Sotto il Campanile 21 febbraio 2021

Pubblicato giorno 19 febbraio 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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I DOMENICA di QUARESIMA
21 Febbraio 2021 – Foglio n. 139
“Ho visto le sue vie, ma voglio sanarlo” (Is 57, 18)

 

La vita pubblica di Gesù si apre con il racconto delle tentazioni. Un brano con tanti riferimenti all’Antico Testamento e ricchissimo di implicazioni simboliche, psicologiche, spirituali. Al centro sta la figura di Gesù in lotta contro il male. Lo vinse con una decisione definitiva, dalla quale non tornò più indietro. Leggendo la vita di San Tommaso Moro mi ha colpito il momento dell’arresto. Quando fu convocato a corte dal re Enrico VIII, non oppose resistenza. Salì sulla barca consapevole della sua sorte. Lo aspettavano le prove, le atrocità, le umiliazioni, gli orrori, le lusinghe, gli adescamenti, la tortura, il carcere. Sapeva di andare incontro alla morte. La città era avvolta nel silenzio e sul Tamigi si sentiva soltanto il rumore dei remi. Tommaso, raccolto in preghiera, all’improvviso gridò forte tra lo stupore di tutti: “Ho vinto!”. Si era affidato a Dio. La Grazia lo raggiunse con una forza invincibile, la paura scomparve, abbracciò il volere del Padre e si incamminò “decisamente” (Lc 9, 51) sulla strada della Croce.

Gesù nel deserto fece per primo la stessa esperienza, quando, tentato, rinunciò ai privilegi, rifiutò la seduzione del dominio e dell’accaparramento, non volle abusare delle prerogative singolari di Messia, bruciò ogni sicurezza e convenienza, si espose al rischio totale fino ad essere respinto e fallire. Accettò la via dell’abbassamento che lo avrebbe condotto all’ultimo posto sulla croce accanto ai ladri. Offrì se stesso nella prova. Mise al centro la volontà del Padre. Superò nella sua carne l’ansia di salvarsi, gettandosi nelle mani di Dio. Scelse la strada stretta dell’amore e la percorse fino in fondo, come ci avrebbe insegnato: “Chi mette mano all’aratro e poi si volta indietro non è degno di me” (Lc 9, 57).

La Quaresima è andare con Gesù nel deserto, stare nella solitudine, isolarsi dalla quotidianità, guardarsi dentro, scendere in profondità, ascoltare la coscienza che fa risuonare la voce di Dio, guardarsi senza paura della verità, interrogarsi sul cammino percorso, progettare il futuro, porre attenzione alle domande inquietanti dell’animo come quella dell’uomo ricco della parabola: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?” (Lc 12, 20). La tentazione è in agguato, inganna, seduce, insinua il dubbio, mette paura, disagio, invita a fuggire, ribellarsi, rinunciare a pensare, ritornare alla baldanza del passato, accontentarsi di un idolo qualunque, purché prometta ricchezza e felicità. Nel deserto si impara che “l’uomo non vive solo di pane, ma di quanto esce dalla bocca del Signore”. Si scopre Dio come un padre buono che corregge il figlio, che ama, e si premura del cibo, dell’acqua da bere, del vestito, del piede gonfio per la lunga marcia (Deut 8, 3-5). Si incontra un Dio vicino, che ci cerca nel silenzio, riempie la solitudine di dolcezza, coinvolge nello stesso fremito d’amore fino al sacrificio della vita.

Nel capitolo secondo di Osea c’è una pagina stupenda, che descrive la storia di un tradimento. È la vicenda della moglie Gomer bat-Diblaim. Il profeta si era innamorato di lei, quando era sulla strada. La sposò e la condusse nella sua casa come una regina. Dopo poco tempo, la donna lo abbandonò, ritornando dai suoi amanti. La fuga e l’infedeltà gli accesero una passione più impetuosa di prima, che gli bruciava il cuore. Continuò ad amarla, desiderarla, fino a cercarla come un mendicante. Non vedeva l’ora di riportarla a casa dai loro tre figli. Sognava un paradiso terrestre dove incontrarla. Non in un’oasi verdeggiante di palme, nemmeno in una città affascinante come Damasco o Gerusalemme. Ma nella Valle di Acor, una terra desolata nel deserto di Giuda: “Io la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò sul suo cuore” (2, 16). “Là – confessa il profeta – ci stringeremo ancora noi due soli in unico abbraccio, pieno di passione, l’uno con l’altra”. La desolazione della steppa divenne il luogo del più bell’incontro d’amore.

