Sotto il Campanile 22 dicembre 2019

Pubblicato giorno 21 dicembre 2019 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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VI Domenica di Avvento
della Divina Maternità di Maria
22 Dicembre 2019 – Foglio n. 92

La Chiesa di Milano oggi celebra la solennità della “Divina maternità della Vergine Maria”. È una festa del Signore, perché protagonista è il Verbo eterno del Padre, che si fa carne nel grembo di una donna. Questa domenica, che nel Rito Ambrosiano si chiama anche “dell’Incarnazione” , è il grande portico, che ci introduce al mistero del Natale.
Di qui la preghiera, che la Liturgia mette sulle nostre labbra: “Rallegrati, popolo santo; viene il tuo Salvatore” (Sal 71). E la Lettera ai Filippesi incalza: “Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino” (Fil 4, 4-5). L’annuncio, che l’apostolo delle genti fa ai cristiani, non rimanda al tempo finale, ma a quello presente. “Il Signore è vicino”, sta per venire, è già qui. E Luca, nel Santo Vangelo, ce lo conferma: “Rallegrati, il Signore è con te” (Lc 1, 28).
La presenza del Signore è fonte di gioia. Porta con sé l’amabilità dei fratelli, che si accolgono, si vogliono bene, vivono l’uno per l’altro, donandosi la vita. Il contrario di quel narcisismo, che può giungere ad una sorta di autismo spirituale, la cifra delle nostre società avanzate.

All’ineffabile avvenimento del Natale del Signore si lega, come scrive S. Agostino, la nuova nascita dell’uomo: “Ci faccia diventare figli di Dio Colui che per noi volle diventare figlio dell’uomo (Sermo 184).
La nascita di Gesù è un potente giudizio sul gelo demografico, che caratterizza il nostro Paese e sul conseguente invecchiamento della popolazione. Un dato non solo anagrafico. Nelle nostre città si respira un’aria pesante, drammatica. Si fatica ad accogliere la vita in tutte le sue manifestazioni, dal concepimento fino al suo termine naturale. La politica non offre adeguati sostegni alla famiglia. Abbandona i giovani a se stessi. Li lascia soli ad affrontare le responsabilità della vita, anche quelle economiche. Manca la speranza. Eppure a Natale il ritmo frenetico del nostro tempo, preoccupato e distratto da ciò che veramente conta, si spezza quasi per incanto. Si ferma, stupito, per far spazio ad un Bambino
E tutti sappiamo che è giusto fare così. Anche se non riusciremo a tenere aperto questo squarcio di consapevolezza, siamo convinti che è bene celebrare una nascita. Un bimbo che viene alla luce è una cosa grande, straordinaria. Al suo primo sussulto siamo chiamati a dire di sì. “Ogni sì pieno a Dio dà origine ad una storia nuova: dire di sì a Dio è veramente “originale”, è origine, non il peccato che ci fa vecchi dentro” (Papa Francesco, 8 dicembre 2016).
“Gesù è nato in una stalla. Una stalla, una vera stalla, non è il lieto portico leggero, che i pittori cristiani hanno edificato al Figlio di David, quasi vergognandosi che il loro Dio fosse giaciuto nella miseria e nel sudiciume”. Così inizia la “Storia di Cristo”, scritta nel 1921 da Giovanni Papini, da pochi mesi convertitosi al cristianesimo dopo anni di ateismo e di anticlericalismo.

Poche parole, essenziali, crude, per raccontare qualcosa che ha dell’incredibile. Sì, Gesù Cristo è stato partorito in una stalla. Il Signore della storia è entrato nel mondo come un reietto, tra il fetore dei liquami e i ronzii dei mosconi. Il Figlio di Dio accondiscese a crescere nel grembo di una giovinetta per essere generato come qualsiasi altra creatura umana. È molto difficile ricordare questo evento davanti a una vetrina ammassata di oggetti regalo o dentro un centro commerciale zampillante di luce e strapieno di panettoni o per le vie della città addobbate e illuminate. È normale che la gioia della festa sia visibile, ma deve sgorgare dalla consapevolezza che inizia per l’uomo un nuovo futuro. Non è proprio questo lo spirito che impregna la società di oggi, scristianizzata e confusa, immersa nel delirio dell’onnipotenza e nell’arroganza di potersi salvare da sola.

“Gesù è nato in una stalla”, lontano dai bagliori dell’oro e dalle sirene del dominio. Viene in umiltà, nel silenzio, nel freddo della notte, in un luogo ritirato, lontano dagli sguardi dei potenti, tra gente semplice e disprezzata come i pastori. Fa udire il suo primo vagito solo a sua Madre, a Giuseppe, all’asino e al bue. La mangiatoia, dove è stato deposto, è simbolo della povertà di tutti i tempi, della “carriera rovesciata di Dio”, che non trova posto quaggiù. È vicino di tenda di chi vive sulla strada, dei senza patria, di tutti coloro che la nostra durezza di cuore classifica come intrusi, estranei, abusivi, scarti. Il signore è fatto così. Non si fa incastrare dalle logiche umane. Ricordare come e dove è nato Gesù non può farci che del bene.

L’attenzione e la solidarietà, che i poveri ricevono a Natale, sono di breve durata. Al tramonto i riflettori si spengono e scende il sipario. Nulla cambia senza l’amore. Quando ci entra nel cuore, nascono vincoli indistruttibili, diventiamo amici per sempre, fratelli, operatori di giustizia. Gli ultimi diventano i primi e siamo contenti di prendercene cura. È il miracolo di Betlemme.
Davanti al presepe la preghiera sgorga spontanea e si allarga alle dimensioni del mondo:“Asciuga, Bambino Gesù, le lacrime dei fanciulli! Accarezza il malato e l’anziano! Spingi gli uomini a deporre le armi e a stringersi in un universale abbraccio di pace! Invita i popoli, misericordioso Gesù, ad abbattere i muri creati dalla miseria e dalla disoccupazione, dall’ignoranza e dall’indifferenza, dalla discriminazione e dall’intolleranza. Sei tu, divino Bambino di Betlemme, che ci salvi, liberandoci dal peccato. Se tu il vero e unico Salvatore, che l’umanità spesso cerca a tentoni. Dio della pace, dono di pace per l’intera umanità, vieni a vivere nel cuore di ogni uomo e di ogni famiglia. Sii tu la nostra pace e la nostra gioia”.

don Franco Colombini