Sotto il Campanile 14 Aprile 2024

Pubblicato giorno 12 aprile 2024 - Avvisi, In home page, in primo piano, NOTIZIARIO

 

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III DOMENICA DI PASQUA
14 Aprile 2024 – Foglio n. 258
“Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6)
Ogni volta che leggo il Vangelo mi si aprono davanti orizzonti sconfinati. L’ho percepito mentre assaporavo i discorsi dell’Ultima Cena, pieni di umanità, commozione, speranza. Gesù non sapeva più che cosa inventarsi per dire ai discepoli quanto li amava. Aveva persino lavato i piedi a tutti. Temeva che si sarebbero scandalizzati per la sorte che l’attendeva. L’ora del tradimento e della morte era arrivata. Ed essi non erano pronti. Quella sera si lasciò andare alla confidenza, comunicò tutta l’angoscia che aveva nell’animo, li consolò con parole cariche di affetto. “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14, 1). Solo un amico poteva parlare così. Non chiese a nessuno di essere all’altezza della situazione, li invitò a non avere paura, a buttarsi fuori, ad andare avanti, a rimanere nel suo amore, a credere nel futuro del mondo, perché non li avrebbe mai abbandonati.
Ricordo quanto mi raccontava la mamma. Anche lei fece l’esperienza dell’ “ultima sera”, quando la sua mamma (mia nonna) malata chiamò attorno al letto i suoi 5 bambini e li salutò per l’ultima volta. Li invitò a volersi bene, andare d’accordo, stare vicini al Signore,
non abbandonare la fede, essere onesti, puliti, buoni, aiutare il papà (mio nonno) e lei li avrebbe protetti dal cielo. Quella notte dormirono nelle famiglie dei vicini. Chi da una parte, chi dall’altra. La mattina seguente la nonna non c’era più. Morì a 39 anni, la mamma ne aveva 9, la più grande 12. Quel messaggio rimase scritto indelebile nel loro cuore.

Non si persero d’animo. Si aiutavano l’un l’altro. Ricevettero i sacramenti della prima Comunione e della Cresima, indossando gli abiti regalati dalla bontà della gente. Il nonno coltivava la terra. Faceva il contadino. Con la fatica dei campi si sobbarcò mille altri lavori per sfamare cinque piccole bocche affamate. La Provvidenza e la “mamma” non mancarono mai dalla loro casa. Erano poveri, ma felci. Quando torno al cimitero di Marcallo, faccio sempre una sosta davanti alla tomba dei nonni. Li ringrazio. Con l’esempio più che con le parole hanno reso grande il cuore dei loro figli. La nonna era una donna semplice, umile, non aveva studiato. La sua unica ricchezza era la sapienza del Vangelo. La fede gli suggerì di lasciare come testamento le stesse parole di Gesù: “Non sia turbato il vostro cuore.
Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me”. E non andarono delusi.
Il Cardinale Pierbattista Pizzabella, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, in occasione della Pasqua ha scritto una lettera alle comunità di Palestina, martoriate dalla guerra, chiedendo di non arretrare, di avere fiducia in Dio, di brillare come tante fiaccole nella notte, perché il “Risorto è ancora qui tra noi, ovunque ci precede. E ci attende”.
FIACCOLE NELLA NOTTE
Nella lettera inviataci qualche giorno fa, il Papa ci ha invitato ad essere “fiaccole accese nella notte”. E davvero la notte di violenza e di guerra iniziata il 7 ottobre scorso sembra non finire mai. L’unica voce forte e decisiva sembra essere quella delle armi.

Vani sono stati i tanti tentativi di cessazione delle ostilità, inutili sembrano gli appelli al cessate-il-fuoco, a risolvere il conflitto in maniera differente che con le armi. Bene ha detto di noi il profeta Geremia: “Se esco in aperta campagna, ecco le vittime della spada; se entro nella città, ecco chi muore di fame. Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per la regione senza comprendere” (Ger. 14,18). Questa crisi tremenda ha segnato la vita di tutti, senza distinzione. Ci si sente soli, abbandonati, forse anche traditi. Il dolore avvolge
tutti e non si riesce a comprendere e interpretare questo tempo.

