Sotto il Campanile 20 Gennaio 2019

Pubblicato giorno 19 gennaio 2019 - NOTIZIARIO

 

 

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II Domenica dopo l’Epifania
20 Gennaio 2019 – Foglio n. 57
“Egli manifestò la sua gloria” (Gv 2, 11)

Mi hanno sempre colpito le parole, che si trovano alla fine del racconto di Cana: “Così Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui” (Gv 2, 11). Leggendo il brano, mi sorprende la sproporzione tra quel piccolo fatto domestico, noto soltanto a poche persone, e l’interpretazione dell’evangelista, che afferma: “Manifestò la sua gloria”. Solo Giovanni ricorda queste nozze. Forse avevano lasciato poca memoria di sé. Eppure sono piene di fascino e mi portano alla soglia del Mistero più grande.
A Cana Gesù cambia l’acqua in vino. E poco dopo guarisce il paralitico, moltiplica i pani, risana un malato, ridona la vista al cieco nato, risuscita Lazzaro. La gloria di Dio è la gioia dell’uomo. Vuole che viva, goda, non patisca tristezza. Dio è colui che si spende fino in fondo per la nostra felicità, dona tutto se stesso per riscattarci dalla tristezza, prende su di sé i nostri dolori, se ne carica fino in fondo, non pone limiti alla manifestazione del suo amore.
Ancora più mi stupisco accorgendomi che Gesù parla della sua glorificazione all’avvicinarsi della Passione, nell’Ultima Cena, dopo la lavanda dei piedi, quando annuncia il tradimento di Giuda, alla fine della vita. La morte in croce è il vertice, il momento più alto, il segno supremo della sua tenerezza infinita. Lì esplode luminosa e irrefragabile la sua gloria. Lo splendore di Dio è lo straripamento della sua bontà; la misericordia, che invade la storia, si rende visibile, mi viene incontro, avvolge la mia vita e quella di ogni uomo e donna. Ora non ho più dubbi: Dio mi ama fino alla fine.
“Gesù, donami, di comprendere che proprio nella sconfitta, nella umiliazione, si manifesta lo splendore del tuo volto. Nell’amore gratuito, che supera ogni misura, appare la tua natura più intima. Tu sei colui che si dona senza limiti. Il tuo spenderti non si rivela nel tuono, nel vento, nella tempesta, nella vittoria sui nemici. Scorgo la tua bellezza nella guarigione dei malati, nella festa di Cana, nel paralitico, che riprende a camminare. Ma soprattutto la vedo, quando tu, Gesù, mormori con un fil di voce:

“Tutto è compiuto” e chinato il capo, hai emesso respiro. Ecco la tua gloria! La croce!. Aiutami a portarla nel mondo con l’amore che non indietreggia, ma divampa fino al sacrificio della vita. Sarà il momento più bello. Allora non avrò più nulla da offrire, avrò già dato tutto. Non mi rimane che il cuore”.
“Non hanno più vino”. Nelle parole della Madonna mi sembra di cogliere un grido di allarme. Il vino è la gioia del Vangelo, che rende bella la vita. Ma troppo spesso manca. Non c’è in molti battezzati, che vivono la giornata trascinandosi pesantemente, arrancando sotto la morsa delle responsabilità, con più amarezze che soddisfazioni. È assente nella ordinaria gestione ecclesiastica del culto e della pastorale. Le comunità cristiane denunciano, talora, poco entusiasmo nel servire il Signore e lasciano tanti posti vuoti. Scarseggia nella vita sociale e politica, spaventata, arroccata nella paura del presente, senza slanci verso il futuro. Si è pieni di sospetto, si costruiscono muri e barriere. Si tirano fili spinati. Si teme l’altro e non si ha fiducia nelle risorse che porta. Il mondo invecchia e quello nuovo stenta a vedere la luce. Mi raccontava un giovane qualche giorno fa con accenti sofferti: “In noi cristiani di un Occidente per tanti aspetti sazio, fiacco e disilluso, manca la follia dell’innamorato, la gioia del giusto. Aumenta il sospetto, si risuscita la caccia alle streghe, si moltiplicano parole e convegni, mentre calano passione e impegno”. La Madonna sa tutto questo, ci è vicina, ci indica Gesù e la sua Parola. La gioia del Vangelo è “la forza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Rom 1, 16). È propria di chi, avendo trovato in Gesù la pienezza della vita, è sciolto libero, disinvolto, non timoroso, né impacciato, coraggioso fino al rischio. È la gioia di sapere che Dio si comunica a me e al mondo, “perché tu, o mio Dio, mi ami immensamente e ami questa umanità, la redimi nel Figlio, non ci abbandoni, mi sei Padre e ti comunichi a me in una ininterrotta cascata di grazie. Tu vuoi bene a noi peccatori, disperati, dispersi, smarriti e ci riconduci nella tua intimità. Nella tua luce vediamo la luce. Ci mostri il futuro, la strada da seguire, la voglia di costruire, la pace degli orizzonti ultimi della vita”.

La gioia del Vangelo ci viene messa dentro dallo Spirito, cresce come un albero rigoglioso, porta frutto. Quando non si asseconda, svanisce. Se invece si prendono decisioni giuste nel cuore, fiorisce.
Mi assale una domanda: “Quale passo mi chiedi di compiere oggi, Signore, per dare libero sfogo alla gioia che porto in me? Tu mi metti davanti tante situazioni di disagio, persone che non accetto, fatti che mi disgustano. Ti ringrazio, perché mi offri un’occasione provvidenziale per vivere il vangelo dell’amicizia, del perdono, del sacrificio, dell’incontro, della pace. Se compio un passo e prendo la decisione di espormi, amando, innesco la gioia del Vangelo, la stessa che è esplosa a Cana di Galilea. Sarà l’inizio di una felicità piena, senza fine, per me e per la terra che mi è dato di abitare”.

don Franco Colombini