Sotto il Campanile 14 Gennaio 2024

Pubblicato giorno 13 gennaio 2024 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

 

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II DOMENICA DOPO L’EPIFANIA
14 Gennaio 2024 – Foglio n. 245
“Qualunque cosa vi dica, fatela” (Gv 2, 5)

Gesù iniziò a regalare agli uomini i segni del suo amore durante il banchetto di nozze di due giovani sposi a Cana di Galilea, un villaggio sconosciuto, non distante da Nazareth. Nel bel mezzo della festa il vino venne a mancare col rischio che tutto degenerasse e andasse a catafascio. Maria se ne accorse con quella “attenzione che è già una forma di preghiera” (S. Weil) e costrinse Gesù a intervenire. Così le sei anfore piene di acqua diventarono un vino di ottimo qualità.
La mancanza di vino racconta in metafora l’amore che nel mondo va esaurendosi e sta per finire. Occorre fare qualcosa prima che sia troppo tardi. All’umanità serve un vino nuovo, buono, abbonante, inatteso, che fa il cuore ubriaco di gioia (Salmo 104, 15), lo porta al canto e alla danza, lo costringe a compiere follie. “Qualunque cosa vi dica, fatela!” (Gv 2, 5).

È il suggerimento di Maria: Ascoltate la Parola di Gesù. Rendetela gesto, corpo, sangue, carne. Vivetela in pieno. E si riempiranno le anfore vuote del cuore, si trasformerà la vita, l’animo impazzirà di gioia, l’amore traboccherà, nasceranno cose meravigliose e mai viste prima”.

Ecco il Dio in cui credo! Credo nel Dio di Gesù, delle nozze di Cana, della festa, dell’amore gioioso e danzante. Credo in un Dio felice, che sta dalla parte del vino migliore.

Credo in un Dio che condivide le trame festose di un pranzo, preferisce la casa al tempio, prende parte alla gioia degli uomini, la approva, si allea con l’umanissimo piacere di amare. Credo in un Dio che desidera figli felici più che obbedienti, come gli sguardi  festosi di due ragazzi innamorati. Questo è il volto bello di Dio, che, quando brilla e abbaglia, la pace, tanto desiderata, torna a danzare con noi.
Ho letto di recente la storia dell’amicizia tra due adolescenti, Mahmud e Samir, palestinese il primo, israeliano il secondo, che facevano surf sulla spiaggia di Gaza sotto la guida di un istruttore americano.

È narrata in un romanzo di Nicoletta Bortolotti “Sulle onde della libertà”, ma racconta la storia vera di Dorian “Doc” Paskowtz, asso della tavola e medico, che nei primi anni Duemila impiantò una scuola di surf nella zona oggi falciata dal conflitto con lo slogan: “Fate il surf, non fate la guerra”.

Qui, dove i ragazzi vengono educati all’odio fin da piccoli e si divertono con videogiochi in cui si spara e si guadagnano punti uccidendo i nemici, questa amicizia rompe gli schemi, va controcorrente, offre un’alternativa alla violenza.

Mahmud e Samir con le loro tavole di surf insegnano che si può vivere insieme, volersi bene, quando scatta la molla dell’amicizia.

Entrambi aspettano l’onda giusta per alzarsi e surfare su tutte le loro difficoltà. Non c’è diversità di popoli e di razze, ma solo la spensieratezza di due ragazzi che hanno voglia di vivere felici. Essi incarnano il grande sogno di vedere presto l’onda della pace giungere in questa regione massacrata con tanti Mahmud e Samir pronti a cavalcarla.

Una commovente riflessione di Massimo Calvi, apparsa sul quotidiano Avvenire del 29 Ottobre 2023, pone alla coscienza umana una cruda domanda: “Cosa c’entrano quei bambini?”. Vale la pena far scorrere tanto sangue innocente?

Il Dio di Cana dice di no.
Spalanca invece il cuore all’amicizia, la stessa che ha unito Mahmud e Samir e il mondo è diventato più bello.

COSA C’ENTRANO QUEI BAMBINI

“I bambini giocano alla guerra

È raro che giochino alla pace

perché gli adulti

da sempre fanno la guerra

tu fai “pum” e ridi;

il soldato spara

e un altro uomo

non ride più.

È la guerra”.
I bambini giocano alla guerra, recita una poesia di Bertolt Brecht, perché i bambini non sanno come si gioca alla pace. Nessuno ha insegnato loro come si fa. Giocano alla guerra, perché hanno sempre visto i grandi fare questo, ed è bellissimo “fare pum”.

Ma i bambini non sanno che la guerra non è un gioco, incomincia quando si vuole tutto per sé o non si riesce a vedere la bellezza nemmeno nei disegni degli altri bambini.
Non sanno ancora, i bambini, che, se a giocare sono i grandi, la battaglia non finisce in cucina a fare merenda. L’esito è solo fame, freddo e paura. Andrebbe riletta questa poesia, meditarla in queste ore aiuta a decifrare la cronaca delle sofferenze inflitte ai
bambini di Gaza, a gestire la fatica nel guardare i volti dei piccoli israeliani ostaggi di Hamas, a ricordare i figli ucraini deportati in Russia, a pensare ai minori affidati alla sorte delle onde nella disperata ricerca di un futuro.

Concede un “oltre”, la poesia, che non è rimozione, ma il tentativo di scongiurare l’assuefazione a un male senza senso, fissando un ordine morale di responsabilità; come solo la preghiera può affrontare la grande e terribile domanda su cosa c’entrino i bambini con la sofferenza, accettando che una vera risposta non esiste al di fuori della sofferenza stessa. C’è sempre una guerra nel mondo, un conflitto, i cui effetti diventano insopportabili, quando le vittime sono i più innocenti tra gli innocenti.

Avviene da secoli, ma oggi è ancora meno comprensibile: non siamo nell’era ipertecnologica? Quella dei droni che consegnano gli ordini sulla soglia di casa o dell’intelligenza artificiale che scrive romanzi, delle auto che si guidano da sole e dei robot che sostituiranno le badanti? Abbiamo la tecnologia e le risorse per mandare i turisti su Marte, ma siamo ancora qui a fare i titoli su Re Erode e le stragi dei bambini.

Il mondo in pace guarda con ansia a tutto questo, prova pietà, piange in silenzio e prega.
Probabilmente non ci si chiede abbastanza quanto di questo lusso derivi da un equilibrio di forze generato dall’ingiustizia. E non si coglie che questa pace può essere frutto di un armistizio, il patto di un mondo che la sofferenza dei bambini crede di poterla eliminare
non facendoli più nascere.

Le guerre nascono sempre da un problema di risorse, si tratta di terra o di acqua, di energia o di popolazione.

La “Guerra mondiale a pezzi” è misura anche della crisi climatica e delle tensioni demografiche, la prova di un’umanità che ha dimostrato di saper giocare alla guerra, ma non riesce e non vuole “inventare” e poi insegnare ai suoi figli, ai fratelli e alle sorelle di oggi e di domani, il grande gioco del futuro e della pace.

Quello in cui

“tutti 

i bambini

sono tuoi amici”.

don Franco Colombini