Così Dio mi ama. Come un adolescente impazzito per una ragazza. E una ragazza infedele. La insegue, la rincorre, per appartarsi. Brucia dalla voglia di essere solo con lei. Non avrei mai osato raccontare queste cose, se non fosse stato Lui stesso a svelarle. Ci ha aperto il cuore. Ora so che mi aspetta, mi desidera, vuole amarmi, riempirmi di bene, saziarmi di vita, vedermi felice. Un fuoco lo divora. Il deserto della Quaresima, la Confessione, la conversione del cuore, la scelta del Padre, il ritorno al Vangelo delle Beatitudini sono il “tempo favorevole” per lasciarmi andare nella braccia di chi mi ama e ritrovarmi nella vita, come un bambino che viene alla luce. È la Pasqua del Signore.
Oggi viviamo giorni di sconforto per la tirannia di un virus che non accenna ad andarsene. Le comunità cristiane sono chiamate ad “abitare evangelicamente la crisi, accettandola come un tempo di grazia donatoci per capire la volontà di Dio”. Sono parole del Cardinale Bassetti. La pandemia ha dilatato gli spazi vuoti delle chiese e ha mostrato come, senza la Messa e le celebrazioni religiose, molti cristiani sono disorientati. Ma i giorni crocifissi della Chiesa sono cominciati molto prima della primavera 2020 nella estraneità dei giovani, la fuga degli adolescenti, l’allontanamento delle donne adulte, la fatica di trovare catechisti e operatori della carità, la scarsità delle vocazioni, l’abbandono del Matrimonio, l’insignificanza nella vita sociale e politica, … . Sono finiti i tempi delle chiese piene, degli oratori affollati, dei folti gruppi di Azione Cattolica, della considerazione sociale. Siamo dentro un processo di cambiamento epocale ed esposti alle tentazioni più subdole: criticare le scelte, giudicare le strategie, rimpiangere il passato, tornare indietro, prendere le distanze, vedere solo i difetti, chiamarsi fuori, … .

Il Cardinale Martini – un profeta formidabile del nostro tempo – lo aveva previsto ed aveva tracciano la rotta: “Si tratta di capire di quale tipo è la nostra forza e la nostra vittoria nel periodo presente della storia di questo mondo. Si tratta di capire, contemplando il volto dell’Uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia, che il nostro volto non potrà essere diverso dal Suo; che la nostra debolezza sarà forza e vittoria se sarà la ripresentazione del mistero della debolezza, dell’umiltà e della mitezza del nostro Dio. … In Lui, misericordia fatta carne, siamo chiamati a essere la Chiesa della misericordia; in Lui, povero per scelta, la Chiesa povera e amica dei più poveri; in Lui, appassionato per la comunione del regno, la Chiesa dell’unità intorno ai pastori da Lui voluti per noi … ; in Lui ebreo osservante, la Chiesa che ama i suoi fratelli maggiori e si nutre della santa radice, Israele; in Lui, servo umile e consegnato per amore al dolore e alla morte, la Chiesa che accetta di farsi consegnare dal Padre alla via dolorosa per amore del suo popolo, fino alla fine”.

Ci è difficile pensare che i giorni benedetti siano quelli della croce. Stentiamo a credere che in essa si nasconda un mistero fecondo, una benedizione invisibile, una promessa fatta di segni umili, percepiti solo da chi possiede uno sguardo puro. “È giunta l’ora” (Gv 17, 1). È il momento di immergerci nella fragilità della Chiesa, portare la croce, essere artigiani di comunità aperte, missionarie, libere, disinteressate, capaci di guardare negli occhi i giovani delusi, accogliere i forestieri, dare speranza agli sfiduciati. Il nostro è un tempo meraviglioso per essere cristiani e testimoniare nel silenzio l’amore più grande, che ha vinto il mondo. Quello della croce.

don Franco Colombini