Sotto il Campanile 19 Febbraio 2023

Pubblicato giorno 17 febbraio 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

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VII e ultima Domenica dopo l’Epifania del perdono
19 Febbraio 2023 – Foglio n. 213
“Questo mio figlio era morto ed è stato ritrovato” (Lc 15, 24)

Clemenza e misericordia sono il grande orizzonte del mistero di Dio. Gesù lasciò tutti senza fiato quando descrisse Dio come un padre buono e accondiscendente, che lasciò libero il figlio di andarsene da casa portandosi via mezzo patrimonio, senza fare nulla per trattenerlo. Quando ritornò, sporco e affamato, lo accolse con tutti gli onori, a braccia aperte. Organizzò una festa strepitosa, suscitando le rimostranze del fratello maggiore, impegnato ogni giorno nel duro lavoro dei campi.
Avevano ucciso il vitello più grasso, gli avevano fatto indossare un vestito nuovo, messo l’anello al dito e i sandali ai piedi. Come capire la gioia di un padre per un figlio scialacquatore e donnaiolo? Solo il cuore può spiegarlo. L’amore è irrazionale, non ammette calcoli, non si lascia rinchiudere dentro una misura, tiene viva la fiducia e la speranza, è felice di abbracciare, perdona, accetta di morire per
ridare vita e felicità anche a chi ha fatto del male. L’amore non può fare a meno di amare. In ogni modo il Padre prova a convincere i figli di quanto li ami e di come, lungi dal volerli servi, desidera condividere ogni cosa con loro.
Mi vengono alla mente le parole di Martin Lhther king, che mi hanno fatto sognare negli anni della giovinezza. Le pronunciò alla vigilia della grande marcia su New York contro la discriminazione razziale: “Fateci quello che volete e noi continueremo ad amarvi. Metteteci in prigione e noi vi ameremo ancora. Lanciate bombe sulle nostre case e minacciate i nostri figli e noi vi ameremo ancora. Mandate i
vostri incappucciati sicari nelle nostre case, nell’ora di mezzanotte, e noi vi ameremo ancora” (La forza di amare, 1968). Aveva intuito che Il perdono costruisce la pace.

Credo sia questa la strategia per spegnere i tanti focolai di guerra, che divampano nel mondo, diventato ormai una pericolosa polveriera. L’unica via d’uscita dalla tragedia ucraina sembra essere un cessate il fuoco immediato, anche senza il ritiro preventivo degli invasori. Proprio quello che Giorgio La Pira chiese a Ho Chi Minh, quando nel novembre 1965 si recò ad Hanoi per favorire l’apertura di una trattativa e mettere fine al conflitto vietnamita. In quello storico incontro il “sindaco santo” di Firenze sbalordì Ho Chi Minh citando un interdictum dell’antico giurista romano Gaio, che si concludeva con quel “vim fieri veto” (proibisco di proseguire con la violenza), dove sottolineava la fondamentale precondizione di un cessate il fuoco immediato. Solo la follia di un profeta poteva scorgere i sentieri della pace
nelle mani disarmate e edificare col perdono un mondo nuovo.

In questi giorni ho tentato di cogliere l’afflato umano e spirituale del Festival della canzone italiana. A parte il valore artistico del vincitore – rimasto umile e con i piedi per terra – è stata una edizione un po’ povera di brani da ricordare. Ho notato, però, delle cose belle, che resteranno, nonostante qualche messaggio schizofrenico e fuori posto.

Si è scritto che “Dio non c’è (o quasi) nelle canzoni di Sanremo. Resta l’Io”. In effetti è così. Salvo il “Dio che prego” di Levante e quello che “ci pesta come un tango” di Tananai, altri riferimenti non ci sono. Mi ha colpito, però, la sincerità di chi ha cantato i propri percorsi esistenziali con l’intento di rompere la gabbia della solitudine, che blocca ogni apertura al Trascendente.
Anna Oxa, la cantante di origine albanese, con il “Canto dell’anima” si fa eco di noi uomini e donne, che ancora oggi sogniamo – con le parole di Gesù a Nicodemo (Gv 3, 3.7) – di rinascere dall’alto (“Sali e ritorna alla (tua) nascita”), crediamo in un’anima che “vola libera, nitida”, lontana “dalle bocche piene di falsità”. Con il coraggio di lasciare indietro “vite frammentate senza verità”. Con la forza di fuggire
quella parte di “umanità andata a fondo” per colpa di individui “mangiati dall’avidità”.
Grazie a quest’“arca” sarà possibile vivere un’ “altra vita”, più autentica, unificata, generosa, pulita. Consapevoli che tale speranza appare soffusa all’orizzonte, avvolta dalla nebbia, “come stella dell’aurora di un mattino che non c’è e che non ha nome”.
Come un’Alba, direbbe Ultimo.

Il cantante romano, originario del quartiere di San Basilio, ci aiuta a capire cosa intende Papa Francesco quando parla di una nuova immaginazione del possibile.
Di fronte alla pesantezza della vita, che ci fa sperimentare i “limiti” e le fragilità, ci lascia sulla pelle “lividi” dolorosi, ci spinge a rinchiuderci in bolle coi nostri “simili”, Ultimo canta – quasi invoca – “t’immagini se fossimo al di là dei nostri limiti”, alla ricerca di una vita diversa, “di fianco alle abitudini”, “da brividi”, poliedrica (“Se non amassimo soltanto i nostri simili”), più armoniosa (“se avessimo cura di quei lividi”).
Un’Alba nuova sta per arrivare, ma – confessa – non si capisce se sia una “bugia” o una “realtà”.
È chiaro invece – per Mr-Rain – che solo dei Supereroi possono raggiungere l’aldilà, dopo “aver toccato il fondo fino ad odiare se stessi”. Essi sono “angeli con un’alta soltanto”, per “volare solo restando l’uno accanto all’altro”, camminando “invincibili vicini”, nonostante le “cicatrici” di “ferite profonde”. Una bellissima immagine presa dalla preghiera di don Tonino Bello: “Dammi, Signore, un’ala di riserva” e dal famoso pensiero poetico del film “Così parlò Bellavista”.

Articolo 31 cantano un’amicizia ritrovata nel “Bel viaggio”. I due amici J-Ax e Dj Jad, “scappati da un quartiere velenoso”, hanno trasformato “l’eternit in oro”, dove sono arrivati. Poi, come ogni coppia, la “pacchia” iniziale è diventata “ansia”, “stress”, “rabbia” e l’altro si è deformato in odiato “rivale”, a cui gridare “basta”. Ciò non ha impedito loro di ritornare sui propri passi, vincere l’orgoglio e riconoscere che “noi
siamo quelli che si vogliono bene anche quando si fanno la guerra”. Un brano autobiografico, dove gli artisti ricordano gli inizi, le difficoltà, che li hanno portati lontano, per poi ritrovarsi di nuovo. Ora, nonostante tutto, quello che fanno insieme, è un “bel viaggio”. Una “crisi superata”, invece, è cantata in “l’addio” dei Coma Cose. Tra “un silenzio per non maledirsi” e un “promettimi che potrò sempre ritornare da te … che vorrai sempre ritornare da me”, i due futuri sposi hanno dovuto superare il mostro dell’ “orgoglio” per non “toccare il fondo”, accettando di sparire per un po’, convinti che “l’addio non è una possibilità”. Convincendo anche noi, alla fine, che se ci dimentichiamo per aprirci all’altro, l’addio non ci sarà, ma incontreremo l’ad-Dio tanto
desiderato. Un’altra volta il perdono è la vittoria dell’amore.

don Franco Colombini