Sotto il Campanile 14 Febbraio 2021

Pubblicato giorno 12 febbraio 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO, Senza categoria

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DOMENICA ULTIMA DOPO L’EPIFANIA 14 Febbraio 2021 – Foglio n. 138

Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto (Is 54, 10) “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!”.

 

Nel segreto inviolabile della coscienza il pubblicano si accorse del male compiuto. Provò dolore e sofferenza. Domandò perdono. “Fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto” (Lc 18, 13). Chissà quante volte avrà ripetuto quel grido! Un uomo sincero con se stesso. La conversione parte dal cuore. Solo dentro di noi possiamo comprendere, valutare, giudicare ogni nostra azione e muovere i primi passi verso la verità. Anche il re Davide, dopo essersi macchiato del sangue innocente di Uria, nel vano tentativo di nascondere l’adulterio commesso con Betsabea, si rivolse a Dio con la stessa accorata invocazione: “Miserere! Abbi pietà di me”. Le sue parole sono di una ricchezza inesauribile. Hanno attraversato la storia della Chiesa e della spiritualità. Costituiscono lo schema interiore delle Confessioni di S. Agostino.

Il Salmo 50 è stato amato, meditato, contemplato da Gregorio Magno. Fu segnale ardente di difesa dell’immagine di Dio nelle infuocate prediche del Savonarola e motto di speranza dei soldati di Giovanna d’Arco. È stato studiato intensamente da Martin Lutero, che vi ha dedicato pagine indimenticabili. È lo specchio della coscienza segreta di Dostoevskij e una chiave di lettura dei suoi romanzi. Musicisti come Bach, Mozart, Donizetti e altri più vicini al nostro tempo l’hanno ripensato in musica. Illustri pittori l’hanno descritto con meravigliose incisioni. È soprattutto il Salmo che ha accompagnato le lacrime di tanti uomini e donne, dando conforto e chiarezza. Appartiene alla storia dell’umanità. Parla di me, di noi, di tutti. Meditandolo mi sono ritrovato a ripetere infinite volte – come le litanie di un Rosario – le stesse parole. Una confessione sincera, che nell’amarezza dell’animo ha riportato la pace, la fiducia, tanta tenerezza, un amore senza misura. Un giorno, camminando sui sentieri tra le montagne della Val di Rabbi in Trentino, mi fermai incantato davanti alle cascate del Saent.

Sospeso sul ponticello di legno, che le attraversa, guardavo in alto, senza mai stancarmi. Una meraviglia. L’acqua scendeva a picco per decine e centinaia di metri, in alcuni punti spumeggiava, esplodeva in migliaia di gocce splendenti di luce, si raccoglieva in un laghetto, ripartiva di corsa in mille rigagnoli correndo verso valle. Cercai di immedesimarmi e dicevo: se fossi io là in alto e avessi paura di buttarmi, che cosa farei? Resterei immobile, non seguirei l’istinto di gettarmi nel vuoto, mi fermerei nella paura, non prenderei nessuna iniziativa, sarei un uomo finito. Nel fragore dell’acqua mi apparve il Mistero di Dio e la sua voce mi parlò. L’uomo peccatore confida nella misericordia di Dio, perché lo conosce nel profondo, e si butta. “Grazia, fammi grazia, o Dio, perché il tuo cuore è grande, buono, leale, affabile, fedele. Mi porti dentro di te come un bambino nel grembo della sua mamma. Vivi nella carne quello che provo, fino a soffrine o goderne come cosa tua.

