Sotto il Campanile 15 Gennaio 2023

Pubblicato giorno 13 gennaio 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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II Domenica dopo lì Epifania
15 Gennaio 2023 – Foglio n. 208
“Benedetto, fedele amico dello Sposo, che la tua gioia sia perfetta
nell’udire definitivamente e per sempre la sua voce!” (Papa Francesco)

 

A Cana di Galilea Gesù “manifestò la sua gloria”, durante il banchetto di nozze di due giovani sposi, cambiando seicento litri di acqua in vino spumeggiante. In questo evento appare qualcosa di grande, che apre al mistero di Dio. Gesù sta volentieri dove la gente è allegra, si vuole bene, canta, balla, esulta senza formalismi, non disdegna l’ebbrezza del vino, si abbandona all’euforia della musica, si lascia andare all’abbraccio dell’amore.

Dio è così. Scatena la gioia. Si sbilancia, è incontenibile, non sa trattenersi, non rimane chiuso in se stesso, brucia di passione, ci corre incontro, si avvicina, è contento di amarci. Fatica a stare dentro certe situazioni, dove prevalgono la rigidezza, l’indifferenza, il malcontento, il mugugno, la falsità. Importa tornare a custodire il vino nuovo dell’Evangelo, ritrovando il sorriso e lasciando brillare gli occhi. Come il volto disteso di chi ha incontrato il Dio della vita, della gioia, della festa, dei banchetti, della danza senza fine.

Tra questi vedo Papa Benedetto XVI, un uomo discreto, dolce, fermo, intelligente, colto, raffinato, amante del bello, della buona musica, dell’arte. Un pastore “secondo il cuore di Dio”, del quale si è detto molto e si continuerà a parlare per tanto tempo..

“Signore, ti amo!”.

Sono state le ultime parole con le quali si è congedato dal mondo, il testamento spirituale, il testimone che passa a noi, il compendio della sua intera vita di credente, teologo, vescovo, Papa. Nelle parole e negli scritti di Benedetto c’è sempre un oltre, qualcosa che sfugge a considerazioni solamente umane. Mi sembra di vederlo durante le lunghe ore della notte torturarsi la mente nella non facile impresa di chiarire agli uomini che chi ci ha donato il cuore ci ha donato anche la mente. Il pensiero deve interrogare la fede ed esigere che renda ragione di sé. Invece la filosofia contemporanea tende a una deriva relativistica e negativa, ritenendo a priori che l’atto di fede non abbia più alcun significato nel mondo della scienza e della tecnica. Nel tempo della secolarizzazione, avvertì l’urgenza di parlare del Dio di Gesù Cristo, fondamento di ogni vera cultura. Nella sua assenza è nascosto l’assillo dell’umanità in ricerca.
Forse non è stato un caso la folta foschia del giorno dei funerali, come non lo fu 17 anni fa il vento che sfogliava il Vangelo sulla bara di Giovanni Paolo II.

Svanito il contorno, cancellato il Cupolone, spariti i pini sul vicino Gianicolo e ogni altro orizzonte, gli sguardi rimasero concentrati sul feretro, sulle parole, sui gesti, essenziali e sobri a svelare il senso recondito di un’intera esistenza consacrata a Dio e alla sua Chiesa. La nebbia trasfigurava e lasciava correre la memoria al suo timido sorriso apparso sulla loggia di San Pietro fra le ovazioni della piazza il giorno della fumata bianca, il 19 aprile 2005. Per otto anni fu nostro padre. Poi all’improvviso nel febbraio 2013 la rinuncia “ingravescente aetate”. E
il 20 febbraio quell’elicottero bianco nel cielo di Roma, il fragore cupo delle pale, il Papa che se ne andava.

