Sotto il Campanile 16 Dicembre

Pubblicato giorno 14 dicembre 2018 - NOTIZIARIO

 

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V Domenica di Avvento 16 Dicembre 2018 –

Foglio n. 52 Lui deve crescere; io, invece diminuire (Gv 3. 30)

 

“Lui deve crescere; io, invece diminuire”. Così Giovanni Battista rispondeva ai suoi discepoli preoccupati e gelosi perché le folle accorrevano a Gesù per farsi battezzare. La gente cercava il Messia e lo ha trovato nel Rabbi di Nazareth. Toccava a lui purificare, “ricreare”, far nuovo il cuore degli uomini, riempirlo di gioia, infondere speranza. L’invito di allora vale anche oggi. È necessario che io diminuisca, scompaia, perché il Figlio di Dio viva in me e compia la sua opera. I 19 martiri algerini, tra i quali i sette monaci di Tibhirine, dichiarati beati il giorno dell’Immacolata, mi indicano la strada.

Essi vivevano in Dio. Passavano la giornata nel silenzio tra lavoro e preghiera. Realizzavano quello che Santa Angela di Foligno raccomandava ai suoi figli spirituali: “Raccoglierci in unità e inabissare la nostra anima nell’infinito che è Dio”. La vita quotidiana, soprattutto in questo periodo natalizio, mi riempie di impegni. Corro il rischio di perdere di vista, o lasciare sullo sfondo, “l’unica cosa necessaria” (Lc 11, 42), di cui parla il Vangelo, l’incontro personale con Dio, condizione prima per affrontare le situazioni e i problemi che mi si presentano senza perdere la pace, la pazienza, la fiducia.

Essi si erano votati all’amore. Avevano scelto la terra algerina, oppressa da violenze e devastazioni, dove vivere il comandamento di Gesù: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, dall’amore che avrete gli uni per gli altri” (Gv 13, 35). Erano una piccola comunità, una famiglia, aperta all’accoglienza, all’amicizia, all’ospitalità, al dialogo. Nel monastero ognuno era a casa sua. Consapevoli di essere in pericolo per le tante minacce ricevute, decisero di restare. L’amore è fedele e non indietreggia mai. Nella notte tra il 26 e 27 marzo 1996, nel silenzio più assoluto, furono rapiti, uccisi, decapitati dalla ferocia fondamentalista. La loro fine può essere solo intuita. È stata un “ad-Dio”, il compimento di una “vita donata a Dio – in anticipo – e a questo Paese”. Qualche giorno prima il priore Christian de Chergé aveva scritto: “La nostra  morte è inclusa nel dono, non ci appartiene”. Le loro teste mozzate furono trovate in maggio sul ciglio della strada. Ora riposano nel giardino del monastero tra i cipressi, accanto alla sorgente d’acqua el Margouma, che rende fertile quest’angolo di terra sulle montagne dell’Atlas.
Una vita semplice, fedele a Dio e agli altri, conduce all’apice della vocazione umana. I monaci martiri di Tibhirine non sono eroi morti per un’idea o una giusta causa. Hanno realizzato il miracolo quotidiano dell’amicizia e della fraternità. Quando si ama qualcuno, non lo si abbandona nel momento della prova. Sono rimasti fedeli all’amore fino alla fine e in loro Dio ha rivelato lo splendore del suo volto buono e misericordioso. Si sono annullati, amando il fratello che toglieva la vita, e nella morte è apparso il mistero di Dio. Hanno realizzato la parola del Battista: “Lui deve crescere e io diminuire”.

Il presepe e l’albero, che sono i simboli affascinanti del Natale, raccontano la straordinaria avventura di un Dio fatto uomo. Portano nelle famiglie, nelle chiese, nei luoghi di ritrovo un riflesso della luce e della sua tenerezza. Contemplando il Dio bambino, che sprigiona calore nella semplicità del presepe, possiamo diventare anche noi testimoni d’umiltà, tenerezza, bontà. La piccolezza non è in contraddizione con la divinità. Essa è libertà. Chi è piccolo – secondo il Vangelo – è leggero, libero da ogni smania di apparire e da ogni pretesa di successo, perché ciò che conta è amare. Tutti siamo chiamati ad essere liberi davanti a Dio, spontanei come bambini. Gesù “avvolto in fasce, deposto nella mangiatoia” (Lc 2, 12) del presepe, è Santo in povertà, piccolezza, semplicità, umiltà. L’abete con la sua altezza ci dice che Dio si è abbassato fino all’uomo per elevarlo dalle nebbie dell’egoismo e del male e farlo suo figlio.

In questi giorni siamo tutti molto colpiti dalla strage nella discoteca di Corinaldo. La dolcezza del Natale, ormai alle porte, stride con il dolore dei genitori, che hanno perso il figlio e con il dramma della giovane mamma, del marito e dei suoi quattro bambini, rimasti soli. Si può morire a 15 anni? È una domanda difficile. Tocca qualcosa che non ci appartiene, perché nessuno è padrone della vita. La morte è la grande nemica e, a qualunque età giunge, è inaccettabile, soprattutto quando si presenta nell’adolescenza o nella giovinezza. Solo la misericordia di Dio conosce i disegni di ognuno di noi. La vita non è bella, perché è lunga, feconda, produttiva. È bella perché è vita e ogni suo momento è una grandezza indecifrabile e indefinibile. L’unica cosa che ci può consolare è sapere che si va nelle braccia del Padre, che ci ama di amore infinito.

don Franco Colombini