Sotto il Campanile 20 Novembre 2022

Pubblicato giorno 18 novembre 2022 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

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Seconda Domenica di Avvento
20 Novembre 2022 – Foglio n. 200
Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco (Lc 3, 16)

Una donna uccisa dal freddo. Un neonato trovato morto su un barchino. Sono le ultime notizie di storie disperate.
La giovane mamma, di 19 anni, era partita dalla Tunisia con l’idea di far curare quel bambino fragile, di venti giorni, che soffriva di problemi respiratori, e assicurargli un futuro migliore. “La mamma del neonato – racconta il medico che l’ha assistita – ha chiesto di guardare per l’ultima volta suo figlio e la zia ha scattato una foto da inviare al papà, rimasto in Costa d’Avorio. Non dimenticheremo mai quello che abbiamo visto”. Il dolore di Lampedusa non finisce mai. Gli sbarchi si susseguono sul molo di quello che, nonostante tutto, rimane un avamposto di speranza e solidarietà. Ogni giorno viene emanato un bollettino di guerra e ciò che preoccupa è che sta diventando una
quotidianità nell’indifferenza totale.

Mi ha causato tristezza la recente diatriba tra Italia e Francia. Le due Nazioni vicine si sono rinfacciate reciproche accuse di disumanità e irresponsabilità sul dossier sbarchi e rifugiati, offrendo un deprimente spettacolo di discordia e di contrapposizione in un momento in cui il nostro mondo dei diritti e dei valori universali dovrebbe essere più unito che mai. Hanno dimenticato che le vite umane in pericolo vengono prima della riaffermazione del controllo sulle frontiere e sugli ingressi. I profughi arrivano da ogni parte, dal mare, via terra, a piedi, in aiuto, con trasporti pubblici, in aereo. Gli sbarchi sono più drammatici e visibili, ma non prevalenti. È uno sguardo distorto quello che vede soltanto i profughi che approdano sotto casa. Tutti reclamano un’accoglienza dignitosa.

Nessuno in Europa ha la coscienza pulita, se si pensa alle discusse imprese di Frontex ai confini esterni, o agli accordi con i Paesi di transito, come Libia, Turchia e Marocco. C’è il silenzio totale sui crimini commessi in Libia dalle autorità del Paese e riconosciuti da rapporti firmati dal Segretario Generale dell’Onu. Si nascondono le denunce sempre più numerose di abusi, maltrattamenti, torture, uccisioni a danno di migranti e profughi detenuti in centri gestiti dal Governo e dalle milizie locali.

Viviamo un tempo fosco in cui le persone in fuga sono considerate “armi di una guerra ibrida”, “animali”, “carico residuale”. Ci vorrebbe un Primo Levi per spiegarci cos’è un “carico residuale” fatto di carne umana, di anime ferite, di sguardi persi, di famiglie separate, mamme e figli a terra, papà da rispedire ai mittenti da cui sono scappati. Gli esseri umani bisognosi di protezione sono diventati uno strumento cinico e crudele di cattura del consenso politico. Si cercano voti respingendoli o rimbalzandoli da un paese all’altro, come se fossero rifiuti pericolosi, spazzatura da scaricare nel campo del vicino. Da cittadino voglio sperare in un Occidente e in un’Europa migliori, dove l’accoglienza generosa, riservata ai profughi ucraini, non rimanga un’eccezione, ma l’anticipazione profetica di un mondo migliore e più umano.

Anche Gesù è stato un migrante. Ha conosciuto l’esilio in un paese straniero per sfuggire alla crudeltà dei potenti. Il Figlio di Dio – Dio egli stesso – ha abbandonato il cielo ed ha posto la sua dimora tra noi, incarnandosi nella nostra storia. L’amore non ha confini, abbatte le frontiere, annulla le distanze, sfida ogni logica di buon senso, affronta il rischio e l’imponderabile. Noi uomini possiamo vagare lontano dalla sua presenza, fare orecchi da mercante, operare il male, convinti di percorrere il sentiero giusto. Poi, però, viene il momento in cui dobbiamo ricrederci. L’allontanamento del Signore è causa di dispersione, rompe la fratellanza, fomenta gli egoismi, scatena la corsa al potere. Ancora una volta in Europa risuonano le sirene antiaeree e il disprezzo dell’altro è elevato ad arma da guerra con cui giustificare i colpi di fucile e le peggiori depravazioni in quel Mediterraneo, che è stato la culla della civiltà. Nell’euforia del benessere eravamo convinti di aver lasciato alle spalle le brutture subite dai nostri padri. Invece il male agiva nel silenzio, entrava nei pensieri, conquistava i cuori e ora la sua azione nefasta ci sta rovinando. Il mondo è tornato indietro. Il forte richiamo di Giovanni Battista alla conversione arriva puntuale a scuotere la coscienza dell’umanità. Non basta che un albero sia piantato nel terreno prescelto. È necessario che produca frutti buoni, “degni della conversione, perché ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Lc 3, 8-10).

L’insidia che sempre tenta i battezzati è quella di ritenersi giustificati per il solo fatto di appartenere al popolo di Dio e aver compiuto un rito religioso, a prescindere dal proprio comportamento. Costruire i tempi nuovi della pace significa cambiare il cuore, ritornare al Signore, condividere i suoi sentimenti, abbandonare le vie del male, fare il bene, accoglierci gli uni gli altri con stima e amore fraterno. Gesù compie il vero miracolo del cambiamento, perché “battezza in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3, 16).

Primi anni 60. Eravamo sotto Natale. Ricordo che un tardo pomeriggio andai a passeggiare con mamma e papà nella piazza del paese. Le vetrine erano piene di dolci, panettoni, giochi, regali. Le pive degli zampognari incantavano i bambini. Le tante luminarie si rispecchiavano nell’asfalto bagnato e la piazza impazziva di luce. L’attesa della Notte Santa ci rendeva più buoni. La guerra era un incubo lontano. Ci si voleva bene e la gente guardava al futuro con fiducia. Ora il buio si sta facendo avanti di nuovo. Presto nel cielo tornerà a brillare la
stella, che annuncia la nascita del Figlio di Dio. Egli è la nostra pace. Quando a vincere è la fraternità universale, c’è solo la gioia di gustare quanto è bella la vita vissuta nell’amore.
don Franco Colombini