Sotto il Campanile 16 Gennaio 2022

Pubblicato giorno 14 gennaio 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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II Domenica dopo l’Epifania
16 Gennaio 2022 – Foglio n. 168
Gesù manifestò la sua gloria (Gv 2, 11)

La storia del mondo cammina al passo della debolezza. Sono tante le catastrofi impresse nella memoria
come eventi da non ripetere più. L’11 settembre 2001
colpì al cuore l’umanità con una profonda ferita, condannando migliaia di famiglie alla violenza del terrorismo, scatenato dal fanatismo religioso. Nel secolo
scorso il male assoluto trasformò l’uomo in una belva.
Un carnefice senza pietà. La Shoah non smette di suscitare nel tempo orrore e vergogna. Ancora oggi non
riusciamo a capire come sia stato possibile scendere
così in basso e purtroppo si continua a farlo. Le pestilenze e le epidemie furono eccidi di massa. Sterminarono intere popolazioni inermi e impotenti. Il 2 e il
3 ottobre 1935 l’Italia mosse alla conquista dell’Etiopia.

Lo scontro con l’esercito tribale del Negus fu un autentico massacro, le cui conseguenze permangono vive nella guerra dimenticata tra Eritrea ed Etiopia. I giovani scappano
dalla loro terra, cercano di passare il confine, raggiungere le coste della Libia
e tentare la traversata del Mediterraneo. Un viaggio infernale. Nella notte fra il
2 e il 3 ottobre 2013 su un barcone carico di ragazzi – quasi tutti eritrei disperati – qualcuno incendiò una coperta per segnalare la posizione. La carcassa
prese fuoco e si rovesciò al largo di Lampedusa. 368 vittime. Una strage fra le
tante, che fanno del canale di Sicilia un cimitero subacqueo. Lo scorrere degli
eventi è scandito dalla piccolezza e dalla precarietà. È importante imparare
a vivere dalle miserie e trovare la volontà di rinascere.
Il genere umano continua a credere nella forza e affida ad essa il suo futuro.
Rincorre un’autodeterminazione senza confini, che mai soddisfa né rassicura. Cerca primati sempre nuovi. Si scopre repellente alla fragilità. Espelle gli
indesiderabili. I figli non programmati o difettosi vengono abortiti. Tanti anziani
scomodi giacciono dimenticati nelle cliniche. Si propone il suicidio ai malati
non più autosufficienti e terminali. I disperati, in fuga dalle tragedie della fame
e della guerra, non sono voluti. I diversamente abili faticano a farsi strada
nella società dell’efficienza. I lavoratori sono soggetti alla legge del mercato e
perdono il posto a vantaggio del profitto. Le giuste rivendicazioni sociali della
piazza sono schiacciate dai carri armati, finiscono nel sangue o nelle prigioni.

Il potere, quando soffoca la voce dei deboli, non fa storia. Ne prepara la fine.
L’uomo contemporaneo sembra invocare un deus ex machina, che asseconda i capricci, ammorbidisce la coscienza, esaudisce i desideri, cambia con un
colpo di spugna la scena del mondo a suo piacimento, magari liberandolo dalla
trappola virale, che oggi lo perseguita. Il Cristo, atteso dai popoli e dai secoli
come il potente, il rivoluzionario, il re delle genti, non fu altro che un vagito. Pose
la sua tenda tra noi nella carne di un Bambino. Scelse la pelle dell’uomo. Si rivestì della nostra miseria. Si calò nelle viscere della storia per esserne partecipe.
Non risolse con lo schiocco delle dita gli eventi scomodi o terribili. Nemmeno i
suoi. Terminò la vita esalando su una croce l’ultimo respiro. È uno di noi. Piange,
condivide il nostro lutto, porta addosso lo stesso dolore, patisce la fame, soffre
la miseria, sospira la libertà, cammina nella neve tra i fili spinati, giace dimenticato in un letto o su un carrozzina, sta davanti a una fabbrica occupata, annaspa
nelle acque tumultuose del mare, invoca giustizia, sogna un mondo diverso. Nel
tempo della fragilità ci soccorre un Dio debole. Ci chiede di non abdicare mai
alla speranza del futuro, perché, anche quando non si riesce a vederlo, un futuro
c’è sempre.

Avvenne così per due giovani sposi. A Cana di Galilea Gesù trasformò per loro
seicento litri di acqua in un vino buonissimo. L’evangelista Giovanni si accorse
che era successo qualcosa di grande e scrisse nel suo Vangelo:

“Egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2, 11). L’inizio dei segni
avvenne in una casa di un villaggio sperduto della Galilea durante una festa di
matrimonio, quando capita che qualcuno alzi il gomito e si lasci un po’ andare.
Dio ama la gioia, il canto, l’allegria, la musica, l’ebbrezza del vino, la compagnia
degli amici, le belle tavolate.

La sua presenza scalda il cuore, scioglie gli animi,
sprigiona la libertà. Come sarebbe bello se gli incontri parrocchiali e le celebrazioni religiose fossero come le nozze di Cana! Troppi calcoli, formalità, chiusure
irrigidiscono il volto di Dio in un’atmosfera smorta, senza passione, fredda. Manca il vino puro del Vangelo, lo Spirito, l’incontro con un Dio che ama i banchetti e
sorride con noi nel giorno della festa.
So bene che non tutte le giornate sono uguali. Molte sono difficili. Tante sfide
sembrano impossibili. Le sofferenze colpiscono nel vivo. La vita spesso è dura
e in alcuni momenti manca la lucidità per l’eccessiva stanchezza. Sperimento
anch’io il dolore, la rassegnazione, la delusione, l’incomprensione, lo scoraggiamento.

Ma poi arriva la gioia. Mi ricorda perché sono qui. Mi aiuta a restare
umano. Mi fa sentire la voce che mi ha chiamato e ritrovare l’empatia, quando
pensavo di averla perduta. Mi accorgo di infiniti gesti di bontà che non avevo notato.

Nascosti, silenziosi, umili. Mi riempiono di Dio. Gesù mi viene incontro nella
fragilità, nella debolezza, nella semplicità dei suoi doni. L’ebbrezza dello Spirito
mi ristora. Tutto è amore.

Vorrei fare di più, arrivare ovunque, non lasciare indietro nessuno, osare l’impossibile, essere un piccolo segno della sua gloria, dare
valore ad ogni vita, ricominciare da capo tutti i giorni e in qualsiasi alba. É Gesù il
Sole che risplende sull’umanità, come cantava Modugno in un vecchio stornello:
“E vene o’ sole … Sole, sole, sole”. Il suo amore spazza via il buio, la paura, la
noia, la pigrizia. E la storia torna a sorridere e a correre sulle strade del bene.
don Franco Colombini