Sotto il Campanile 2 giugno 2019

Pubblicato giorno 2 giugno 2019 - Avvisi, NOTIZIARIO, pellegrinaggi

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VII Domenica di Pasqua 2 Giugno 2019 –

Foglio n. 76 Gerusalemme città della pace

 

Questa domenica celebro l’Eucaristia a Betlemme, nella Basilica della Natività, dove mi trovo con un gruppo di pellegrini della nostra comunità. Almeno una volta in vita bisogna andare in Terra Santa. Ricordo la mia prima volta nel 1984. Feci il viaggio con i miei compagni di Seminario, in occasione dei dieci anni di Ordinazione Sacerdotale. Ci accompagnava il nostro docente di Sacra Scrittura Mons. Enrico Galbiati, esperto conoscitore della lingua ebraica e dei dialetti beduini, con i quali si intratteneva a parlare con familiarità. È stata un’esperienza fantastica, un viaggio alle radici della fede, un cammino sulle orme di Dio, una rigenerazione interiore, un’avventura indimenticabile, che ho ripetuto infinite altre volte. Sono tante le cose che mi colpiscono in Israele: la bellezza di paesaggi incantevoli, gli incontri con mondi, popolazioni, religioni diverse, il fascino culturale dei siti archeologici. Ma il cuore mi batte forte, fino ad impazzire, quando ripercorro le strade e i luoghi “dove Lui è passato”.

Trovarsi a Nazareth, sul lago di Tiberiade, a Cafarnao, a Gerusalemme, a Betlemme … significa per me “essere a casa”, ritornare agli anni lontani dell’infanzia, della giovinezza, in famiglia, ai momenti più belli, quando venivo nutrito e crescevo sulla Parola, che in questi posti ha parlato e si è fatta carne. Nonostante gli anni di teologia, qui ho imparato a leggere la Bibbia e ad innamorarmene. Ho toccato con mano – come Tommaso – che quello in cui credo è storia. La fede nasce dai fatti, dagli eventi, dentro il cammino di un popolo, nel quale è scritto un progetto di umanità ricco e affascinante, degno delle speranze, che stanno in fondo al cuore di ogni uomo. Qui tutto iniziato e tutto si è compiuto! L’uomo ha sempre cercato Dio, “tastando qua e là” (At 17, 27), come conferma la storia delle religioni, fino a giungere alle soglie della sua casa col desiderio struggente di vederlo e conoscerlo.

Un giorno si accorse che Dio era già sulle sue tracce e voleva incontrarlo. Israele lo scoprì, q ne gustarono l’intimità in esperienze mistiche altissime al Sinai. I Profeti lessero tutta la vicenda dell’Antica Alleanza come una storia d’amore sponsale tra Dio e il suo popolo. Alla fine qualcuno incontrò questo Dio in carne e ossa nella persona di Gesù di Nazareth che dichiarò: “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14, 9), “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 13). E dimostrò coi fatti di essere il Dio invisibile venuto nella storia per stare con l’uomo. “Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato” (Gv, 1, 18). Finalmente la porta di casa si era aperta e Dio in persona era venuto a rivelarci la sua privacy, a dirci chi fosse e che cosa sognasse di noi. Con il Cristo la storia ha fatto un balzo in avanti. Ogni volta torno in Israele con la voglia matta di incontrare il Signore, scoprire le tracce del suo passaggio, ascoltare sul posto le sue parole che mi aprono alla verità di me stesso, per ricevere “uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui”, (Ef 1, 17), come dice bene oggi San Paolo, scrivendo agli Efesini.

La Terra Santa è una sorpresa continua di colori, coltivazioni, ambienti umani differenziati e ricchi. Cambia paesaggio di sovente. Si va dalle vaste pianure del Nord, alla dolcezza del lago di Tiberiade, alla torrida valle del Giordano, alle austere e rocciose alture della Samaria, alle terrazze coltivate a vigna della Giudea, fino al silenzio maestoso del deserto e l’imponente fissità del Mar Morto … . Avvinandosi a Gerusalemme, nell’alta Giudea, si infittiscono i sassi. I prati, i colli, le radure sono pieni di pietre d’ogni grandezza. Guardandole, mi viene alla mente quanto ha scritto il profeta Ezechiele: “Toglierò da voi il cuore di pietra e vi darò un cuore di carne” (Ez 36, 26). È la mia aspirazione più grande. Anch’io desidero ritornare a casa con un cuore nuovo, più morbido, umano, puro come l’acqua di una fonte. Gli antichi pellegrini salutavano la Città Santa con struggente nostalgia. La guardavano fino a quando scompariva all’orizzonte. “L’anno venturo a Gerusalemme!”.

Così pregano e si augurano ad ogni pasqua gli Ebrei dispersi nel mondo. È l’anelito profondo a ritornare in patria, alle sorgenti della vita, a ritrovarsi nelle sue mura, come fra le braccia della madre. Gerusalemme è la Città di Gesù, della sua morte e resurrezione, dove “dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1) e li inviò per tutta la terra a portare il Vangelo. Gerusalemme è la città della pace, la profezia del futuro, il compimento di ogni sogno, la strada da percorrere per coloro che hanno a cuore le sorti del mondo e dell’umanità. “Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Apc 21, 2-4). Ritorno a Trezzano conservando nell’animo l’immagine di Gerusalemme, la Città Santa, avvolta di luce celeste. Un giorno la raggiungerò e in Dio vivrò per sempre. È il destino di ogni uomo. Non mi rimane che riprendere la strada e andarle incontro con gioia, camminando nell’amore.

don Franco Colombini