Sotto il Campanile 17 Ottobre 2021

Pubblicato giorno 17 ottobre 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

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Dedicazione del Duomo di Milano
17 Ottobre 2021 – Foglio n. 155
“Le mie pecore ascoltano la mia voce” (Gv 10, 27)

Oggi riprende l’appuntamento domenicale “Sotto il campanile”. È passato un po’ di tempo per la pausa estiva e per un guasto alla stampante, che l’ha messa fuori uso. Ora l’abbiamo presa nuova e a colori.
La Terza Domenica di ottobre è la Festa della Dedicazione del Duomo di Milano, la Chiesa madre di tutti noi Ambrosiani. Le parole di Gesù in risposta alla domanda dei Giudei: “Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono” (Gv 10, 27) mi riportano in Molise, dove in agosto ho trascorso quindici giorni di vacanza.
È una terra bellissima, estesa, ricca di paesaggi, di storia, di boschi, di ulivi, di vigneti, di cielo limpido, di monti leggeri, di valli ondulate, di pascoli selvaggi, di sassi, di borghi, di cultura, di umanità, di pensiero, di fede, di tradizioni secolari, di braccia forti, di incanto meraviglioso, di mani incallite. Ho risentito i suoni del silenzio. Ho capito il fascino dei monasteri, la scelta di restare nonostante tutto del mio amico Francesco, la forza del tacere, il genio del pensare. Che pace andare al di là delle cose, perdere la nozione del tempo e dello spazio, rompere la frontiera tra il visibile e l’invisibile, vivere la comunione con i Santi, parlare con Colui che è il Trascendente, l’Infinito, il Creatore, la Vita, la Luce, l’Amore, il Tutto! Su quei sentieri silenziosi il Mistero mi veniva incontro, mi superava da ogni parte, allargava i limiti della mia povertà, avvolgendomi di gioia soffusa. È stato molto bello. Indicibile.
Ho condiviso con i giovani di Azione Cattolica della Diocesi di Isernia l’esperienza di Pietro, la notte oscura del tradimento, la confusione della coscienza, lo “scandalo” di un Dio povero, sofferente, sconfitto, che nell’abisso del male ha svelato l’amore più grande. Con loro ho meditato e pregato. Ho rivisto il volto di Gesù trasfigurato dalla Croce e illuminato dalla risurrezione. Nessun altro volto poteva apparire più splendente. Sono tornato bambino giocando felice come fossero i miei amici di sempre. Ho percepito il cuore della Chiesa che si trova a suo agio sulle strade, negli ospedali, nelle prigioni, nelle baracche, nei manicomi, dove si soffre, si piange, si paga nelle carni le devastazioni del peccato, la prepotenza dei ricchi, il delirio dei potenti. Quei tre giorni hanno lasciato un segno profondo nel mio animo. Tanta gioia.
Ogni mattina da Le Noci scendevo a Ceppagna a celebrare l’Eucarestia. Mi aspetta va il sacrestano. Io e lui. Mancava la folla delle grandi occasioni, ma la chiesa era piena. Nel Pane consacrato e nel mio cuore c’era tutta la mia gente, il mondo intero.
La strada, che facevo, correva in mezzo agli ulivi. Spesso mi capitava di incontrare un giovane pastore in piedi sotto le piante, all’ombra, col bastone in mano, mentre le pecore pascolavano tranquille. La radura sapeva di lana, di belati, di acre odore di gregge. Lo scampanio creava aria di festa. Un cane bianco faceva da guardia perché nessuno si  avvicinasse. Un giorno lo vidi avvolto nella sua camicia colorata, sdraiato con la testa appoggiata sul dorso di una grossa pecora. Ai piedi aveva due agnellini. Riposava, forse per la stanchezza o la frescura dell’aria mattutina. Mi fermai un poco distante per non
disturbare. Sarei rimasto per ore a contemplarlo in silenzio, mentre la mente si riempiva delle immagini di Betlemme e delle parole di Gesù: “Io sono il buon pastore” (Gv 10, 11).
“Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano”
(Gv 10, 27-28). Mi tacqui e rimasi in attesa. Gesù era nell’Eucaristia che avevo appena celebrato. La fede, la speranza, il mio cuore erano in quel punto. Non avevo bisogno
di meditare. Bastava guardare in silenzio. Il Mistero splendeva luminoso, abbagliante.
Ecco la Chiesa. Gesù col suo popolo. Posso chiamarla in cento modi affettuosi, tutti belli e giusti: madre, casa, famiglia, maestra, ma è soprattutto “il popolo santo di Dio”, pieno
della sua presenza, fatta di tenerezza, vicinanza, condivisione. Il pastore per le pecore è disposto a morire. Il suo progetto è che abbiano la vita in abbondanza. Siamo conosciuti,
ognuno con il nostro nome. Gesù ci guarda con amore e comprensione. Veglia nelle oredel giorno e della notte, perché nessuno vada perduto. E ci sono altre pecore lontane,
disperse, in pericolo. “Anche queste io devo condurre, ascolteranno la mia voce e diventeranno
un solo gregge e un solo pastore” (Gv 10, 16).
Il gregge di Gesù è la sua Chiesa. Incarna il domani, la profezia di una nuova umanità. Ora è stata chiamata a mettersi in cammino alla riscoperta di se stessa, a prendere sul
serio il tempo che le è dato, a scrivere pagine luminose di storia sacra, a collaborare all’opera di Dio nel mondo, docile alla voce del Pastore. Non c’è tempo per restarsene
immobili in attesa di sviluppi e istruzioni e nemmeno è possibile lasciare margine allo scetticismo, tossico come erba infestante. Il percorso sinodale ha messo in moto tutti,
dagli animatori di parrocchia, ai responsabili di Azione Cattolica, fino ai gruppi ecclesiali e a chi se la cava con poche pratiche rituali. Mi viene davanti agli occhi il pastore di Ceppagna.
Il Signore chiama ad una ad una le sue pecore, le raccoglie in unità, parla con il cuore, le manda nella società multiforme e disorientata a portare la gioia di doni che
fanno libera l’umanità e la spalancano agli orizzonti della pace. Proprio come l’alba di    quel lontano mattino sulle rive del lago di Tiberiade. Quando tutto è incominciato.

     don Franco Colombini