Sotto il Campanile 13 Novembre 2022

Pubblicato giorno 11 novembre 2022 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

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Prima domenica di Avvento
13 Novembre 2022 – Foglio n. 199
Vedranno il Figlio dell’Uomo venire sopra le nubi del cielo (Mt 24, 30)

Inizia l’Avvento e la Chiesa indossa i colori viola della penitenza, forse turbata dalle immagini drammatiche del
Vangelo, che raccontano del ritorno del Signore alla fine dei tempi. Eppure tante volte abbiamo cantato l’attesa di
quel giorno con la speranza nel cuore:

“Nella notte o Dio noi veglieremo, con le lampade vestiti a festa, presto arriverai e sarà giorno. Rallegratevi in attesa del Signore”.
Chi ai tempi di Matteo ascoltava questo racconto, intuiva che presto ci sarebbe stata la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio e percepiva, dentro l’atroce dramma del male, il dischiudersi di un mondo nuovo, l’aprirsi di un’epoca diversa. È importante saper leggere in profondità il mistero che si nasconde nel venir meno delle cose. In Avvento attesa e vigilanza camminano insieme. Se davanti ai problemi e al tramontare delle nostre speranze rimaniamo assonnati, anche il nuovo che sta per cominciare scivola via, come ci ricorda il profeta Isaia:

“Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa” (43, 19).
Il discorso apocalittico di Gesù non è una cronistoria anticipata della fine del mondo. Fatti come quelli predetti – guerre, terremoti, carestie, violenza – sono presenti in tutti i cicli della storia e in ogni epoca sorgono profeti di sventura ad annunciare la distruzione di tutto. La fine del mondo comincia ad attecchire quando tiriamo i remi in barca, non abbiamo il coraggio di alzare la testa, rinunciamo a sognare e osare nuovi cominciamenti. Il lamento, la paura, la fuga diventano l’unica musica. L’ora più nera è il momento di riprendere tutto in mano con pazienza e fiducia, aprendo gli occhi sulle cause della rovina, superando la menzogna e l’ipocrisia, evitando di costruire sulla sabbia dei compromessi, del denaro, degli interessi, dell’egoismo verniciato di elemosina, dell’ingiustizia nei confronti dei poveri. L’uomo saggio sa scorgere ovunque sussulti di speranza e sprazzi di gioia. Edifica il futuro sulla roccia che è Dio, sulla Parola che non passa, confidando in Gesù, nell’attesa della sua venuta.

Sappiamo che “Il mistero dell’iniquità” è in atto, ma ogni sua manovra è conosciuta e controllata dal Signore della storia, dalle cui mani nulla sfugge, perché dirige ogni cosa secondo il suo disegno. L’appello insistente e accorato della Parola è di non lasciarci distrarre e impaurire da un mondo che sembrerebbe in crescente preda dal male, ma di fissare lo sguardo su Colui che detiene le sorti del mondo e continua ad abitarlo, affinché gli uomini raggiungano la pienezza della vita. “I cieli si dissolveranno come fumo, la terra si logorerà come un vestito e i suoi abitanti moriranno come larve, ma la mia salvezza durerà sempre, la mia giustizia non sarà annientata” (Is 51, 6)
Mi hanno impressionato domenica scorsa le piazze piene di Milano e Roma per dire no alla guerra. Donne, uomini, ragazzi, ragazze, anziani, giovani, bambini.

Un fiume in piena lungo vie percorse con libertà, decisione, non violenza. Sino a che è diventato un mare di persone, parole, colori, come altre volte in momenti speciali della storia civile e morale d’Italia. Insieme. C’erano con lo sguardo rivolto al futuro, con l’anima e limpide obiezioni di coscienza, con i canti, le preghiere, gli slogan a farsi coraggio, reclamare giustizia, volere verità, chiedere pace, dare la sveglia a chi inclina a rassegnarsi alla guerra. Uniti pacificamente in un pomeriggio pieno di nuvole e sole. Accordati sulle stesse note d’arcobaleno, quelle che, anche quando il cielo sembra scuro, annunciano la fine della tempesta.

Mai come adesso l’Italia ha bisogno di pace. La invoca ogni giorno come l’acqua che non arriva. Quel che mi lascia attonito è il quotidiano cannoneggiamento da una sponda all’altra, che spinge i protagonisti della mischia ad alzare il volume dei concetti e delle parole, sino a perdere il controllo. Questo napalm, sparso con irresponsabile leggerezza, minaccia di inquinare la convivenza civile dell’intero Paese, che attende invece di essere rassicurato sul suo stesso futuro. È tempo dei costruttori, di aprire gli occhi e ascoltare il disagio della gente, riparare gli strappi, sanare i dissidi, rammendare le lacerazioni, immaginare progetti che parlano la lingua della collettività, creare il terreno per dialogare, capirsi, lavorare insieme con la forza di punti di vista differenti a partire da obiettivi percepiti come necessari per tutti.

Ho ricordi molto belli di alcuni viaggi. Quando la sera l’aereo si abbassava sulla città, mi piaceva incollarmi al finestrino e osservare ancora lontano l’infinita ragnatela luminosa. Mi sembrava di tuffarmi dentro un mare di luci. Tutto quel luccichio splendente mi parlava di pace, fratellanza, lavoro, gioia, benessere. Un segnale di speranza per la storia in cammino verso Dio, l’Eterno, il Bene sommo, la Vita per sempre. Alla fine, “come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo … sopra le nubi del cielo con
grande potenza e gloria” (Mt 24, 27.30).
don Franco Colombini