Sotto il Campanile 18 Dicembre 2022

Pubblicato giorno 18 dicembre 2022 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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Sesta Domenica di Avvento
18 Dicembre 2022 – Foglio n. 204
“Rallegrati, popolo santo, viene il tuo Salvatore” (Is 62, 11)

Una sera, al termine delle benedizioni natalizie alle famiglie, tornai a casa colpito dalla solitudine di una signora anziana. Seduta sulla sedia, mi sussurrò con le lacrime agli occhi: “Natale a me mette tristezza. Spero che le feste passino in fretta”. Aveva addosso la malinconia di un
giorno felice che apparteneva al passato. Purtroppo per molti è ancora così. C’è frenesia e nervosismo nell’aria, ma poca gioia. Ci si riempie di cose che chiamiamo regali. Fantastichiamo viaggi low cost nei paesi caldi o settimane bianche sulla neve. I giovani si adattano al clima di indifferenza che dilaga. Il volto dei credenti è spesso velato da una patina di malcontento, una depressione latente che non si sa come affrontare, tradita da una lamentosità insistente, dal pettegolezzo che indugia sugli altri. Nel cuore abbiamo tante sensazioni di vuoto, mentre la liturgia di oggi ci ripete:

“Rallegrati, popolo santo, viene il tuo Salvatore! Siate
sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti.

La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino” (Is 62, 11; Filip 4, 4-5)

Al centro del tempo di Avvento si staglia, più bella che mai, la figura di Maria.
Mi viene difficile pensare a lei senza scendere nei meandri del male, al quale ha schiacciato il capo. Che mistero insondabile! Da dove è sbucato il “serpente” antico? Se il suo morso ci avvelena, perché ne avvertiamo il fascino e ci lasciamo sedurre? Jaques Maritain scriveva: “La certezza fondamentale, la roccia su cui ci dobbiamo saldamente aggrappare in questo problema del male morale è l’innocenza di Dio”. Abbiamo a che fare con un Dio inquieto, che non vuole vederci tristi e insoddisfatti. Si dà da fare per realizzare il suo sogno più grande. Un atto geniale che solo la sua fantasia divina poteva inventare, pur di strapparci un sorriso. Si innamorò di un’umile fanciulla di Nazareth, osando rivolgerle una vera proposta di amore:

“Desidero che tu sia la madre di mio figlio”.

Un affetto gratuito, terso, limpido, senz’altra ragione che se stesso. Maria accettò. Si affidò a Colui, al quale nulla è impossibile, e
“il Verbo si fece carne” nel grembo di una donna. Il Dio con noi, l’Emanuele, entrò nella storia. Divenne compagno di viaggio dell’umanità di tutti i tempi.
Portarsi dentro Dio, essere invasi dalla sua presenza, carne della sua carne, è l’inizio della vera gioia.
Appena nasce un bambino, quando ancora non è stato asciugato e avvolto nel morbido dei panni, lo si mette in braccio al papà o lo si appoggia alla pancia stremata della mamma, la guancia schiacciata, tenera contro il braccio.

Un momento unico, delicato, ineffabile. E dorme per ore e giorni. Cresce ricevendo carezze, sorrisi, attenzioni, premure. Un abbandono totale, pieno, denso di fiducia, che riempie l’esistenza di coloro che lo hanno chiamato alla vita. Il Bambino di Betlemme, arrivato in modo impensato, è Dio che si lascia andare alle nostre cure. Si affida a noi. Nell’accoglierlo ci ritroviamo forti come non sapevamo di essere, sazi di gioia, determinati a creare un mondo buono, entusiasti di andare verso il futuro, disposti a lottare contro il male e il dolore, liberi dalle
paure. In Lui incontriamo il divino e una felicità inspiegabile. L’amore compie il mistero dell’Incarnazione e l’invisibile espandersi della vita. Mi piace stare al buio davanti al presepe. Nella piccolezza di un Bambino, avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia, contemplo la più alta verità dell’uomo e mi perdo nello splendore della gloria di Dio.
Era ormai tardi, quando giunse anche per me il termine della giornata. Stanco, ma contento di essere stato un piccolo strumento nelle mani di Dio. Prima di coricarmi, pregando, mi soffermai sulla notizia che Papa Francesco aveva pianto in Piazza di Spagna davanti all’Immacolata, lasciando tutti senza parole. Il mio pensiero andò a questi lunghi ed estenuanti mesi di guerra, alle povertà e ingiustizie del mondo. Oltre alla povera gente non ho mai visto nessuno piangere.

Solo rabbia, recriminazioni, calcoli, giustificazioni, previsioni, discussioni, mentre le vittime rimangono dimenticate sullo sfondo. Sappiamo poco dei bambini, delle donne, dei vecchi, dei malati, dei giovani impauriti, che partono senza sapere se faranno ritorno. La guerra è guerra, anche se le si cambia il nome. Chi la vuole, sta al sicuro nei palazzi del potere, ben protetto e difeso. I figli dei poveri vanno al macello. Per questa gioventù senza volto né nome – e forse senza degna sepoltura – , per i vecchi abbandonati al gelo, le vedove, le mamme, i papà, gli orfani, nessuno dei grandi di questo mondo ha versato una lacrima. Lo ha fatto il Papa di Roma, in pubblico, senza vergogna e ostentazione. Chissà quante altre volte avrà pianto nel silenzio della sua stanza, davanti al tabernacolo, ai piedi della croce. I nostri nonni e genitori ci hanno lasciato in eredità tradizioni, processioni, fiaccolate, pellegrinaggi, canti, scaturiti dalla loro intensa devozione. E mille Madonnine affrescate, dipinte, scolpite, ricamate, intagliate, piccole e alte, preziose o di scarso valore. Sono il tesoro della fede. Niente deve andare perduto. Nemmeno le lacrime di Francesco che, ne sono certo, sono state raccolte da Dio.

don Franco Colombini