Sotto il Campanile 18 Ottobre

Pubblicato giorno 16 ottobre 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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Dedicazione del Duomo di Milano
18 Ottobre 2020 – Foglio n. 121
“La mia casa sarà chiamata casa di preghiera” (Mt 21, 13)

 

Da alcuni anni trascorro le vacanze a Venafro, un grosso borgo del Molise, ospite in una famiglia di amici. La confusione e il baccano della città, la frenesia della vita quotidiana, le preoccupazioni pastorali mi spingono a ricercare il silenzio e la solitudine. Mi piace quella terra collinare, verde, austera, dolce. Amo camminare per ore e ore sui sentieri, tra ulivi, boschi, pascoli, pietre, ascoltare il gracchiare delle cicale, lo scampanio delle mucche, il belare delle pecore, mentre il sole mi accompagna alto nel cielo e incendia di luce i prati scompigliati dal vento. Nell’infinito, che mi avvolge da ogni parte, Dio mi viene vicino, lo vedo ovunque, mi parla. Torno a casa rinvigorito nell’animo, leggero nello spirito, più forte. Questa estate l’incontro con alcuni amici ha riacceso in me la passione per il Vangelo come la prima ora. Nel cuore ho ritrovato la stessa gioia travolgente di quando, giovane prete, avevo voglia di cambiare il mondo in nome di Gesù e nessuno riusciva a fermarmi. Una piccola fiamma scatena un grande incendio. Così agisce Dio con chi ama.

Una mattina scendevo dal Passo delle Tre Torri andando verso San Pietro Infine. Nei pressi della casa, dove una lapide ricorda la rapina del 20 ottobre 1944 finita nel sangue, rimasi incantato davanti alla pianta di fico, che conosco bene. Tutti gli anni mi aspetta con i rami abbassati carichi di frutti. Non mi faccio pregare. Sono così morbidi, freschi, dolci, gustosi!
Dal nonno contadino ho ereditato l’amore per la terra. Mi piace raccogliere le more, i grappoli d’uva, sdraiarmi nell’erba profumata di timo e di menta selvatica, sedermi presso le ginestre o su una pietra e osservare il cammino delle formiche, i salti delle cavallette, i voli delle farfalle, rinfrescarmi alle fonti di Le Noci, stare tra le pecore e le mucche sui pascoli del Monte Cesima, ascoltare nel Parco degli ulivi il tic tic del picchio tutto preso a farsi la casa nella corteccia, riposarmi fradicio di sudore tra i girasoli di Conca Casale, stendermi sui sassi caldi di luce prima di entrare in Sesto Campano, guardare da lontano Roccapipirozzi indorata dal sole, scrutare l’orizzonte sulle alture solitarie di Filignano, contemplare la bianca croce del Monte Cerino che umile si leva a scalare il cielo, … . In quei momenti per me il tempo si ferma, non esisto più, sono altrove, mi perdo nell’Eterno, mentre spontaneo sale dal cuore un grazie al Dio della vita, che nutre gli uccelli del cielo e veste i gigli del campo. Vorrei che quell’estasi non finisse mai.

Quel giorno l’albero di fico mi apparve di una bellezza incantevole: radici poderose, tronco largo e robusto, rami ampi, estesi, carichi di frutti, fogliame fitto. Tornai indietro di qualche passo per ammirarne la straordinaria maestà. Fui folgorato dalla parola di Gesù: “Il Regno di Dio è simile a un granellino di senapa. … Esso è il più piccolo di tutti i semi, ma, una volta cresciuto, … diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami” (Mt 13, 31-32). La parabola del Vangelo mi fece apparire davanti la “Città collocata sul monte” (Mt 5, 14). Quell’albero era la Chiesa di Gesù, un mistero, troppo vasto per essere abbracciato con un solo sguardo, un portento di grandezza e di fragilità collocato nella storia .
Le sue radici affondano in Dio Amore. Assorbono la Pasqua di Gesù, si nutrono dell’Eucaristia e della Parola, si dissetano alle acque silenziose della preghiera.
Alza la chioma verso l’alto a ricevere la luce dello Spirito, la linfa vitale che la spinge agli estremi confini della terra e al sacrificio supremo della vita.

Con i rami abbraccia l’umanità intera, raccoglie in unità popoli e culture, ci lega con vincoli di forte fraternità. San Paolo scriveva ai primi cristiani: “Non c’è più Giudeo né Greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3, 28). In quella chioma verde, distesa, illuminata dal sole, scossa da un fremito di vento leggero, vedevo la larghezza della Chiesa, la profezia di un mondo nuovo, senza divisioni, barriere, muri, preconcetti, esclusioni, dove la gioia dell’incontro prevale sulla paura ed esplode nella festa, perché ogni uomo è un fratello.

I frutti, che pendono copiosi dai rami, sono per tutti, soprattutto appartengono ai poveri, che vivono di quello che trovano sulla strada. Migranti, stranieri, irregolari, clandestini, senza volto, senza nome, numeri vuoti, eccedenze di vite di scarto, detenuti, tossicodipendenti, alcolizzati, disperati, senza fissa dimora, disoccupati, ammalati, depressi … chiunque passa accanto alla Chiesa, sa di essere arrivato, può fermarsi. Trova calore, amicizia, accoglienza, ascolto, aiuto. Il mondo della globalizzazione ci fa vicini, ma non ci rende fratelli. La Chiesa è la casa di tutti, sempre aperta, ospitale. Offre con umiltà quello che possiede, felice di donarlo e condividerlo. “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera. … Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi ed egli li guarì” (Mt 21, 13-14)
Ecco perché io, cristiano e prete, amo la Chiesa di Gesù Cristo, la Chiesa Cattolica, universale, ambrosiana, la Chiesa di Francesco e di Mario, che né la morte né alcuna cosa al mondo possono abbattere, perché è radicata nella croce del Signore Risorto, Colui che ha sradicato il male dal mondo con l’amore. Essa è il meglio che possa capitare all’umanità, perché porta a compimento il disegno di Dio: riunire insieme i suoi figli dispersi (Gv 11, 52). Un programma che anche le istituzioni, i politici, i Parlamenti, i Governi dovrebbero realizzare!
Quando ripresi il cammino verso S. Pietro Infine, avevo l’animo allegro, euforico, pazzo di gioia. Non seguii più la strada. Corsi giù per i pendii, in mezzo agli ulivi, a ruzzoloni, capitomboli, capriole, senza sapere dove mettevo i piedi. Avevo la follia nel cuore. L’umanità mi bruciava dentro. Morivo dalla voglia di regalare la vita. Come la pianta di fico lungo la via.

don Franco Colombini