Sotto il Campanile 18 Aprile

Pubblicato giorno 17 aprile 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

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III DOMENICA di PASQUA
18 Aprile 2021 – Foglio n. 147
“Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14, 9)

 

“Non sia turbato il vostro cuore” (Gv 14, 1), ci dice oggi Gesù. Anche San Paolo, nel pieno delle persecuzioni, confida ai cristiani di Colossi: “Io sono lieto” (Col 1, 24). È difficile per noi raccogliere questo invito. Ricordo un’antica domanda, formulata negli anni 70 dallo storico Jean Delumeau: “Il cristianesimo sta per morire?”. Se lo chiedeva in anni di effervescenza, di dibattiti, in una Chiesa postconciliare folta di gruppi, di discussioni, di nuovi carismi. Oggi le cose sono cambiate. Penso all’incendio di Notre Dame nella notte tra il 15 e il 16 aprile 2019 a Parigi. È stato un fatto enorme che ha spinto credenti e non credenti ad andare al di là dell’evento, a interrogarsi sulla fede, a vedere nella cattedrale che bruciava una crisi in atto, una malattia, in cui il corpo ecclesiale stava mostrando parametri vitali vicini alla fine. I numeri parlano di un declino sempre più grave. La vita comunitaria rischia di limitarsi a una sterile gestione dell’esistente. Il disinteresse si spinge fino all’irrilevanza sociale. La Chiesa attraversa un momento di fatica, tanto che qualcuno parla di “crisi terminale”. Eppure il sentimento religioso è vivo e l’umanità ha voglia di Dio.

La gioia, l’entusiasmo, la passione, le vie del futuro vanno ricercate agli inizi, quando tre donne di buon mattino andarono al sepolcro a prendersi cura del corpo di Gesù e “guardando, videro che il grande masso era già stato spostato”(Mc 16, 4). Provarono stupore, disorientamento, paura. Entrarono nella grotta. Un giovane messaggero dette loro la notizia tanto attesa: “Gesù, che avete visto crocifisso, è risorto” (Mc 16, 6). Quel mattino il mondo si era fatto nuovo, fresco, luminoso. I macigni erano stati rotolati via e le pietre rovesciate. Avrebbero dovuto gioire, invece ammutolirono. “Non è qui!” (Mc 16, 6). Che bella questa parola! Mi piace da morire. Lui c’è, vive, è il vivente, ma va cercato in giro per le strade, per le case, dovunque, eccetto che fra le cose morte. “Lui è in ogni scelta per un più grande amore, è nella fame di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’ultimo respiro del morente” (G. Vannucci).
Le sorprese non erano finite. Il giovane messaggero affidò alle donne disorientate il compito di portare il grande annuncio. “Andate e dite. Vi precede in Galilea” (Mc 16, 7). Gesù Risorto non sta fermo. È un migratore, ama gli spazi aperti, apre cammini, attraversa muri, spalanca porte. Un seme di fuoco che si fa strada nella storia. Avanza alla testa dell’umanità verso le frontiere estreme della vita. Sta davanti a ricevere in faccia il vento, la morte, il sole del primo mattino, senza arretrare di un passo. Mai.
Il Vangelo di Pasqua svela un segreto straordinario, un movimento d’amore che impedisce alla vita di restare ferma. La rimette in moto dopo ogni morte. La rilancia quando sembra soccombere. Nessuna violenza ha la forza di arrestarlo. Per un uomo che uccide, altri cento curano le ferite e mille ciliegi fioriscono a primavera. Un movimento senza fine. Un flusso vitale dentro al quale è presa ogni cosa che vive e rivela il nome ultimo di Dio: “Io sono la Risurrezione e la Vita” (Gv 11, 25) .

