo presto, sorpreso di vedere i regali davanti al letto. Proprio quelli che desideravo. Andavo alla Messa cantata con i vestiti nuovi, che Gesù Bambino mi aveva portato. Prima del pranzo mettevo la lettera con i buoni propositi sotto il piatto del papà. In piedi recitavo a memoria la poesia imparata a scuola. Il pranzo era preparato con cura dalla nonna e dalla mamma con quello che avevamo. Tutto fatto in casa. La pasta al forno, Il cappone ripieno, l’insalata russa, le verdure dell’orto conservate sotto l’olio e l‘aceto, il salame dei contadini messo da parte per le grandi occasioni, … . Piatti così buoni non ne ho più gustati. Eravamo una famiglia felice. Al pomeriggio andavo dai nonni, visitavo i presepi della parrocchia, giocavo con mio fratello. Non terminava la giornata senza le preghiere e il Rosario. Ero il bambino più contento del mondo. Avevo tutto. L’amore e Gesù.

Il Natale povero di quest’anno è un’occasione per ritrovare Gesù, rientrare in se stessi, staccarsi dalle attività quotidiane, lasciarsi invadere dalla sua luce, guardare il mondo in modo diverso. Un momento prezioso per ritrovare saggezza e creatività, senza le quali si finisce nel vortice di una esistenza ripetitiva e sfibrante. Ci troviamo in pieno disordine globale, nel mezzo di una “terza guerra mondiale a pezzi”, esposti a una pandemia, come non se ne vedevano da un secolo, alla prese con le sue ricadute economiche. Si disgregano le reti che tengono insieme la polis. Si accentuano le divisioni tra le Nazioni, le culture i continenti. Con il Covid si diffonde il contagio della solitudine, che logora fino allo spegnimento. La comunicazione non aiuta, urla, è senza mediazioni, soggetta all’istinto, aliena dalla riflessione, induce a chiudersi, illude di poter fare da soli. Siamo disorientati, preoccupati, impauriti.
In questi mesi abbiamo capito che la soluzione ai tanti problemi, che ci affliggono, non passa da un attivismo affannoso e insensato. L’illusione di un mondo a crescita illimitata e del godimento sfrenato non regge più. È mortificante ritornare a fare quello che facevamo prima, riproporre un modello umano che non lascia respiro, corre sempre più veloce, non ammette pausa, non si ferma a raccogliere i più deboli.

Il Natale parla di un mondo che si fa nuovo a partire dalla fragilità di un Bambino. Porta la pienezza di un amore che mi brucia l’anima e mi fa morire dalla voglia di buttare per aria l’universo intero, strapparlo dalle mani di chi lo rovina, rifarlo bello, giusto, equo, felice. Mi fa lottare contro i mali, che umiliano la dignità dell’uomo e limitano la sua libertà: la povertà, la fame, la miseria, le malattie, l’ignoranza. Mi sprona a fermare le guerre e a disarmare chiunque imbracci un fucile per colpire. Mi spinge a cercare chi si è perso nei pantani del vizio, delle droghe, della delinquenza, come a fratelli da ritrovare. Mi fa sensibile al grido dei poveri e del nostro Pianeta “gravemente malato”. Mi chiama a guardare oltre, a non disperare, a costruire orizzonti di unità e solidarietà, a credere che un mondo nuovo è possibile e si può fare. Mi fa gridare da ogni tetto e in tutte le lingue che Dio è amore, si è fatto carne e solo in lui la vita rinasce.
Ottant’anni fa, nel 1940, uscì nelle sale statunitensi il film di Charlie Chaplin “Il grande dittatore”. Si era alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale. In Europa dominavano le dittature e si incominciava ad intuire il dramma, in cui il mondo stava precipitando. Il peggio doveva arrivare. L’abisso non era ancora stato scoperchiato: 60 milioni di morti, la Shoah, l’atomica su Hiroshima e Nagasaki, macerie e distruzione ovunque. Indimenticabile e profetico rimane il discorso che il barbiere ebreo, scambiato per Hitler a motivo della sua straordinaria somiglianza, tenne alla folla: “Vorrei aiutare tutti, se possibile: ebrei, ariani, neri e bianchi. Tutti noi esseri umani vogliamo aiutarci l’un l’altro, siamo fatti così. Vogliamo vivere fianco a fianco con la felicità del prossimo, non con la sua miseria. A coloro che mi ascoltano io dico: non disperate! Non siete macchine! Non bestie! Siete uomini! Avete l’amore per l’umanità nei vostri cuori! Voi, il popolo, avete la forza di costruire la felicità! Di far sì che la vita sia libera e bella, sia una magnifica avventura! Uniamoci tutti! Combattiamo tutti per un mondo nuovo, che dia a ognuno un lavoro, ai giovani un futuro, agli anziani la sicurezza”. È il sogno di Gesù, il Regno che è venuto a realizzare, il futuro dell’umanità da costruire con Lui. “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc 2, 14).

don Franco Colombini