Sotto il Campanile 20 dicembre

Pubblicato giorno 19 dicembre 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

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SESTA DI AVVENTO
20 Dicembre 2020 – Foglio n. 130
Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù (Lc 1, 31)

CARO GESÙ BAMBINO,
è terminata la giornata. Sono stanco e infreddolito per le ore passate sulle strade a pregare con la gente, affacciata alle finestre e sui balconi. È buio. Non ci sono rumori. In alto le stelle vegliano sulla città addormentata. Guardandole, mi sembra di essere protetto da una trapunta di luce. Forse doveva essere stato così il cielo di Betlemme quella notte, quando tutto si rischiarò al passaggio di una cometa, venuta da lontano. Mi sento come una piccola scialuppa affidata all’immensità dell’oceano, una briciola nell’abbraccio dell’universo. È dolce lasciarmi andare come un bambino e aprirti il cuore con la stessa confidenza di allora.
Nella pace dell’animo avverto l’inquietudine e la tristezza – pesanti come macigni – , che travolgono infinite esistenze. La civiltà digitale e dei consumi ha riempito la vita di agi, ma non ha illuminato le ragioni per cui merita di essere vissuta, né ha dato risposte ai problemi e ai bisogni più profondi del cuore. Non siamo diventati più veri, liberi, buoni, felici. La mia gente è sola, preoccupata, smarrita. E il virus l’ha impaurita ancora di più.

Ricordo che in anni passati l’amarezza di questa delusione aveva provocato in noi giovani del ‘68 una fiera collera contro la società, che sembrava non sapesse mantenere alcuna promessa e fosse lontana dai nostri sogni. Volevamo un mondo nuovo, libero, giusto, pulito. Cantavamo: “tutti fratelli bianchi e neri siamo già”. Condannavamo le guerre. Gridavamo di mettere i fiori nei cannoni. Andavamo in Paesi lontani a coltivare i campi, scavare pozzi, insegnare a leggere e a scrivere, costruire scuole, ospedali, case. Non volevamo frontiere. Il mondo era la nostra casa e l’umanità la famiglia di tutti.

I progetti di allora sono tramontati e la società non è quella che abbiamo sognato. Avevamo posto la speranza in una cambiamento radicale. Ci abbiamo creduto. Ma quel sistema non si è mai realizzato. I più scalmanati finirono imprigionati nelle lotte armate estremiste, altri si persero nei paradisi della droga, i più scomparvero nell’anonimato e si lasciarono ammaliare dall’avidità del guadagno. Non avevamo capito che la crisi, prima che nella società, stava nell’uomo. La mia generazione ora sa che salvarsi da soli è impresa disperata. Eppure questa lezione a poco è servita.
Se guardo indietro, sono tentato di pensare alla vita come un’occasione qualsiasi, che si dissolve senza lasciare traccia. Vedo il nulla, il vuoto. Ma dentro avverto qualcosa di diverso, la stessa sensazione che provai un pomeriggio in alta montagna, quando con alcuni amici mi misi in viaggio per raggiungere il Piz Boè, dove pernottare. Partimmo sicuri accompagnati dal sole. All’improvviso ci trovammo nel mezzo di una violenta tempesta. Il giaccio ci sferzava il volto. Le nuvole basse oscuravano il sentiero. Il vento ululava e ci spingeva indietro. Il passo si faceva lento, pesante. I tuoni rimbombavano sulle pareti. I fulmini sbattevano contro la roccia. I sassi franavano a valle impetuosi. Camminavamo in silenzio, pieni di paura. Nessuno osava dire quello che pensava e tornare indietro non si poteva. All’improvviso il vento girò. Le nubi diradarono. Dal basso vedemmo nella foschia la lucina del Rifugio Capanna. La stanchezza scomparve. I passi divennero lunghi e veloci. In pochi minuti sbucammo nel cielo più terso che un uomo possa sognare, tra cime insolitamente bianche, sopra le nuvole che il sole del tramonto colorava di oro. Una sensazione di miracolo. Un pomeriggio indimenticabile di amicizia e di mistero.

E se fosse così anche questa sera? Se gli uomini, voltandosi indietro, vedessero per grazia risplendere una “luce nelle tenebre”, che viene dal presepe, da una culla, dove giace un Bambino, che è Dio venuto tra noi? Se questo avvenisse, i cuori si riempirebbero di amore, l’orgoglio lascerebbe il posto all’umiltà, la violenza alla mansuetudine, l’egoismo alla fratellanza. Inizierebbe una nuova rivoluzione. La scienza e la tecnica, da sempre idolatrate come un assoluto, non bastano. La buona volontà da sola è insufficiente.
Gesù, abbiamo bisogno di te. Tu sei fuoco. Incendi i cuori di amore e la speranza del bene torna a illuminare il cammino della storia. Lo so per esperienza. Molti uomini e donne, cresciuti alla tua scuola, hanno il fuoco nel cuore, vivono per gli altri, credono nella pace, operano per una società più giusta e migliore, manifestano la tua gloria facendosi prossimo. Sono la lucina nella tempesta, la primavera del mondo, la terra che rifiorisce.
Guardo il presepe pieno di pastori. Sono stati svegliati nel sonno dalla voce dell’Angelo e sono venuti da te. Ai tuoi tempi godevano scarsa considerazione. Erano disprezzati, perché vivevano con gli animali. Non potevano accedere al Tempio. La loro testimonianza non era ritenuta valida nei tribunali, come quella dei farabutti e dei “poco di buono”. Attorno alla tua mangiatoia si radunarono gli esclusi dal culto, gli emarginati, gli impuri, i ladri e tu, l’Agnello di Dio, ti facesti pascere dai delinquenti. Ma eri felice, perché li avevi ritrovati. Stavi bene in loro compagnia, li amavi e il loro cuore era buono. Nella capanna con Te si trovavano a pieno agio più che in una reggia o in fastoso palazzo. Ecco la nuova umanità, coloro che possiedono la forza di mettere sottosopra il mondo. “A quanti l’hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Gv 1, 12-13).

Come ogni bambino anch’io ti chiedo un dono per la Notte di Natale. Desidero essere uno di loro. Un pastore. Povero, assetato di infinito, lo sguardo mai stanco di contemplare, il cuore aperto alle dimensioni del mondo, amico e fratello della gente, preoccupato di non lasciare nessuno senza una briciola di amore, dove riconoscerti e adorarti. Vorrei ogni giorno alzarmi contento e cantare la vita, la gioia di averti incontrato e di essere stato chiamato, la bontà che mi riempie di pace, il mondo che va facendosi nuovo, la fiducia in un domani migliore, perché ti sei fatto uomo e vivi tra noi.
Gesù, è tardi. Il tempo è passato veloce. Nella notte ancora buia appaiono i primi segni del mattino. Le stelle si spengono a oriente e il mio cuore trabocca di avventura. Grazie Gesù! Buon Natale!

don Franco Colombini