Sotto il Campanile 21 marzo 2021

Pubblicato giorno 19 marzo 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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V DOMENICA di QUARESIMA
21 Marzo 2021 – Foglio n. 143
“Io sono la risurrezione e la vita” (Gv 11, 25)

 

Mi ha sempre colpito l’umanità di Gesù, la delicatezza dei suoi sentimenti, l’intensità dei legami. Sulla tomba di Lazzaro pianse e si commosse profondamente, condividendo il dolore delle sorelle. Gli voleva bene. Era un suo grande amico. Ogni morte, anche la mia, è sofferenza per lui che mi ama. La sua missione è restituirmi alla vita. Non mi vuole triste, spento, sterile. “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11, 25). Sono arrivato al punto decisivo della fede. Gesù si presenta come il Figlio di Dio che mi dona la vita. La pienezza di un’esistenza colma di gioia e di speranza. Il compimento di ciò a cui tendo con tutto me stesso per essere felice e realizzare le aspirazioni più profonde dell’animo. “Spalancate le porte a Cristo!”, disse il Papa S. Giovanni Paolo II all’inizio del suo pontificato nel lontano 1978. Quella voce grida ancora dentro di me. Mi chiede fiducia, coraggio, umiltà. Mi invita a superare la paura, i dubbi, le incertezze, a lasciarmi andare con la stessa passione di chi affida la vita alla donna che ama o ad aprirmi come un fiore di campo alla luce del cielo. La mia lunga esperienza mi porta a dire: “Chi fa entrare Cristo non perde nulla, assolutamente nulla di ciò che rende la vita libera, bella, grande. Egli non toglie nulla e dona tutto. Chi si dona a lui riceve il centuplo e trova la vita vera”. Comincio a capire Cristo quando accetto di incontrarlo. L’amicizia con Gesù stravolge l’esistenza, riempie di amore, suscita una capacità nuova di seminare la pace, porta ad assumere nuove e concrete responsabilità a servizio del bene. “Più che chiunque altro – diceva il Papa San Paolo VI – , colui ch’è animato da una vera carità è ingegnoso nello scoprire le cause della miseria, nel trovare i mezzi per combatterla, nel vincerla risolutamente. Operatore di pace, egli percorrerà la sua strada, accendendo la gioia e versando la luce e la grazia nel cuore degli uomini su tutta la superficie della terra, facendo loro scoprire, al di là di tutte le frontiere, volti di fratelli, volti di amici” (Populorum Progressi, 75). Anche il messaggio dal deserto della piccola sorella di Gesù Magdeleine è straordinario:

“Sogno che si possa donare molto affetto a tutti gli esseri umani, un affetto che sia così divino, pur scaturendo da un cuore umano, che non conduca fatalmente al disordine dei sensi … . Il mondo ha bisogno d’amore … . Vorrei amare tutti gli esseri umani del mondo intero … , vorrei mettere una scintilla d’amore in ogni angolo del mondo: l’Egitto, il Brasile, presto il Giappone … . Una scintilla provoca incendi di bosco; perché non dovrebbe accendere fuochi nel mondo intero?” (Dal Sahara al mondo intero).

La resurrezione di Lazzaro è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. La presenza di Gesù si era fatta insopportabile per i capi del popolo. Era arrivato il momento di farla finita. Si erano accorti che poteva vincere la morte e la pretesa di essere la vita degli uomini era vera. Anziché essere contenti, si sentirono perduti. La terra incominciava a mancare sotto i piedi, il potere traballava, la mente non trovava una via d’uscita. Presero la decisione di toglierlo di mezzo. Scelsero la morte. Rifiutarono l’irrompere della novità di Dio. Calpestarono la vita. Rinnegarono il futuro. Caddero nella solitudine più buia. Con Gesù, invece, il cuore è invaso dalla luce di un amore che non conosce misura, la vita sovrabbonda, la gioia non ha confini, la forza dirompe e abbatte qualunque steccato, affronta il male senza paura, lo combatte con il bene, la misericordia, la mitezza. “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11, 43). Gesù scioglie ogni catena che mi tiene imprigionato come in un carcere. Nell’ora in cui varcherò la soglia oscura della morte, mi sarà vicino per condurmi al Padre.

