Sotto il Campanile 18 Marzo

Pubblicato giorno 17 marzo 2018 - NOTIZIARIO

 

 

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Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete

Il Vangelo della resurrezione di Lazzaro mi fa ricordare un incontro con i giovani diciottenni. Una domenica pomeriggio mi hanno invitato – come le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria – per pormi delle domande inquietanti sulla sofferenza, la malattia, la morte.

Qual è il senso? Come restare vicino a chi sta terminando la vita e condividere il dolore dei familiari? Che dice Dio di tutto questo? Ho raccontato una mia esperienza. Da giovane prete ero solito passare le vacanze a Torino al Cottolengo assieme ai giovani. Un tardo pomeriggio venne portato Ferdinando nel reparto S. Rocco, dove facevo servizio. Era un clochard, che viveva alla stazione di Porta Nuova. Lo conoscevo bene. Lo incontravo sovente nei giri notturni sdraiato per terra o su una panchina. Mi fermavo a scambiare qualche parola, a dargli la buona notte con una bevanda calda e un panino. Aveva la febbre alta, la pressione bassa, i battiti lenti, era grave, terminale. Suor Paola l’aveva messo in una stanzetta pulita, tutta per lui, gli teneva la mano, asciugava il sudore, bagnava le labbra, gli stropicciava affettuosamente i capelli. Io, dopo averlo unto con l’Olio Santo e data l’assoluzione di fine vita, pregavo tenendogli l’altra mano. Ricordo la luce soffusa, il silenzio rotto dal respiro sempre più sottile, fino a spegnersi. Poi più nulla. Un ultimo segno di Croce e l’affettuosa carezza sul volto per abbassargli le palpebre sugli occhi, chiusi per sempre, ma aperti alla nuova luce del Cielo. Un ricordo che mi commuove ancora oggi. In quel momento mi si spalancava davanti il mistero della mia vocazione. Il Signore aveva chiamato me e Suor Paola dalla nostra giovinezza e noi avevamo lasciato tutto per essere portati lì, da Ferdinando, perché terminasse i suoi giorni circondato d’amore e tenerezza! Una misericordia insondabile! È difficile rispondere ai tanti perché, ma l‘amore di Dio non abbandona nessuno. A Betania Gesù ha liberato Lazzaro dal sepolcro, perché avessimo fede in Lui, “Resurrezione Sotto il campanile Domenica 18 marzo 2018 e vita”. In una stanza del Cottolengo la presenza del Figlio di Dio in due amici, che stringevano le mani di Ferdinando, assicurava che quell’uomo, dimenticato da tutti, non avrebbe mai conosciuto la morte.

“Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23, 43). L’ho ripetuto tante volte accanto al suo letto. Fragilità e provvisorietà sono parte di noi. Ciò che conta è rendere umana la morte, sapendo di accompagnare a Dio ogni fratello o sorella che ci lascia.

Ricordo un’altra morte. Quella del mio amico Walter. Aveva 18 anni e io 23. Avevamo trascorso tutta l’estate in oratorio con i ragazzi, dal mattino alla sera. Camminate in montagna, nuotate al mare, scampagnate nei boschi, giochi, tornei, serate spensierate, risate, allegria, momenti di seria riflessione e preghiera. Furono le mie ultime vacanze prima del diaconato – la scelta definitiva per il Signore – e sono state bellissime. Ho ancora un ricordo struggente di quei mesi. Alla fine di settembre, il giorno stesso della festa dell’oratorio, una febbre improvvisa e alta costrinse Walter a letto. Sembrava una banalità, invece fu il sintomo di un male incurabile, che lo portò alla morte in poche settimane. Morì a novembre. L’ultima volta che lo vidi, mi accompagnò con lo sguardo fino alla porta, quasi a consegnarmi la vita che stava per finire. Fu il mio primo incontro con la morte e mi segnò con una ferita indelebile. Passai notti e giorni a interrogare il Signore, a chiedergli perché avesse portato via Walter a 18 anni, un giovane buono, dal cuore grande, che avrebbe fatto un sacco di bene, legato a me con affetto fraterno. Lessi più volte la Bibbia alla ricerca di una risposta, la divoravo con avidità, fermandomi dove trovavo una traccia, pur piccola, che potesse consolarmi.

Si avvicinavano i giorni dell’Ordinazione Sacerdotale. Nel mio cuore cresceva la gioia con una sconfinata malinconia. Poco per volta mi accorsi di provare lo stesso entusiasmo che condividevo con Walter, la voglia di cambiare il mondo, il desiderio di portare agli estremi confini della terra la misericordia di Dio, che dà vita anche ai morti.

Mi ricordai della parole di Gesù: “Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12, 24). Compresi che Walter non se n’era mai andato. Era in me come un vulcano di passione, di grinta, di euforia, di slancio. Un amico fedele. Andai a rileggere il capitolo 37 del profeta Ezechiele: “Dice il Signore Dio: riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio. Farò entrare in voi il mio Spirito e rivivrete” (12-14). Parole bellissime e vere! Sono passati gli anni e quell’entusiasmo è sempre presente come ai tempi della giovinezza. Anche Walter. Il suo spirito soffia e mi vivifica. Non so perché a 18 anni è volato in cielo, ma sono certo che la sua malattia non l’ha portato alla morte e lontano da me, ma è stata “per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato” (Gv 11, 4).

don Franco Colombini