Qui c’è la gioia, “la via, la verità e la vita” (Gv 14, 6). Sorge l’aurora di una Chiesa semplice e povera che rivela con l’amore la bellezza del volto di Dio. Nascono donne e uomini liberi, forti, puri. Costruttori di un nuovo cielo e di una nuova terra. Artigiani di giustizia e di pace. Sale, lievito, luce della società. Abbattono le divisioni con una parola di fratellanza, un gesto di comunione, una preghiera di unità. La fede è molto più forte del potere mondano e politico. Fa miracoli. Lo vince con l’umiltà del servizio e la mano tesa a incontrare, accogliere, soccorrere, condividere. Il Risorto incendia le esistenze, brucia le paure, spinge al largo della storia, tiene accesa la speranza. I rivoluzionari del vangelo hanno il suo sangue nelle vene, non si tirano indietro, rimangono nel mondo, non pensano a se stessi, affrontano il male con il bene, l’impegno, il sacrificio della vita. Sono felici di esistere per Lui. Le comunità cristiane non andranno mai in crisi, se porteranno nel cuore gli stessi sentimenti di Gesù e faranno propria la sua missione.

Mi sembra adatta ai nostri tempi la preghiera di Padre David Maria Turoldo. “Restituiscimi all’infanzia, Signore, fa’ che ritorni fanciullo, al sapore vero delle cose, al gusto del pane e dell’acqua. Signore, salvami dall’indifferenza, da questa anonimia di uomo adulto e fa’ che tutto il popolo sia liberato dalla senilità dello spirito. Salvami dall’abitudine delle cose sacre e fammi godere il miracolo della luce e quello dell’acqua viva che sgorga dalle pietre; il miracolo delle primavere come quando, fanciullo, mi sorprendevo nei campi uguale a un calice colmo di gioia per il dialogo amoroso con le piante e i monti e gli uccelli”. La purezza, la trasparenza, la luce, la semplicità delle origini caricano il cuore di gioia e di entusiasmo.

Nella domenica dedicata all’Università Cattolica non posso non ricordare Armida Barelli, una donna eccezionale, tra le più rilevanti del 900 italiano. Ha segnato la storia del Cattolicesimo in decenni nei quali essere cristiani non era affatto semplice. Nacque a Milano nel 1882 in una famiglia dove si respirava aria risorgimentale. Studiò in Svizzera dalla Suore Francescane. Vivace, indipendente, poco attratta dalle devozioni tradizionali, cercò un incontro personale con il Signore. Accarezzò il sogno missionario. “O suora missionaria in Cina o mamma. Zitella mai!”, confidò alle amiche. Si dedicò alle opere di carità per i fanciulli e a 29 anni scelse la strada della “verginità e apostolato nel mondo”. Una decisione convinta. Nel 1910 conobbe Padre Agostino Gemelli, che le disse: “Il Signore faccia di lei una santa laica come erano le prime martiri cristiane: spose, madri, sorelle e sante”. Nel 1918 fondò la Gioventù Femminile Cattolica Milanese, chiamata a questo incarico dall’allora Arcivescovo, il beato Cardinale Andrea Carlo Ferrari. Per mandato del Papa Benedetto XV questo movimento si estese a tutto il territorio nazionale, diventando il ramo più fiorente dell’Azione Cattolica. Partecipò alla progettazione e alla realizzazione dell’Università Cattolica, che proprio lei volle dedicata al Sacro Cuore, perché “se non la intitoleremo al Sacro Cuore, con le nostre sole forze non ce la faremo e falliremo”. Nel 1929 fondò l’Opera della Regalità, per favorire la partecipazione popolare all’Eucaristia con la traduzione dei testi in italiano, anticipando la riforma liturgica del Vaticano II. Fu una delle tante intuizioni che fecero di lei una donna di azione e di preghiera. Un carisma che Armida mise nell’Istituto Secolare delle Missionarie della Regalità di Cristo: donne consacrate e attive nel mondo. Fu irremovibile di fronte al Fascismo e non volle mai prendere la tessera del partito: “Non con la violenza, l’odio, la guerra fratricida si possono condurre gli animi alla pacificazione sociale”. Quando nel 1946 Pio XII la nominò Vicepresidente Generale dell’Azione Cattolica, si dedicò a un’intensa opera di formazione sociale e civica. Organizzò in tutta la Penisola le “Missioni sociali” per dare una coscienza civile alle donne e sollecitarle a partecipare alla vita politica, amministrativa, sindacale. Nel 1949 avvertì i primi sintomi della malattia. Morì a Marzio il 15 agosto 1952. Un’esperienza laicale feconda. Una figura straordinaria del nostro tempo. Una testimone entusiasta del Cristo Risorto. Una santa del nuovo millennio da seguire e imitare.

don Franco Colombini