Una cosa comunque iniziamo a comprenderla: è tempo di ricominciare daccapo. Ci sarà bisogno di un nuovo spirito, di un nuovo slancio, di una nuova visione, dove nessuno sia escluso. Avremo bisogno di scelte audaci, capaci di rispondere alle attese di tutti. Dovremo impegnarci sul serio affinché le parole come “speranza, pace, verità, perdono e incontro” tornino ad avere un senso e vengano percepite come credibili da tutti noi, ponendo nel territorio gesti che poco alla volta ricostruiscono la fiducia così profondamente ferita.

La Chiesa è il Luogo nel quale Cristo regna vivo.

Viva è chiamata ad essere la nostra comunità ecclesiale.

Vivere la Pasqua oggi, ed essere, qui e oggi, uomini e donne della risurrezione, significa avere il coraggio di difendere la dignità di ogni vita, ed essere coloro che hanno ancora il coraggio di scommettere sulla pace, di continuare ad avere fiducia nel prossimo, a non temere i tradimenti.

Essere capaci, senza stancarsi, di ricominciare ogni volta daccapo a costruire relazioni di fraternità, perché mossi non dall’attesa di successo, ma dal desiderio di bene e di vita che il Risorto ha immesso nei nostri cuori.

Vogliamo tutto questo, perché oggi noi crediamo e annunciamo che Dio Padre si è fatto spazio nella vita di ciascuno di noi, per sempre.

La Pasqua è l’irruzione della vita di Dio nella nostra, e l’irruzione del suo amore in noi. Noi oggi diciamo che crediamo tutto questo. Oggi noi annunciamo che questa pienezza di relazione che c’è tra il Padre e il Figlio, da quel mattino di Pasqua, è anche nostra e che quindi non ci sia luogo della nostra esistenza, della nostra storia, che non possa essere potenzialmente casa di Dio, luogo di incontro con Lui.

Non ci sia uno spazio nella vita dove Lui non possa essere presente.

Questa consapevolezza non ci rende esenti dall’esperienza della prova, del dolore, della notte, come constatiamo ogni giorno. Tutto questo rimane, ma non è più una condanna: in queste situazioni può entrare la fiducia che Dio è in noi, che anche da lì Lui può trarre la vita.
Che anche lì Lui darà la vita e non la morte.

Chiediamo e preghiamo che si ripeta per noi quell’evento che ha cambiato la vita di Maria di Magdala, di Pietro e Giovanni e poi
di tutti gli altri discepoli. E, dopo di loro, di tanti profeti e santi di ogni tempo.

Chiediamo qui la grazia e il dono di un cuore capace di scorgere i segni del Risorto, del Vivente in mezzo a noi, di una presenza concreta, consolante, tenera.

Solo l’amore può vincere la morte e superare i confini del tempo. Chiediamo perciò il dono di saper scorgere nella vita delle nostre comunità quell’amore che in questi giorni della Settimana Santa abbiamo celebrato nella liturgia.

E così, nello Spirito del Risorto vogliamo essere il lievito che fa fermentare tutta la pasta (1 Cor 5,6), “fiaccole accese nella notte” e “semi di bene in una terra lacerata da conflitti” (Lettera del Papa ai Cattolici di Terra Santa), il piccolo resto che non cede, non arretra, ma che con entusiasmo e coraggio, vinta ogni paura, lo precede. In Galilea, nelle nostre case, nelle nostre Chiese, dove l’uomo è solo o perduto, là vogliamo andare, per dire ancora una volta, che il Signore ci ha visitato, lo abbiamo visto. Il Risorto è ancora qui tra noi, ovunque ci precede. E ci attende.
don Franco Colombini