scarica == > sotto il campanile 22 Gennaio 2023
III Domenica dopo l’Epifania
22 Gennaio 2023 – Foglio n. 209
“Tutti mangiarono a sazietà” (Lc 9, 17)
La nostra Parrocchia, riprendendo l’antica tradizione delle SS. Quarantore, ha invitato la comunità a raccogliersi in adorazione davanti all’Eucaristia per quattro giorni consecutivi. Pur essendo prete da tanti anni, mi capita spesso durante la Messa di domandarmi non senza stupore: “Che cosa è questo pane che ho tra le mani? Come può essere disceso dal cielo per me e per tutti?”.
Mi perdo nella vastità di un Mistero inaccessibile, troppo grande per essere afferrato dalla mia piccolezza. Eppure è l’unica risposta alle infinite voci dell’umanità, che da ogni parte salgono a trafiggermi l’anima. Dio non mi dà altro.
Mi sembra di rivivere quello che avvenne a Mosè e Aronne nel deserto. Fuoriusciti dall’Egitto, gli Israeliti arrivarono in una terra arida e secca. Il sole li bruciava come una palla di fuoco rovente. Furono assaliti dai morsi della fame e dall’arsura della sete. Non trovando niente, si ribellarono, mormorarono, se la presero con i due capi, sentendosi trascinati in un’avventura rischiosa, senz’altra sicurezza che la Provvidenza del Signore. Venendo meno la fede, non rimase che la protesta, il tentativo di cavarsela da soli, il rimpianto del passato. Erano disposti a rinunciare alla libertà e sottoporsi di nuovo al giogo della schiavitù. Ma Dio è fedele, ama, sente compassione, non torna indietro. Continuò ad assistere il suo popolo. Dal cielo fece piovere un pane, che nessuno aveva mai conosciuto. Provvide alla vita. La manna doveva essere raccolta per la razione di un giorno. Niente di più. Era un dono e non poteva trasformarsi in possesso.
Anche la gente al seguito di Gesù un giorno si trovò, sul calar della sera, in una zona deserta, sprovvista di cibo. I discepoli gli suggerirono di congedarla, perché andasse “nei villaggi e nelle campagne dei dintorni per alloggiare e trovare cibo” (Lc 9, 12). Ma il Signore aveva altro nel cuore. “Voi stessi date loro da mangiare” (Lc 9, 13). Una richiesta sconcertante. Ma essi si misero a disposizione, sistemando la folla e distribuendo i cinque pani e i due pesci. Quel giorno sperimentarono che solo da Lui giunge agli uomini la vita in abbondanza, esuberante, in eccedenza. Una possibilità straordinaria per affrontare il domani senza paura. “Tutti mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi loro avanzati: dodici ceste” (Lc 9, 17). Gesù non abbandona mai alla solitudine dei deserti esistenziali del corpo e dello spirito. C’è sempre.La moltiplicazione dei pani e dei pesci lascia intendere che i cristiani ricevono la vita divina dall’Eucaristia, la quale sazia oltre ogni attesa e li coinvolge nella stessa carità del Maestro. Egli “da ricco che era, si fece povero” (2 Cor 8, 9), si consegnò all’umanità, perché nessuno andasse perduto, nemmeno chi viveva dimenticato nei bassifondi della società. Gesù andò a stanarli, non si fermò di fronte a niente, ardeva dalla voglia di vederli liberi e felici, bruciava d’amore, disposto a tutto, anche all’ignominia della croce. Una storia che continua ancora
nella radicalità dei suoi discepoli. Essi sono l’oggi di Dio.
Fratel Biagio è morto in questi giorni a cinquantanove anni. Era il figlio di una famiglia borghese. Dopo il primo pellegrinaggio ad Assisi, sulle orme di San Francesco, si dedicò ai poveri di Palermo. Lasciò ogni agiatezza per seguire il suo cammino d’amore e realizzare un’opera che ha chiamato a raccolta tante anime buone. Una sera, passando dalla stazione, vide persone che dormivano all’addiaccio. Tornò a casa, prese un thermos, un Vangelo, un sacco a pelo e li raggiunse. Ai genitori disse soltanto: “Ora so quello che il Signore vuole da me”.
Percorse la città di Palermo da cima a fondo, nei suoi angoli più bui, senza ma rassegnarsi alla sofferenza degli altri, non limitandosi a incontrare i poveri, ma andandoli a cercare. Nacquero le Cittadelle di Via Decollati e di Via Architrafi, dove ancora oggi trovano accoglienza un migliaio di persone, confortate con i pasti caldi, un letto e l’assistenza medica.
Un uomo buono, semplice, spoglio, indifeso, ricco della sua povertà, felice di spendere il tempo per il prossimo, appassionato di Cristo, con le braccia aperte, il sorriso largo, lo sguardo sereno, il cuore senza confini, gli occhi stupendamente verdi, la barba incolta, come un antico patriarca. Lottò con l’arma del digiuno per far rendere al massimo la sua forza umile e non violenta. Non scese a compromessi. Visse per i poveri, facendosi loro fratello. La dolcezza e la vitalità, che aveva addosso, provenivano da un Altrove. Scaturivano da uno spazio inedito.
Cristo era tutto per lui, l’Eucaristia il suo cibo quotidiano.
In queste ore sento molto parlare della cattura di Matteo Messina Denaro – la sconfitta di una parte importantissima della peste mafiosa. La vista di quel boss incerto, dimesso, ammalato, così lontano dalla maschera, che lo ha consegnato alla sua atroce leggenda, ha fatto rifiorire la fiducia nel bene, anche se non mi è piaciuta l’eccessiva spettacolarità dell’evento. M la più bella speranza viene da questo fraticello laico. Il suo esempio ha superato i confini della Sicilia. Lascia in eredità l’amore per gli ultimi, l’accoglienza intelligente e generosa, la scelta
di cercare risposte, per non abituarsi allo scandalo della povertà. Ha iniziato un cammino che continua e porta pace alla terra.
Grazie, frate, per averci ricordato che “alla sera della vita ciò che conta e aver amato” e prega per noi.
don Franco Colombini