Sotto il Campanile 21 maggio 2023

Pubblicato giorno 20 maggio 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

 

scarica ==>  Sotto il campanile 21 Maggio 2023

Ascensione di Gesù 21 Maggio 2023 –

Foglio n. 226

Un solo corpo e un solo Spirito

Ascensione e Pentecoste raccontano eventi lontani, che rischiano di perdersi nella nebbia dell’indifferenza e dell’incomprensione. Sono la storia di una salita e una discesa. Fatichiamo a cogliere il senso di questo lungo viaggio, che dal mattino di Pasqua arriva a noi. Gesù torna al Padre e lo Spirito Santo prende dimora nel cuore dei discepoli. S. Agostino diceva: “Noi, dimorando quaggiù, siamo già con Lui; Cristo, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi”. È “difficile da capire” il soprannaturale nel corpo dell’umano! Gesù è la vite, noi i tralci, il Padre il vignaiolo. Salendo al cielo, fa santa l’umanità ferita. Nel suo corpo sono impresse le piaghe della passione. Non condanna il male del mon- do, lo accoglie in sè e lo porta al Padre. Il dono dello Spirito Santo su Maria, gli apostoli e l’intera umanità compie il medesimo “miracolo”.

Trasforma i drammi del mondo in porte di salvezza. Scende come unguento sui nodi della storia, le fratture, le incomprensioni di cui sono intessute le nostre giornate, per trasformarle in case dove essere consolati. E tutti siamo coinvolti in questo “assembramento” di Grazia, che fatichiamo a capire e nello stesso tempo lo desideriamo con tutto noi stessi, perché nella sua sapienza mette al centro l’incontro dell’uomo con l’Infinito e coi propri simili. Una relazione vera, concreta, dove la dimensione intima e comunitaria si fa Persona: Gesù, il Risorto! Scriveva San Gregorio di Nissa nelle “omelie sul Cantico dei Cantici”: “Fra tutte le parole che Gesù dice e le grazie, che concede, una ce n’è che è la maggiore di tutte e tutte le riassume.

Ed è quella in cui Cristo ammonisce i suoi a trovarsi sempre uniti nella soluzione delle questioni e nelle valutazioni circa il bene da fare; a sentirsi un cuor solo e un’anima sola e a stimare questa unione l’unico e solo bene; a stringersi nell’unità dello Spirito con il vincolo della pace; a fare un solo corpo e un solo spirito; a corrispondere a un’unica vocazione, animati da una medesima speranza. Ma più che questi accenni sarebbe meglio riferire testualmente le parole del Vangelo: Padre, tutti siano una cosa sola. Come tu, Padre sei in me e io in te, siano anch’essi una cosa sola, perché il mondo creda, che tu mi hai mandato (Gv 17, 21)”.Il dono dello Spirito: un evento meraviglioso, un capolavoro della Grazia, l’uomo diventa tempio e dimora del Dio vivente; la Chiesa, che nasce, è inviata alle genti come “Sacramento” della sua Presenza; il genere umano si compone nella fratellanza e nell’unità di una sola famiglia. Ci troviamo in una stagione di netta cesura con il passato. Il file rouge della fede sembra essersi spezzato. L’uomo di ogni epoca ha conosciuto momenti di luce e di buio, si è ritrovato nelle ore più acute della notte e negli stadi esaltanti delle vittorie, ha sudato di fronte al male estremo e si è riposato contento nei periodi della pace.

Ma l’ha fatto sempre in uno sfondo di attese, speranze e tensioni trascendentali. L’umanità di oggi, invece, mentre assapora attimi di cielo, subisce le inco- gnite del disincanto, che galleggiano al confine tra la crisi del Nulla, da cui può emergere qualcosa, e il Niente banalizzante del quotidiano. La sfida è di capire se è ancora possibile scrivere un nuovo spartito, individuare una direzione mistica nel terreno del nichilismo. Non posso eludere la celebre provocazione di Karl Rahaner – un grande teologo del secolo scorso – , secondo cui il cristiano o è un mistico oppure è fuori dalla cornice della fede. Forse essere tali oggi significa prendere con serietà il “Cristo in usci- ta”, attraverso semplici e irrinunciabili esperienze di “asimmetria anonima” – il capovolgimento della realtà – , che colorino di senso un messaggio eterno seppur sbiadito. È normale aspettare che l’altro sia esplicito nella sua domanda di aiuto per schiodarsi dalla sedia e realizzare quanto de- sidera. L’amore invece gioca di anticipo, attende con pathos e pazienza, va incontro al dolore che sanguina di nascosto, come ha fatto Gesù con la donna Samaritana. Alla stragrande maggioranza pare corretto reagire con l’indifferenza all’indifferenza, con l’odio al presunto odio, con la violenza alla violenza provocatrice e sembra buona cosa restare incollati a un gruppo da cui trapela sicurezza, comodità e simpatie.

Ma Cristo scappa dalla normalità e le beatitudini osteggiano le nostre abitudini. La voce cristiana, se non vuole annegare nell’oblio e perdere di significa- to, deve lottare contro le insopportabili codificazioni dell’esistere e divenire profetica, “asimmetrica”, nell’incontro vivo con l’altro. Ciò non significa amare tutti allo stesso modo, con l’identica intensità e passione. Non si possono appiattire i sentimenti. Persino Gesù ha avuto una predilezione particolare per “il discepolo che amava”. L’incontro col Risorto è quell’in- dicibile che consente di “guardare” anziché vedere, di “ascoltare” anziché rinchiudersi nel rumore del Niente. Il misticismo postmoderno, con occhi rivolti più a terra che in alto, spinge a realizzare ponti fraterni e più belli rispetto ai grattacieli anonimi della globalizzazione. La parola viva di Gesù scalda ancora gli animi, si fa storia e costruisce con noi la civiltà dell’amore.

don Franco Colombini