Sotto il campanile 19 Aprile

Pubblicato giorno 17 aprile 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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I Domenica di Pasqua
19 Aprile 2020 – Foglio n. 109
I discepoli gioirono al vedere il Signore!

E’ straordinario l’incontro di Gesù con Tommaso, avvenuto nel silenzio del cenacolo, lontano dalla spettacolarità, dall’ostentazione, dalla grandiosità. Gesù sceglie la strada dell’amicizia per raggiungere il cuore. Non vuole forzare facendo violenza. Desidera entrare nella vita in punta di piedi, con umiltà, rispetto. E restarci. Si industria a conquistare l’animo, costruire un legame duraturo, un’amicizia fedele. La bontà di Gesù cerca il modo più adatto per farsi vedere e riconoscere. Giovanni non intende solo narrare ciò che è avvenuto duemila anni fa, ma sollecitarci a vedere Gesù presente e vivo nel nostro tempo.
Mi viene alla mente l’esperienza di Elia nel deserto, dove era fuggito, per scappare dai soldati della regina Gezabele, intenzionati ad ucciderlo. Nascosto in una caverna, aspettava la vittoria finale, invaso dalla paura, scoraggiato, depresso, pieno di tristezza, irritato, arrabbiato. Avrebbe voluto vedere Dio all’opera nel fuoco, nel terremoto, nella tempesta per distruggere i suoi nemici. Invece no, non era in tutto questo. Percepì la sua presenta nel silenzio di un vento leggero.
Elia dovette imparare a riconoscere Dio dove sembrava essere assente. Nella macerazione interiore, nel fallimento delle sue azioni, nell’umiliazione del cuore, nel buio assoluto Dio gli si fece vicino, gli restituì il coraggio e la fiducia per continuare la missione, alla quale l’aveva chiamato. Nella quotidianità banale, monotona, umile, in situazioni apparentemente negative, dove niente lascia trasparire uno spiraglio di luce, addirittura quando siamo depressi nello spirito e interiormente tristi, possono avvenire gli incontri più belli con il Signore. E’ proprio lì che ci aspetta e ci parla. Non è necessario passare dal fuoco al vento e dal terremoto alla tempesta per incontrarlo. Anche il tempo “morto”, noioso, il tran-tran quotidiano, la debolezza umana, la fragilità, i limiti, le paure sono luoghi privilegiati della presenza di Dio, dove ci viene incontro, misericordioso, salvifico, silenzioso e insieme potente, capace di ricrearci, donarci un cuore nuovo e una gioia strepitosa. “Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore” (20,19-20).

Mai come in questi giorni il futuro ci appare nebuloso e incerto. Ci sentiamo confusi, spaesati. Percepiamo che tutto è nelle mani del buon Dio. Affidabili più delle nostre, amorevoli oltre ogni dire, nodose e tenere. “Solo in Dio riposa l’anima mia”, canta il Salmo (Sal 62, 1). Per me credente si tratta di un futuro da attendere con pazienza. Non sempre questa virtù ha goduto buona fama, soprattutto da quando il mondo è arrivato in casa, perfino in tasca, e ha portato “tutto e subito”. Oggi, isolati per dovere e per amore, la andiamo riscoprendo e ci accorgiamo che ci rende un ottimo servizio. Ci mette in contatto con quella parte di noi che non grida, non appare, non recrimina. Ci fa scendere nel profondo, negli anfratti più reconditi del nostro essere, dove siamo più veri, la menzogna tace e il mistero è grande.
Saper attendere nella preghiera e nella pace. Generazioni di cristiani, monaci, consacrati, santi hanno pregato tanto che a noi, non poche volte, sono sembrati esagerati. Ricordo la mia famiglia. Mai si andava a letto senza aver recitato il Rosario. La mattina ci si alzava con il segno della Croce e si dicevano le orazioni. Spesso ci giustifichiamo: “Prego quando ho voglia o ne sento il bisogno o se c’è qualcosa che mi emoziona come la bellezza della chiesa, l’arte, la musica. Il tempo è poco e va usato al meglio”. Così, tra le tante incombenze quotidiane, giunti a sera, a rimetterci sono sempre la preghiera, la meditazione, la riflessione, il silenzio. Quello che il Cardinale Martini chiamava: “La dimensione contemplativa della vita”. Pregare costa fatica, come per tutte le cose importanti. Ma ne vale la pena. I risultati non tardano ad arrivare. E’ questione di amore. L’uomo innamorato non vede l’ora di stare tutta la vita con la donna che ama. “Rimanete nel mio amore” (Gv 15, 9), ci chiede Gesù. E viene ad incontrarci!

In queste ore difficili e dolorose stiamo riscoprendo la gioia dello stare insieme. Rimpiangiamo quello che avevamo. Ci siamo accorti di essere stati ingrati verso il cielo, la terra, l’aria, l’acqua, il pane, gli amici. Desideriamo ritornare alle cose semplici di prima. Le invochiamo come un miracolo. Insistiamo, certi che il cuore di Dio prima o dopo cederà al nostro pianto. Eppure noi siamo già inondati da miracoli. Ogni respiro, battito, pensiero, paura, speranza è un miracolo. Ci siamo. Avremmo potuto non esserci. Ma ci siamo. E, al di là di ogni apparenza, continueremo ad esserci. E’ l’immenso miracolo della vita, dove tutto è straordinario!
L’ha compreso Alessandro, un bimbo di 7 anni. Ha scritto un manifesto di amore e di speranza, quando ha scoperto che la nonna paterna era stata contagiata dal Covid-19 insieme a molti altri ospiti del suo istituto per anziani. “You are strong. Ci sono cose in questa vita che possono cambiare in qualsiasi momento, per proteggere chi amiamo. Ora so che un domani tutta questa tristezza tornerà ad essere gioia. Stiamo tutti insieme oggi con gran pazienza, ci son tanti modi per sentirsi vivi. Non siamo soli al mondo e, se non sbagliamo adesso, saremo uniti ancora”. I bambini vivono il presente, sono onesti, istintivi, saggi, sorridono, sono coraggiosi. Sono coloro che vedono il futuro con lo sguardo di Dio e ci indicano la strada.
Gesù ci raggiunge nel silenzio del cuore, nel cenacolo della nostra interiorità, dove nessuno può arrivare, se non Lui solo. Ci parla con affetto. Ci chiede di mettere le dita nelle sue piaghe. Ci apre al tempo presente. Così drammatico e ansioso di speranza. Ci invia a portare il lieto annuncio della vita che ha vinto la morte.
Tocca a noi, donne e uomini, testimoni del Risorto, andare, essere gioiosi, lieti, liberi dalla frustrazione sempre in agguato, incoraggiare, infondere consolazione, confortare, gettare luce sugli orizzonti e sulle culture di morte. Non abbiamo alcun diritto di godere una felicità, che gran parte del mondo non può condividere. Occorre spezzarla, sbriciolarla, donarla, respirarla insieme ai più poveri. Niente ci spaventa. Viviamo in mezzo alle catastrofi come i tre fanciulli nella fornace ardente (Dan 4, 24 ss), cantando, lodando, benedicendo Dio. La sua vita invade l’universo come un incendio indomabile. Nessuno la può arrestare. Il Signore è risorto e cammina con noi! Non ci rimane che rimboccarci le maniche e operare, perché tutto “vada bene”.
don Franco Colombini