Mi vuoi bene con un amore totale, viscerale, coinvolgente, appassionato. La tua comprensione si fa tenerezza, quando piango di nascosto, mi vedi debole, fragile, cattivo, incostante e forse penso che hai ragione a non ricordarti di me. La tristezza, il mio stesso male ti attira, mi vieni vicino, mi asciughi le lacrime, mi risani, mi rialzi. Vuoi la mia gioia. Tra le tua braccia trovo la consolazione, la forza, la fiducia. Rinasco nuovo, libero, puro. Ricevo il perdono. Tu sei Misericordia infinita. Sulla tua parola getterò le reti. Quando, al termine dei miei giorni, lascerò cadere la vita, accoglila, perché riprenda il suo corso verso l’Eterno. Ogni volta che nell’errore il mio cuore chiede pietà, non rifiutarmi. Sii paziente e benigno. Vieni a cercarmi, liberami dal male e portami dove c’è luce, purezza, gioia ”. C’è un nesso inscindibile tra la conversione del cuore e la riconciliazione sociale e politica. Oggi, dopo quasi un anno di pandemia e con ormai più di 90mila morti, ovunque giriamo lo sguardo, troviamo difficoltà, impoverimento, sfiducia. Il Centro di ascolto della Caritas è testimone di drammi e sofferenze, che tendono ad aumentare. Si sono acuite le disuguaglianze. La Cassa integrazione, il Reddito di cittadinanza e quello d’emergenza non hanno tutelato tutti in modo omogeneo. La Cassa in deroga e i Ristori sono arrivati a singhiozzo e molte categorie di freelance, autonomi e precari sono rimasti scoperti. Imprenditori e lavoratori della ristorazione, della cultura, del turismo versano in una condizione di incertezza totale, senza prospettive. Interi settori economici sono andati distrutti. Il blocco dei licenziamenti ha salvato la gran parte dei dipendenti. Ma non si potrà continuare all’infinito. Le scuole sono rimaste aperte o chiuse con la didattica a distanza secondo i colori delle Regioni senza porre mano ai problemi strutturali. Il tiro alla fune per i vaccini aumenta l’ansia e la preoccupazione.

La fiducia nella politica è scesa ai livelli più bassi. I Partiti cambiano nome, si fondono, si scindono, divorziano, ma falliscono alla prova delle grandi sfide e dei passaggi decisivi. Per settimane il Paese è stato inchiodato in una pantomima dove tutti avevano un pezzo di ragione e nessuno riconosceva i propri torti. Si elencavano infinite decisioni, che ci avrebbero portato fuori dalla crisi, senza accennare ai nulla di fatto clamorosi nelle Regioni che governano. Abbiamo ascoltato odiosi discorsi di barricata, intrisi di vuota ideologia e privi di idee, anziché assistere a un valido confronto tra posizioni legittimamente diverse alla ricerca del bene comune. Uno spettacolo deprimente per il cittadino che cerca di farcela in mezzo a mille difficoltà. Manca la sapienza, “il cibo di cui l’intelletto ha bisogno di nutrirsi” (Nicolò Cusano, 1463), per insaporire il vivere quotidiano, illuminarlo, orientarlo, percepire in profondità i movimenti del nostro tempo, mettere in luce progetti e orientamenti per il futuro, costruire il domani. È ora di mettere in agenda la formazione di una nuova classe politica. Mi viene alla mente l’alta figura di Giorgio La Pira. Per la mia generazione fu l’esempio persuasivo e trascinante dell’impazienza del fare, del mirare in alto, per ottenere al più presto risultati concreti. Coniugò la profondità della fede con il “severissimo e durissimo servizio alla città dell’uomo”, per farla sempre più degna della “città di Dio”. Nell’aspro confronto con la realtà gli fu di grande aiuto “l’arma nucleare della preghiera”. Quando nella tarda primavera del 1976, in un momento politico particolarmente delicato, Aldo Moro andò a trovarlo in ospedale a Firenze, molti si interrogarono sulle misteriose ragioni che avevano indotto entrambi ad allontanare i presenti, chiudere le porte e intrattenersi in segreto colloquio. Più tardi si venne a sapere che avevano deciso di pregare insieme per l’Italia. La Pira fu un contemplativo, un uomo di Dio, di preghiera, di silenzio, un profeta attento ai segni dei tempi, un conoscitore esperto delle antiche Scritture, il contadino della Garonna con l’orecchio teso per terra a cogliere il sussulto dei nuovi germogli nascosti nel ventre della storia, uno statista lungimirante e coraggioso, capace di immaginare nuovi scenari e creare i presupposti per realizzarli, anche quando ogni cosa sembrava andare in senso contrario. Si gettò nella storia – come Gesù – , confidando nel Padre, e la santità fece la differenza.

don Franco Colombini