Sotto il Campanile 15 dicembre 2019

Pubblicato giorno 14 dicembre 2019 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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V Domenica di Avvento
15 Dicembre 2019 – Foglio n. 91
Il presepe ci aiuta a restare umani

Vedere Dio, conoscerlo, incontrarlo, dialogare con lui, vivere in amicizia, in pace, nella sua luce, è sempre stato il grande desiderio dell’uomo. Memorabili sono le parole dell’Innominato al Cardinale Federico Borromeo dopo una notte di disperazione: “Dio! Dio! Dio! Se lo vedessi! Se lo sentissi! Dov’è questo Dio?”. La risposta viene da Giovanni Battista: “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio Unigenito, che è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv 1, 18). A Betlemme nell’oscurità e nel silenzio Dio ha svelato il suo volto ed è apparso in tutta la sua la bellezza.

Ho letto e riletto la Lettera Apostolica Admirabile signum, firmata a Greccio il 1 dicembre, nella quale Papa Francesco invita ad allestire il presepe nelle case, nelle chiese, nelle piazze, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle carceri, perché è un segno straordinario, che dice molto di più di quello che rappresenta.
Per noi cristiani il Bambino, deposto nella mangiatoia, è il Figlio di Dio onnipotente, onnisciente, misericordioso e giusto, davanti al quale semplici e saggi cadono in adorazione e sprofondano nello stupore. Giuseppe, l’uomo di cui Dio si è tanto fidato, non è riuscito a trovare per Maria un posto dignitoso. Così Dio entra nel mondo, da lui creato, nascendo nel fienile di un casolare diroccato. Nessuno si accorge che in quella stalla abbandonata, fredda e fuori mano, un neonato sta per spaccare la storia in due.

Non oso immaginare i pensieri, le emozioni, i sentimenti di Maria, la fanciulla di Nazareth, nella Notte Santa. So bene invece che cosa proviamo noi, quando ci sentiamo soli, traditi, malati, abbandonati, dimenticati. Ogni giorno la fede deve tenere a bada e lottare contro il dubbio, che viene dal male, perché tanti uomini si fanno lupi, ammazzano, sbranano, ingoiano i loro fratelli.
Quanta fatica credere in Dio Amore! Abbiamo bisogno di luce. La stella del presepe ci porta alla capanna, dove giace Gesù in una mangiatoia, al freddo e al gelo, scaldato dal fiato di due animali, il bue e l’asino. Ha il volto di milioni di innocenti, che stanno morendo di freddo, di fame, di stenti, di guerra, di abbandono. O quello dei tanti bambini, spesso appena nati, che adulti crudeli, invece di nutrire, stuprano, violentano, barattano. Nel suo piccolo cuore palpitano il dolore, le angosce, le malattie, gli abbandoni, i delitti, le ingiustizie, che la gente in ogni parte del mondo è costretta a subire. Il presepe ricorda il diritto di ogni uomo ad avere un nome e una storia. Ha una parola per tutti. Anche i non credenti o i seguaci di altre religioni possono trovare speranza.

Il figlio di Giuseppe e di Maria è nato per sconfiggere il male e la morte. A Betlemme Dio inizia la rivoluzione del Vangelo. Mette sottosopra il mondo. Sconvolge il quieto vivere dell’umanità. Disturba i sogni dei più forti e dei gaudenti. Restituisce speranza ai diseredati. Chiama a sé gli emarginati. Riveste il peccatore, il ladro e la prostituta di dignità divina. Abbraccia con tenerezza infinita ogni uomo e stende la mano per sollevarlo dagli abissi del nulla. Dio è amore! “Il Figlio, che è nel seno del Padre, ce l’ha rivelato”.
Il presepe fa a riflettere. Mette in crisi. Ci chiama. A nessuno viene chiesto di fare l’impossibile, tutti però possiamo fare qualcosa. La statuetta del Bambino, che deporremo nella mangiatoia la notte di Natale, si fa carne viva tra le nostre mani. Ci chiede un po’ di calore, di umanità, di accoglienza fraterna, di compassione.
L’errore dell’uomo contemporaneo è sentirsi superiore, onnipotente, capace di vincere i mali del mondo con le sole sue forze. Poi basta qualche grado in meno, perché l’inverno faccia le sue vittime. Sono già due i clochard morti a Milano per ipotermia nella prima settimana di freddo. Nica è deceduto sulla sedia a rotelle. La coperta che portava sulle ginocchia non è bastata per ripararlo dal gelo e a evitargli la morte davanti alla fermata del metrò.

Nell’Alessandrino un altro senza tetto non ha superato la notte, perché nessuno ha pensato di indicargli il dormitorio proprio lì di fronte. Carlos, guatemalteco, è morto per una curabilissima influenza a 16 anni. È rimasto sdraiato sul pavimento di una cella per ore, in agonia, nonostante le guardie del centro per immigrati, dove era detenuto, siano passate a fare ben tre controlli. È il sesto minore a perdere la vita, mentre si trovava in custodia americana per aver attraversato illegalmente il confine fra Messico e Stati Uniti. Un diciannovenne di Corigliano Rossano nel Cosentino è entrato più volte con altri ragazzi in casa d’un disabile psichico, che vive solo, in stato di abbandono e disagio sociale, schernendolo, schiaffeggiandolo, picchiandolo mentre era a letto, solo per il sadico piacere provocato dall’aggressione d’un malato impossibilitato a difendersi. Gli stranieri morti in mare non si contano più. C’è chi nemmeno li considera e tiene gli occhi bendati sulla tragedia degli esuli, che scappano disperati dalla propria terra.
Non si è felici per il progredire della tecnica, ma vivendo insieme come fratelli. Fatto grande, Gesù dirà: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Cosa inaudita per l’antichità e ancora adesso scandalosa, a giudicare da quanto nel mondo ci si odia, ci si ammazza, ci si discrimina. Ma a ogni angolo, anche in mezzo alle onde burrascose dell’oceano, si assiste al miracolo della nascita di bambini e allo sbocciare di nuovi germogli di speranza, di impegno, di vitalità. La nascita di Gesù fu una inversione di marcia per il destino dell’umanità. Il presepe ci ricorda quanto siamo fragili e deboli, ci fa umili, sensibili, ci stimola a costruire un mondo più giusto, magari impegnandoci perché ogni uomo abbia una casa dove scaldarsi e allestire il proprio presepe, felice di deporvi il Bambinello nella notte di Natale.

don Franco Colombini