Sotto il Campanile 22 aprile

Pubblicato giorno 21 aprile 2018 - NOTIZIARIO

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Gesù ha raccolto i suoi discepoli nell’unità di una sola famiglia e li ha affidati alla cura amorevole dei “presbiteri”, persone sagge, “esemplari nel parlare, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza” (1 Tim 4, 12). A loro ha donato lo Spirito, confermandoli nel servizio di guidare la comunità, accompagnarla sulle vie del mondo, confermarla con la Parola e i Sacramenti, fortificarla nei giorni della prova e della persecuzione, garantire la comunione fraterna e l’aiuto ai poveri.

Come Gesù, “Buon Pastore”, anch’essi vivono per il gregge loro affidato, conoscono per nome ogni pecorella, la amano più della propria vita, per questo nemmeno una di esse andrà perduta. Nella comunità di Troade Paolo conferma che nessuno può essere strappato dalla mano di Dio, nemmeno Eutico (cfr Gv 10, 28-29). Oggi questo ministero continua nella Chiesa attraverso il Papa, i Vescovi, i Sacerdoti, i Diaconi.
Con amore di padre Papa Francesco ha fatto dono alla Chiesa della sua terza Esortazione Apostolica, “Gaudete et exultate”. Tratta della gioia, che nasce dall’incontro con Gesù e con gli altri nella vita quotidiana, fatta di apparenti banalità. In questi frammenti di esistenza, e soprattutto nelle esistenze frammentate, si nasconde il seme della santità. È come il regno di Dio. Cresce lentamente, matura, si sviluppa pian piano, per virtù propria, fino a diventare frutto. Va coltivato, curato, custodito, aiutato a realizzarsi in pienezza, ma il suo frutto è sicuro, è già nascosto fin dall’inizio.

Purtroppo siamo abituati a pensarla come traguardo raggiunto dallo sforzo sovrumano di pochi o come un destino riservato agli eletti. Papa Francesco mette in guardia da questi pericoli. Ci sono due modi sbagliati di intenderla: quello pelagiano, che sconforta, perché dopo tanta fatica si cade, col rischio di disperarsi, e quello gnostico ancora più deprimente, perché ci fa pensare di essere superiori per la conoscenza e poi ci accorgiamo di non avere cuore e tenerezza per nessuno. Il Nemico ci fa credere che tutto dipende da noi o, al contrario, che ogni cosa è già scritta. In realtà senza la carne di Gesù e senza la tenerezza per la carne ferita del fratello non c’è santità. Ci salva Gesù morto e risorto e si diventa santi in mezzo agli altri. Senza carne e senza comunità non c’è storia né eternità, perché in Paradiso ci saremo anche col corpo e insieme a una moltitudine. Anzi, scrive il Papa: “… con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte. Poiché che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo!”.

La strada per il cielo attraversa la terra infangata, sporca, accidentata. Lungo questi sentieri molti cadono e altri aiutano i feriti a rialzarsi. Ognuno è chiamato ad essere il meglio di sé. Il Vangelo è possibile in qualunque situazione. Le beatitudini sono la via comune alla santità. Esse hanno il sapore forte della prova – come la povertà interiore e materiale, il pianto, la fame e la sete di giustizia, le persecuzioni, l’offesa – e il gusto delicato della tenerezza: la mansuetudine, la mitezza, la purezza di cuore, la misericordia, la pace.

Fin da ragazzo ho avuto familiarità con i santi. All’asilo le Suore mi fecero conoscere la figura di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, che ho ancora scolpita nel cuore. Il mio maestro delle elementari aveva appeso in classe una gigantesca foto del Beato don Carlo Gnocchi. Noi bambini a turno portavamo i fiori. In primavera ci mandava nei prati a raccogliere le viole e le margherite, perché – diceva – la semplicità e l’umiltà sono il segno più bello che lasciano gli uomini di Dio. Negli anni di seminario il padre spirituale mi consigliava la lettura giornaliera della vita dei santi per far miei i sentimenti di Gesù. Ricordo che in un piovoso pomeriggio di novembre l’esempio di San Damiano de Veuster, l’apostolo dei lebbrosi, mi fece incontrare gli “scarti” dell’umanità e mi ha insegnato ad amarli. Lottare. Vigilare. Discernere. Il Risorto depone in ogni cuore la santità con il dono del suo Spirito e con il fascino di chi l’ha raggiunta. A noi basta lasciarla andare, liberarla. Allora l’amore si diffonderà nel mondo e la luce riempirà la terra.

don Franco Colombini