Sotto il Campanile 20 Febbraio

Pubblicato giorno 19 febbraio 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

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Domenica della divina clemenza
Penultima dopo l’Epifania
20 Febbraio 2022 – Foglio n. 173

“Ho ottenuto misericordia, perché Cristo Gesù
ha voluto in me per primo dimostrare tutta quanta la sua magnanimità” (1Tim 1, 16). Così San
Paolo parla del suo cambiamento, scrivendo a
Timoteo. Era “un bestemmiatore, un persecutore e un violento” , ma Dio lo ha raggiunto sulla
via di Damasco, senza alcun merito, spinto solo
da un amore infinito. Non lo lasciò nell’oscurità
del male. Ha avuto pietà.
Un giorno Gesù, passando, “vide Levi, il figlio di
Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse:
Seguimi! Ed egli si alzò e lo seguì” (Mc 2, 14).
Era un esattore delle tasse. In quel momento Gesù non aveva in mente programmi pastorali né
coltivava la prospettiva di avere un grande apostolo per
il Vangelo. Lo chiamò, mosso dal suo cuore misericordioso e pietoso. Sapeva
quello che provava dentro. Gli si avvicinò e, senza alcun rimprovero, gli cambiò la vita con una parola.
Era quella che aspettava, chissà da quanto! Così
è Dio. Ci avvolge in un’aura di grazia sconfinata. Ci abbraccia senza darci
scampo. Prende l’iniziativa. Ci raggiunge dove siamo, anche nel baratro più
nero dell’inferno. Rischia il rifiuto, ma non può fare a meno di esporsi.
L’amore del suo cuore è dirompente, impetuoso, clemente, fedele, perenne. Una
cascata inesauribile.
Paolo, Levi, i peccatori invitati al banchetto, la Samaritana, la Maddalena,
l’adultera, il ladro sulla croce … : i santi sono coloro che hanno conosciuto la
gioia del perdono e della misericordia. Spesso veniamo sopraffatti dal pensiero che la stoffa umana sia ridotta a brandelli a tal punto da ritenere impossibile
sognare di avere in futuro qualche eroe capace di salvarla. Ma non è così.
Forse scompariranno i campioni della perfezione, ma saremo circondati da
tanti altri amici di Dio, quelli che Gesù ha chiamato beati: i poveri in spirito, i
miti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, gli operatori di pace, donne e uomini, che nell’umiltà percorreranno la nostra stessa strada, dandoci il cuore.
Benedetto XVI è uno di questi. Mi ha colpito l’ultima lettera sugli abusi. Una riflessione umana intensa, penitenziale,
come la confessione di peccato all’inizio della Messa. Un filo rosso, che consegna il cuore alla vergogna, al dolore,
alla sincera domanda di perdono, senza rinunciare alla ferma difesa persona- le. Un rammarico per ogni singola vicenda,
ancora più profondo nell’imminenza dell’incontro finale con il Padre, di fronte al quale nulla si può nascondere.
La consapevolezza di essere vicino all’ultimo capitolo dell’esistenza, porta
le sue parole a una profondità inaudita. Un catechismo del cuore. Più che
da grande teologo e da Papa emerito, parla con la sapienza dell’anziano uomo
di fede, che si avvicina all’ultimo giorno senza nascondere un po’ di legittimo
“spavento e paura”, ma con l’animo “lieto”, perché sa che il Signore “non è solo
il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello, che ha già patito egli stesso
le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è mio avvocato. … L’amicizia
con il giudice della mia vita mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte.
In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua
grandezza e cade ai suoi piedi come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra,
gli dice: “Non temere! Sono io”. Grande Benedetto XVI! Senza titoli e onori. Un
vero fratello. Un padre. Poche frasi per spiegare cosa ci attende quando l’oggi e
il domani diventeranno un eterno presente. E l’amore si sposerà con la giustizia.
Il 12 marzo 1977, in San Salvador, il Gesuita Padre Rutilio Grande fu assassinato all’uscita di Aguillares,

a 48 anni, mentre percorreva in auto i 4 chilometri
che lo conducevano a El Paisnal, in compagnia del catechista 72nne Manuel e
di altri quattro adolescenti. Tre di loro riuscirono a mettersi in salvo dalla raffica
di proiettili. Non così Nelson, appena 15nne.
Da poco era parroco in una miriade di piccoli agglomerati, circondati dalle
piantagioni di canna da zucchero, dove i contadini lavoravano in condizioni di
sfruttamento indegne. Una realtà dura, inaccettabile. Padre Grande scelse di
conoscerla nel profondo, recandosi in ogni frazione, restandovi più giorni,
denunciando gli abusi dei latifondisti, stimolando i campesinos ad alzare la voce in
nome del Vangelo, che libera da ogni ingiustizia. Non era l’ideologia a guidarlo,
ma la passione per la dignità dell’essere umano.
Nell’omelia del 13 Febbraio 1977, un mese prima di essere ucciso, pronunciò
parole di fuoco: “Temo fratelli e sorelle che molto presto la Bibbia e il Vangelo
non potranno più attraversare i nostri confini. Ci lasceranno solo le copertine,
perché ogni loro pagina è sovversiva. Se Gesù di Nazareth tornasse, in questo
tempo non arriverebbe a Opopa, in questo momento con le sue parole e le sue
azioni, lo arresterebbero e lo metterebbero in prigione. … Sicuramente, fratelli
e sorelle, torneranno a crocifiggerlo. E spero che Dio mi liberi da essere parte
di coloro che lo crocifiggeranno! Molti preferiscono un Cristo con la museruola,
a nostra immagine, che agisce secondo i nostri interessi. Questo non è il Cristo
del Vangelo! … Vogliono un Dio che non li sfidi, che lasci coloro che fanno parte
dell’establishment in pace e non dica queste parole tremende: “Caino, dov’è tuo
fratello Abele?”. Non uccidere nessuno. Non porre il tuo piede sul collo di un’altra
persona, non dominarla, non umiliarla. Nel cristianesimo bisogna voler dare la
propria vita nel servizio per un ordine giusto, per salvare gli altri, per i valori del
Vangelo”.
Rutilio fu un prete con il suo popolo, fino a mischiarsi, a immedesimarsi, a cadere
crivellato dalle pallottole, come uno dei tanti. Una voce che la dittatura non riuscì
mai a spegnere, tenuta viva dai poveri, dagli ultimi, dai dimenticati, ai quali aveva
dato la Parola, liberandoli dalla condanna dell’eterno silenzio,
decretata dal potere abusivo dei latifondisti. La Chiesa li ha proclamati Beati il 22 Gennaio 2022,
insieme al francescano italiano Padre Cosma Spessotto, anche lui assassinato
a San Salvador il 14 giugno 1980 per l’impegno evangelico in favore dei poveri.
La Chiesa ama, morendo per gli altri. È questo il segno più luminoso della divina
clemenza.

don Franco Colombini