Sotto il Campanile 22 ottobre 2023

Pubblicato giorno 20 ottobre 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

 

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I DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE
22 Ottobre – Foglio n. 233
Giornata Missionaria Mondiale

“Cristo mi ha mandato ad annunciare il vangelo” (1 Cor 1, 17)
Il clima bellicista, che si va affermando nel mondo, con la guerra in Palestina, in Ucraina, nel Nagorno
Karabakh, in Africa, Siria, Libia, Yemen e in tante altre Nazioni dimenticate del Pianeta, rischia di portarci allo stordimento.

Davanti all’orrore delle immagini e delle storie dei massacri si resta inorriditi e senza parole. Le stragi sono frutto di una strategia
terroristica, nutrita da un racconto unilaterale e vittimistico e pieno di odio. Uccidere non è mai giustificabile, soprattutto se si colpiscono i bambini.

Non possiamo illuderci di “rimanere sani in un mondo malato”, va ripetendo Papa Francesco.

Servono nuove strategie per risparmiare tanto sangue innocente. Non esistono conflitti congelati, ci sono crisi che vanno assolutamente risolte con la pace. Solo lo sforzo congiunto di paesi volonterosi, che hanno a cuore le sorti
del mondo, potrà realizzare tale miracolo. L’odio crudele esploso in questi terribili mesi mette paura. Forse è giunto il momento di ascoltare antiche parole cariche di luce:

“Egli è la nostra pace, Colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il
muro di separazione che era frammezzo, cioè l’inimicizia” (Ef 2, 14).

La Giornata Missionaria Mondiale ce lo ricorda. Il mondo non può fare a meno di Gesù. Il male esige
una risposta d’amore. Riccardo Maccioni sull’Avvenire di domenica scorsa invita alla speranza.
LA DOMANDA INEVITABILE
C’è una domanda, forse l’unica inevitabile, che in queste ore martella la testa e non
ci fa dormire: quando finirà la notte? Perché dal 7 ottobre, dall’orribile attacco di Hamas a Israele, siamo dentro un incubo di morti ammazzati, di cadaveri maltrattati, di
ostaggi che non sai quanti siano e dove, di feste musicali diventate marce funebri.

E domani, con Gaza senza cibo ed energia elettrica, sarà un nuovo inferno di bambini
che piangono, di malati senza cure, di sirene impazzite, di case distrutte. No, non
finirà presto questa notte, che si porta addosso decenni di odio reciproco, di lezioni di
intolleranza, di provocazioni e vendette, di accordi sottoscritti e mai rispettati.

Tanto che chi osserva da fuori avrebbe voglia di dire “basta”, di coprire gli occhi davanti all’orrore, di tapparsi le orecchie per non ascoltare il rumore delle bombe, di eliminare dal proprio vocabolario luoghi di cui non sa neppure pronunciare il nome.

Ma non è possibile, perché non esiste nessun altrove, perché il Medio Oriente è il cuore – non solo religioso – del
mondo, perché siamo un’unica famiglia umana.

Anzi, sempre di più dobbiamo calarci mani e piedi nel buio, per capire fino a che punto siamo sprofondati, per vedere se esiste
un appiglio, una corda o anche solo una mano tesa, che provi a tirarci su.

O almeno ci mostri la luce.
E poi la speranza va alimentata proprio lì, nell’angolo cieco della storia tra chi sputa per
terra il suo rancore e chi, al contrario, si china a raccogliere il dolore degli altri.

Speranza che, nella visione cristiana, non è scuola di illusioni ma dare del tu all’oggi, è – per citare
Candiard – il coraggio della realtà.

Non crea paradisi immaginari la speranza, non vela gli scandali e la violenza, ma vive il presente, lo interroga, scandagliando i cuori alla ricerca di quel pezzetto di cielo, che ognuno porta dentro di sé.

Come il cantiere aperto in una città devastata, tra le macerie c’è sicuramente del materiale buono che servirà per
ricostruire, ci sarà una pietra che potrà diventare “testata d’angolo”, ci sarà una persona
capace di insegnare il dialogo guardandoti negli occhi.

Si tratta però di fare il salto nella fiducia in Dio, di rinunciare alle reti di sicurezza soltanto
umane e, anche se il mondo ci fa paura, di non rinchiudersi nel proprio io o nella comfort
zone di qualche amico.

Perché la speranza non è aspettare la fine e che il Signore distrugga tutto il male, ma trovare il bene dove già esiste, alimentandolo dentro e fuori casa nostra.

Anche a questo serve la preghiera, a trovare un raggio di sole nell’oscurità più nera, ad andare oltre le offese, a imparare a guardare il prossimo e la storia con gli occhi di Dio. in queste ore si moltiplicano me veglie e i momenti di riflessione, con la Cei
che ha indetto per il 17 ottobre una giornata di digiuno, preghiera e astinenza.

Nessuno naturalmente si illude che di colpo subito dopo scatti la pace, così come in Ucraina si continua a combattere malgrado le invocazioni che quotidianamente salgono al cielo da ogni parte del mondo.

Pregare non è magia, non è la monetina (o la app) con cui paghi il caffè alla macchinetta, nella sicurezza che, buono o cattivo, comunque riempirà il bicchierino.

Non dà garanzie, anzi può persino fare male, perché, come una goccia nella roccia, ti scava dentro giorno per giorno fino a raggiungere ferite che neppure conoscevi, fino a mostrarti come sei davvero, così da poterti offrire senza maschere agli altri.

“Nessuno si salva da solo” vuole dire anche questo, che non esiste preghiera in odio al
mondo, che chi lo maledice bestemmia, che alla base di un credo religioso, quale che
sia, non può mai esserci l’intolleranza.

Ma per capirlo bisogna mettere in campo tutta l’umanità che abbiamo nella testa, nelle braccia e nel cuore, quella che cresce nel dialogo con il Padre buono, certi che esiste e ci ascolta.

Al profeta Geremia del resto il Signore non ha promesso gioie e successi, ha semplicemente garantito la sua presenza.

Allora e sempre. Anche nei kibbutz in cui Hamas ha seminato morte e orrore, anche nelle stanze
della politica che rifiutano la negoziazione. Persino nelle domande in apparenza senza
risposta, come quella che ci martella la testa e non ci fa dormire: quando finirà la notte?

don Franco Colombini