Sotto il Campanile 16 febbraio 2020

Pubblicato giorno 16 febbraio 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Domenica VI, Penultima, dopo l’Epifania
16 Febbraio 2020 – Foglio n. 100
Neanch’io ti condanno” (Gv 8, 11)

La domenica penultima dopo l’Epifania è detta della “divina clemenza”. Gesù ce l’ha insegnata perdonando la donna peccatrice, scoperta in flagrante adulterio. Secondo la Legge andava punita con la morte. Il rigore senza appello lasciava al male piena vittoria. L’amore, però, indicava un’altra strada e Gesù la percorse. Il cuore di Dio è grande. La sua gioia è l’uomo che vive. Il perdono fa nuova l’esistenza. La misericordia è il trionfo del bene nel mondo.
Sono passati 20 anni dal Giubileo, che ha accompagnato l’umanità nel nuovo millennio. Nel mio animo rimane indelebile l’immagine di Giovanni Paolo II, inginocchiato sulla soglia della Porta Santa. Un uomo, già ammalato, schiacciato dal peso delle responsabilità della storia. Sono tante le emozioni di quell’anno, a partire dal maestoso raduno dei giovani a Tor Vergata, all’incontro con i bambini, ai grandi temi come la purificazione della memoria, l’ecumenismo, il dialogo interreligioso, i testimoni della fede, la famiglia, la carità, la giustizia. Ma ciò che mi rimane ancora dentro è la tenerezza di una Chiesa che prese per mano il mondo per camminare insieme “nel pellegrinaggio del tempo”.

Lo stupore di allora mi invade con maggior forza oggi davanti a una società che ha preso un altro corso, scaraventando sul cammino dell’uomo i detriti di una deriva, che rende troppo simile questo primo ventennio del millennio a quello del secolo passato, vigilia di catastrofi disastrose per sistemi di pensiero anti-umani e la tirannia dei poteri forti, di cui resistono scorie non ancora smaltite.
Il Duemila fu davvero un anno di “tregua”. Il vento della speranza soffiava forte e creava un clima di “quiete” , come un inaspettato e improvviso respiro biblico di liberazione e di fraternità. Il “riposo” delle armi in molte parti del mondo, l’accorato appello alla giustizia sociale con la remissione del debito pubblico, il richiamo alla dignità individuale, il tono dimesso delle scarse sciagure per mano della natura e dell’uomo, si trasformarono in un planetario atto di omaggio al passaggio da un millennio all’altro. Come se il mondo si fosse fermato, preso dalla meraviglia e dalla gioia di appartenere alla grande famiglia umana. Ma durò poco. Lo spazio di qualche mese, poi il cielo si oscurò e ritornò il buio della notte.

Si scatenò improvvisa la furia del terrorismo. Era l’11 settembre. Fu un’apocalisse. Un inferno. Il male di quel giorno avvelenò per sempre il proseguo del tempo, segnandolo con i tratti di una violenza inaudita. La trasmigrazione dei popoli si fece tragedia. L’amicizia e l’accoglienza cedettero il posto alla paura. Chi ancora oggi si mette in cammino per cercare libertà, pace, tranquillità, o semplicemente pane, trova spesso sui suoi passi il rifiuto, lo stupro, la morte. La caduta del muro di Berlino, smantellato dai colpi di una nuova speranza, sembrò aprire una breccia, far nascere la voglia di incontrarsi, di operare insieme. Ma subito vennero erette altre barriere, più alte, insormontabili. Si delimitarono i confini ben difesi dai fili spinati. Le armi in molte parti del mondo ripresero a tuonare. E il marchio di fabbrica di questo ventennio, la globalizzazione, continua a distribuire i suoi utili nella stessa direzione, che i poveri neppure conoscono. Una storia inquieta, che prosegue impietosa il suo devastante cammino.

“Duc in altum! Prendi il largo!”. Sulla bocca di Bergoglio l’ultimo grido di Giovanni Paolo II è diventato un invito pressante a uscire dall’incantesimo della ricchezza, camminare per le vie del mondo, raggiungere le più lontane periferie, predicare il Cristo morto e risorto, rimboccarsi le maniche, ridare vita all’umanità delirante nei fasti del benessere, aprire i cantieri della giustizia, rifare nuova la società mettendo l’uomo e non il denaro al primo posto, stanare i poteri forti che monopolizzano il pensiero, salvare la terra dallo sfruttamento selvaggio prima che sia troppo tardi.

La misericordia è un’urgenza dei tempi, un amore senza misura, che non si dà per vinto e supera ogni rassegnazione, una luce per riscrivere la storia, guardare gli eventi con tenerezza, sentirci parte di un tessuto vivo, ritrovare le radici del bene e la forza per andare avanti insieme.
Dobbiamo imparare da Gesù, che ha restituito la vita a una donna destinata a morire. C’è sempre una nostalgia di umanità anche nelle storie più turpi. Ricordo un ragazzo ucciso per un regolamento di conti notturni. Era appena uscito dal carcere. All’alba il suo corpo era ancora steso sul marciapiede. Lo conoscevo bene. Mi chiamarono per una preghiera e un ultimo saluto. “Uno di meno. La galera non è servita a niente. Fin quando si uccidono tra loro delinquenti, poco importa”: erano i commenti che sentivo e mi facevano male. Il giovane aveva 20 anni. Feci visita alla mamma in un vecchio stabile. La trovai muta di vergogna e di dolore. Guardando fissa per terra cominciò a raccontarmi di quando il figlio era bambino, andava in bicicletta in cortile, giocava con gli amici, correva su sorridente all’ora di cena. “Da piccolo – diceva quella donna quasi con timidezza – mio figlio non era cattivo”. Era una storia diversa quella che sentivo, non di droga e di esecuzione, ma di una madre venuta dal Sud con tanti figli, impotente, sola a tirar dietro la famiglia con fatica tra quei brutti palazzi grigi tutti uguali. La storia di un povero grande amore.
La vita di ognuno è aperta a un domani migliore. Esiste la bontà nascosta sotto il male. Gesù, perdonando la donna peccatrice, le ha cambiato l’esistenza. Con la misericordia, la pazienza, la determinazione, la benevolenza, la compassione, la fiducia, mettendoci impegno e buona volontà, ascoltando la voce del cuore, daremo un nuovo corso alla storia e costruiremo un millennio migliore.

don Franco Colombini