Sotto il Campanile 13 Gennaio 2019

Pubblicato giorno 11 gennaio 2019 - NOTIZIARIO

 

 

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Battesimo del Signore 13 Gennaio 2019  –

Foglio n. 56 “Tu sei il figlio mio, l’amato” (Lc 3, 22)

Nel periodo di Natale ho ascoltato nella Liturgia e nella preghiera una complessa polifonia di voci, di canti, di profezie, di testimonianze, che mi descrivevano l’unico grande mistero dell’incarnazione di Dio, dove ho colto, come fosse la prima volta, la limpidità dell’annuncio. Nell’ambito della storia si presentò un uomo come noi, tale da oltrepassare in tutta la sua esistenza terrena, dalla nascita fino alla terribile morte in croce, le dimensioni dell’umano e aprirci una porta che fa intravedere la trascendenza di ogni vita.  Un uomo che compì segni straordinari, pronunciò parole che non tramontano, mise in pratica l’amore come nessun altro, rivelò che cosa è l’amore che salva gli uomini; è stato per il mondo immagine e segno di Dio. Un uomo nel quale l’eterno irruppe nel tempo e gli uomini vennero a conoscere le profondità e le altezze della loro esistenza. Egli diventò speranza per l’umanità destinata alla morte, perché, morendo, ci meritò la vita e ci aprì un nuovo futuro. Tutto ciò mi è apparso nella sua nascita, mentre lo contemplavo nel presepe: il debole Bambino,

“avvolto in fasce e deposto nella mangiatoia” (Lc 2, 12) è il Salvatore del mondo. È il mio Salvatore.

Questo è l’intramontabile messaggio del Natale, senza mito né leggenda, che ho ricevuto, come i pastori nella Notte Santa. Ora al Giordano, all’inizio della vita pubblica, Gesù invoca il perdono di Dio, confuso tra i peccatori, e apre la via alla conversione. La sua voce è quella dell’umanità, incapace di disfarsi dal male, che la fa violenta e infelice. Supplica di liberarla, di concederle un cuore nuovo, abitato dal bene. È disposto a pagare di persona, perché questo sogno si compia. Il Padre conferma i suoi sentimenti, gli indica la strada dell’amore più grande, fino al sacrificio della vita. E Gesù la accetta. “Mentre, ricevuto il Battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo, in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: Tu sei il Figlio, l’amato: in Te ho posto il mio compiacimento” (Lc, 3, 21-22). Il tempo della misericordia è iniziato.

A partire da quel momento Gesù cerca la volontà di Dio, ciò che a lui è gradito, perfetto, dà gioia, riempie il cuore, dà sicurezza, allarga i polmoni, diffonde serenità. Gesù è sulle tracce dell’uomo, dovunque si trovi, lo insegue, fino a raggiungerlo sulla croce come un condannato a morte, per restituirlo alla vita. Due giorni dopo la mia nascita, il 22 gennaio 1950, anch’io sono stato battezzato nel Battesimo di Gesù nella chiesa di Marcallo con Casone, dove abitavo, ed ho ricevuto i suoi stessi sentimenti. Lo penso con trepidazione, perché in molti Paesi del mondo tante persone rischiano la morte per averlo chiesto. La parola, che mi ha rigenerato nelle acque del fonte, non viene mai smentita, rimane sempre vera. Dio non la ritirerà mai. Sono sempre suo figlio, qualunque cosa faccia. Dovessi diventare il peggio dell’umanità, disprezzato e rifiutato da tutti, Dio mi chiama “figlio” e mi ama con benevolenza infinita. Tocca a me essere un figlio riconoscente e affettuoso, non un servo diligente.

Ho imparato a superare la fredda obbedienza alla legge per lasciar spazio alla lode, alla familiarità, all’intimità, all’amore profondo verso Colui che mi ha chiamato alla vita. E adesso sono parte di un corpo vivo, dove circola lo Spirito del Signore Risorto come linfa vitale. Il Battesimo mi ha legato indissolubilmente a Gesù e agli altri discepoli, come i tralci alla vite. Nella comunità dei credenti, non c’è posto per le arie, gli arrivismi, i pettegolezzi, le invidie, le gelosie, i rancori. Solo la gioia di volersi bene come fratelli e lavorare insieme per l’avvento del suo Regno. Come è difficile vivere così nella Chiesa! È una grazia grande! Da quel giorno la voce del Padre, che mi ha parlato, è rimasta nel cuore e mi ripete: “Tu sei mio figlio, come Gesù. Continua la sua opera di misericordia. Prenditi cura di ogni uomo e di ogni donna. Non considerare i sacrifici che dovrai affrontare. Porta loro la vita, la gioia, il perdono, l’amicizia, la speranza, il pane, l’acqua, il vestito, la casa, la patria, la terra. Nell’amore tutti devono sapere quanto è grande il mio cuore di Padre e nessuno – proprio nessuno – deve andare perduto”. Ora brucio dalla voglia di realizzare la volontà di Dio, che chiama tutti alla vita e alla gioia piena. Mi accorgo che i suoi sentimenti mi portano lontano. Tra la gente. “Nelle periferie”. Nelle piazze dove gli adolescenti comperano invano una dose di felicità e le donne sono costrette a vendersi per quattro soldi. Nelle fabbriche con gli operai in lotta per il posto di lavoro. Nelle carceri a dare vigore e speranza a chi attende un pieno riscatto. Nelle famiglie a condividere la gioia e la fatica di camminare uniti nell’amore. Vicino alle persone diversamente abili a valorizzare le enormi risorse umane, che possiedono, e costruire un futuro sicuro e sereno a cui hanno diritto. Negli ospedali a sostenere la fragilità di chi è malato e spalancare lo sguardo sulle cose ultime che danno la luce. Nelle case di riposo per ascoltare la saggezza, che viene dagli anni, e donare la tenerezza di un sorriso che rinforza i corpi stanchi. Nelle Parrocchie a continuare la missione della Chiesa che vuole regalare a tutti il gusto di Gesù, della sua bontà che fa crescere e rende santi. Nelle aule della politica e della vita sociale per rispondere alle attese della gente, operando solo ed esclusivamente per il bene comune.

“Dovunque c’è un uomo al mondo, sono io!”. Così si canta nella Liturgia. Così deve essere nella vita. Accanto all’uomo. Mai per giudicarlo, solo per amarlo. Fino alla fine.

don Franco Colombini