Sotto il Campanile 2 maggio

Pubblicato giorno 30 aprile 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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V DOMENICA di PASQUA
02 Maggio 2021 – Foglio n. 149
“Padre, custodiscili nel tuo amore” (Gv 17, 11)

Nel momento supremo, all’avvicinarsi della passione e della morte, il pensiero di Gesù è per noi. Invoca la “glorificazione”, l’espressione massima del suo amore. Prega per i discepoli, che dovranno affrontare il mondo, continuare la sua opera, far conoscere il Padre. Saranno tentati di rinunciare alle “esagerazioni del Vangelo”, ragionare secondo il buon senso comune degli uomini, smettere di essere lievito e speranza per la terra, anziché contagiarla, trasformarla, renderla splendente. Non c’è tristezza nei suoi sentimenti, ma tanta fiducia.

Le ultime parole sono straordinarie: “Padre Santo, custodiscili nel tuo amore, quelli che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi” (Gv 17, 11). Gesù confida al Padre di volerci bene con affetto fraterno, gli chiede di adottarci, di amarci come ama il Figlio, di farci entrare nella sua stessa famiglia, la Trinità. Da Socrate a Platone, Aristotele, Hegel fino ai nostri giorni in nessun filosofo ho trovato la forza della vita che il Vangelo possiede. Dio si è comunicato all’uomo. Ci ha fatto dono di sé nello Spirito. La gioia di esistere viene dalla follia dell’amore. È la più bella notizia da ascoltare e diffondere.
Gesù pregò dopo la cena pasquale. In quell’ora si è sacrificato per l’umanità. Tutto l’odio e l’avvilimento del mondo si abbatterono sul Crocifisso e vennero inghiottiti nel suo sepolcro. Da allora il sangue della violenza, inflitta all’essere umano, persino in nome di Dio, non sarà mai più benedetto. Ogni morte per risparmiarlo e proteggerlo è un inno alla vita.
Oggi Gesù conduce i nostri bambini/e nel cenacolo della chiesa per la Prima Eucarestia. Sono i suoi amici. Fa risuonare le stesse parole. Distribuisce il pane e il vino, coinvolgendoli nel mistero del suo corpo dato e del suo sangue versato fino a raggiungere le profondità più intime del loro essere. È grande cosa essere ammessi alla Cena del Signore! Si rivive il Mistero nella tenerezza di un incontro conviviale, nell’umiltà del rito, nell’amicizia fraterna. Un amore che forse nel tempo verrà messo alla prova, ma – accada quel che accada – saprà resistere anche alla morte.

In questo momento di fragilità e debolezza viene spontaneo immedesimarci nella condizione dei discepoli. Siamo mortificati, innervositi, soli, intimoriti. Ci teniamo lontani gli uni dagli altri. Avvertiamo lo sconforto di non poter liberare le emozioni del ritrovarci insieme pieni di energia. La gioia della condivisione rimane adagiata nel fondo dell’anima senza esplodere nell’euforia della vita comune. Eppure l’Eucaristia non perde la forza. Ci sostiene. Consola i cuori pieni di slanci e dubbiosi di reggere alla prova. I discepoli, quando furono ammessi in quella sala, non erano rocce. Fuggirono. Tradirono. Ebbero paura. Gesù Risorto non rimproverò mai la loro debolezza. Ogni volta che essa viene riconosciuta trova in se stessa una fede che sposta le montagne. Partecipare alla Mensa del Signore è un privilegio. L’Amore impossibile del Figlio di Dio rende incrollabile ogni speranza. Ce lo ricordano i nostri bambini.

Li abbiamo visti accompagnare il percorso della croce nel silenzio di Piazza San Pietro lo scorso Venerdì Santo. Le loro voci sono risuonate nitide a farsi sentire dal mondo dei grandi. Ora che non possono andare a scuola – o vanno a singhiozzo – si sentono persi. Manca tutto, persino i piccoli dispetti tra i compagni di banco, le amiche della pallavolo, quelli del gruppo scout e dell’oratorio, la scocciatura dei compiti e la routine, di cui viene la nostalgia solo quando s’interrompe. Hanno raccontato il vuoto di una solitudine che, in molti casi, li ha privati dell’addio ai nonni, portati via all’improvviso. Ci hanno fatto capire che anche i piccoli hanno le loro croci. “Non sono né più leggere né più pesanti di quelle dei grandi” e fanno male “anche di notte”. Ci hanno detto tante cose. In quella piazza vuota, come in una grande aula, hanno mostrato i compiti assegnati da una precoce scuola di vita.

Le loro riflessioni parlano di bullismo, di solitudine, di nostalgia per gli amici, di dolore per la perdita di una persona cara. Raccontano un mondo difficile da cambiare dal di dentro. Senza accusarlo gli sono andati incontro a porte spalancate nell’attenzione al prossimo. “Gesù, insegnami ad essere gentile e aiutare gli altri. … Vorrei perdonare chi mi prende in giro ed essergli amica. … Fammi fare il bravo con chi mi fa i dispetti”. Ci sono diventati maestri. Ci hanno insegnato che fare il bene è scomodo; correggere un fratello, anche se necessario, costa fatica; donare dà più gioia che ricevere; si sta male quando qualcuno ti deride e si dimentica di invitarti alle feste. Hanno descritto i recinti, che impediscono di dare respiro ai loro sogni, di trovare un cielo per il volo del cambiamento e della libertà. Ad appesantire le loro ali è il silenzio davanti all’ingiustizia, che nel vocabolario dei grandi si chiama viltà e omissione. È il no sbattuto in faccia al diverso, la mancata accoglienza, il ritenersi superiori, il peccato d’orgoglio. Non mi è stato difficile riconoscermi nelle meditazioni dei ragazzi. Sulla lavagna della piazza più bella e più famosa del mondo hanno lasciato il segno di un nuovo inizio, parlando, scrivendo, disegnando il futuro. Una grande speranza. “Gesù, tu sai quanto è difficile imparare a non avere paura del buio e della solitudine”. È una verità inconfutabile. Ci sono angosce di cui non ci si libera mai. Siamo sempre mendicanti di luce e di abbracci. Ad ogni età. Solo che da adulti perdiamo l’onestà di ammetterlo.
Oggi varchiamo la soglia del cenacolo con i nostri bambini e celebriamo la Pasqua di Gesù. Colui che nella sua misericordia risuscitava i ragazzi, consolava le madri, guariva gli ammalati, restituiva dignità a quelli che non erano di nessuno. E lo faceva in nome di un Dio, ostinato sino alla morte del Figlio, nella volontà di risparmiare tutto il sangue possibile degli uomini. Non dobbiamo sprecare niente, non una parola, un silenzio, una musica, un gesto, uno sguardo. Ogni tratto possiede la compostezza, l’emozione, l’intensità di una presenza. Ci avviciniamo al Signore, fino al punto di ascoltarlo, toccarlo, nel momento in cui tutta la storia della sua vita diventa la roccia su cui fondare la nostra. E Lui ci restituirà gli uni agli altri con una tenerezza che ci sembrava impossibile. Saremo presi dalla gioia della fraternità ritrovata. Sorgerà una nuova luce a guidare il cammino verso un mondo migliore. È il sogno dei nostri bambini che si avvera.

don Franco Colombini