Provai un’angoscia tremenda, quasi finisse il mondo.
Durante le esequie, la voce di Papa Francesco, ancora forte nell’età avanzata, parlando di Gesù e del “suo continuo consegnarsi nelle mani del Padre”, delineò il ritratto del cuore del Pastore che si lascia modellare come da un vasaio “fino a che palpitino in esso i medesimi sentimenti di Cristo Gesù”. Quella di Papa Ratzinger fu una “dedizione grata, orante, sostenuta dalla consolazione dello Spirito, con cui seppe elargire sapienza e delicatezza. … Si lasciò cesellare dal- la volontà di Dio, prendendo sulle spalle tutte le conseguenze e le difficoltà del Vangelo fino a vedere le sue mani piagate per amore”. Mi venne spontaneo pensare alla ferma pazienza con cui Benedetto XVI dovette sottostare alle tempeste che travagliarono gli anni del Pontificato e, prima ancora, alle critiche, spesso aspre e malevole, al suo lavoro di teologo e all’opera di Prefetto della Congrega- zione per la dottrina della fede al fianco di San Giovanni Paolo II.

“Pascere vuol dire amare – continuò Papa Francesco – e amare vuol dire anche essere pronti a soffrire. Amare significa: dare alle pecore il vero bene, il nutri- mento della verità di Dio, della parola di Dio, il nutrimento della sua presenza”.
Sono le parole con le quali Ratzinger dette inizio al ministero petrino. Quasi un presagio di quello che sarebbe avvenuto negli anni successivi e del suo indefettibile impegno a essere collaboratore della Verità, anche a costo dell’impopolarità. Perciò, “come il Maestro”, il pastore “porta sulle spalle la stanchezza dell’intercessione e il logoramento dell’unzione per il suo popolo, specialmente là dove la bontà deve lottare e i fratelli vedono minacciata la loro dignità”. Questa sottolineatura mi rimandò al coraggio con cui Papa Ratzinger affrontò le bufere
(lo scandalo della pedofilia, il caso del vescovo lefebriano negazionista della Shoà, la solitudine dopo il discorso di Ratisbona, il trafugamento di documenti riservati). E sempre quella “mitezza capace di capire, accogliere, sperare e scommettere al di là delle incomprensioni che può suscitare”. Era consapevole della “sporcizia” che abbruttisce la Chiesa, ma la vedeva bella, con errori e difetti, composta di peccatori e di santi. Essi sono i veri rivoluzionari della storia, che insegnano lo stile di Dio.

Non il potere, ma la verità, il diritto, la bontà, il perdono, la misericordia. Ci trasmise una speranza incrollabile. Cristo è risorto, la Chiesa  viva, appartiene al Signore. L’accompagna sulle strade del mondo, sta nella sua barca anche nei momenti della tempesta “Mi conforta la fiducia che tu mi terrai a galla sulla tavola delle tue preghiere”, citando San Gregorio Magno Papa Francesco dichiarò con umiltà tutta la sua gratitudine per i quasi 10 anni di preghiera silenziosa e solitaria “sul monte”, con la quale Papa Benedetto sostenne la Chiesa. E poi concluse: “Come le donne del Vangelo al sepolcro, siamo qui con il profumo della gratitudine e l’unguento della speranza, per dimostrargli ancora una volta l’amore che non si perde.

Vogliamo dire insieme: Padre nelle tue mani consegniamo il suo spirito”. E un raggio di sole allora squarciò la foschia, facendo riapparire il Cupolone. Come un invito ad alzare gli occhi al cielo. L’essenziale è lassù. Mi tornò alla mente quello che Papa Benedetto disse a Cat Tien, una bambina vietnamita, che lo aveva interrogato sull’aldilà, durante l’incontro con le famiglie a Milano nel 2012: “Per dire la verità, se cerco di immaginare un po’ come sarà in Paradiso, mi sembra sempre il tempo della mia giovinezza, della mia infanzia. Sarà come un tornare
a casa”. Mi piace pensare, che dopo il grande salto, quando dalla penombra vespertina, fu abbagliato dalla luce vera, nell’abbracciare l’Amato del suo cuore, Papa Benedetto abbia esclamato “Finalmente!”.

don Franco Colombini