E quando tutto sarà compiuto, anche il mio corpo risorgerà, perché mi ama e, così come sono, mi vuole con sé, dove la vita sarà per sempre. Sfidando l’odio e confidando nella bontà dei cuori, Papa Francesco si è recato nei giorni scorsi in Iraq, “culla di civiltà”, mosaico di religioni e di etnie. Una terra devastata da guerre intestine, ingannata dalla falsa liberazione occidentale, violentata dal sedicente Stato Islamico, abbandonata nell’anarchia senza sicurezza. Guerra, terrorismo, instabilità, rifugiati, dolori! E pensare che il Papa San Giovanni Paolo II tentò in ogni modo di fermare la sciagurata guerra del Golfo senza essere ascoltato! Non è un periodo in cui i leader fanno visite ufficiali. E l’Iraq non è sicuro. Il Papa si è sentito chiamato a raggiungere questa periferia estrema senza pace per confermare una Chiesa martire di millenaria fedeltà al Vangelo. Tanti, ancor oggi, rischiano, subiscono violenze, perdono la vita. Raghed Ghanni , giovane prete caldeo, che studiava a Roma, avrebbe potuto restare in Italia, ma tornò nella sua terra, dove fu assassinato nel 2007: “Senza l’Eucaristia i cristiani non possono vivere in Iraq” , diceva.

E la celebrò fino alla morte a Musul per mano di terroristi islamici. Gli stessi che uccisero 48 fedeli in preghiera nella cattedrale Siro-cattolica di Baghdad nel 2010, distrussero e bruciarono le chiese, costrinsero i cristiani ad abbandonare le case, andando profughi in terre straniere, lasciando alle spalle città deserte, macerie, desolazione. Il mondo e la storia non possono essere fermate dalle tragedie. Nei martiri c’è un seme di vita. Dal Vangelo scaturisce una cultura di pace, un vivere insieme fraterno. Francesco è andato a ravvivare la speranza dei cristiani, chiamati a costruire un nuovo futuro con il dialogo, il perdono, la riconciliazione. La brutalità delle armi è follia. La forza debole e umile del Vangelo cambia il destino del mondo. Nel deserto di Ur, dove non esistono muri, ha posto un interrogativo all’umanità: “Da dove può ricominciare il cammino della pace? Dalla rinuncia ad avere nemici. Sta a noi …”. I credenti di ogni religione non possono rassegnarsi al male. “Sta a noi!”. “Se Dio è il Dio della vita – e lo è – , a noi non è lecito uccidere i fratelli nel suo nome. Se Dio è il Dio della pace – è lo è – , a noi non è lecito fare la guerra nel suo nome. Se Dio è il Dio dell’amore – e lo è – , a noi non è lecito odiare i fratelli”. Parole da incidere sulle pietre miliari del cammino futuro. La voce del Successore di Pietro, come quella di Gesù, è risuonata forte nelle coscienze, nelle città, nelle Chiese, nel mondo: “Lazzaro, vieni fuori!” (Gv 11, 43). È il momento d abbandonare il sepolcro della paura, scrollarci di dosso le bende dell’egoismo, uscire alla luce del sole incontro al domani, pieni di vita, caldi di entusiasmo, per sbriciolare i muri, farci prossimo, tenere in piedi la casa comune con l’impegno, la cura, la solidarietà, l’amicizia, la fraternità. Confidando in Colui che ha detto di essere la risurrezione e la vita, faremo morire la morte. Rifioriranno la pace e la giustizia. La concordia prenderà dimora nelle città. In ogni angolo l’umanità tornerà a danzare e canterà di gioia. La festa di Dio è incominciata.

don Franco Colombini