SCARICA ==> sotto il campanile 23 febbraio 2020
Domenica VII, Ultima, dopo l’Epifania
23 Febbraio 2020 –
Foglio n. 101 “Qui non vincerà l’odio”
Con la parabola del “figliol prodigo – così veniva chiamata fino a qualche tempo fa – la Chiesa porta a compimento il cammino del dopo Natale e volge lo sguardo alla Quaresima, nel segno dell’amore misericordioso del Padre, disposto sempre a perdonare, nonostante gli errori e le cadute. Gesù parla di un fallimento totale. Un figlio esce di casa e l’altro non vuol entrare. Niente, però, uccide l’amore e lo strappa via dal cuore del padre. “Le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo”. Così è scritto nel Cantico dei Cantici (2, 6-7a). Alla fine la fiducia viene premiata. Il padre stringe tra le braccia il figlio minore “ritrovato” e riprende il dialogo con il maggiore, al quale può finalmente confidare i sentimenti del suo animo.
Quando ascolto questo racconto, sorgono in me forti domande: “Chi è per me Dio? Un padre padrone? Un giudice inflessibile? Un estraneo indifferente a ciò che mi succede? Un teorema per spiegare l’essere e il divenire? Un porto lontano dove conduce il viaggio della vita? Un papà premuroso, comprensivo, pieno di amore, sempre al fianco, felice di condividere ogni attimo della mia storia, pronto a rialzarmi e disposto a lasciarmi andare, contento di ogni passo in avanti? Un genitore, che mi vuole bene con l’affetto di un padre e di una madre? ”. La risposta viene dal silenzio del cuore, dove calda e intensa è la sua presenza, e determina la serenità del mio spirito.
Mi colpisce la felicità del padre, allorché il figlio, dopo aver sperperato tutto il capitale ed essersi pentito, si ripresenta a casa. Non ci sono processi, sentenze, giudizi, rimproveri, castighi, parole, … . Solo festa! La gioia di essere di nuovo insieme! Il male li aveva divisi, separati, portati lontano l’uno dall’altro, nella più sconfinata solitudine. Il perdono li ha ricongiunti. L’amore ha vinto. Ecco il mistero di Dio! La Verità!
Una bella storia moderna di amicizia tra due famiglie è capitata lo scorso mese di agosto. Il delitto e l’abbraccio. Cureggio, un tranquillo paesone in provincia di Novara, una mattina si è svegliato con la notizia che nella notte Alberto aveva ucciso a coltellate Yoan, il suo miglior amico, diventato di colpo il bersaglio di un odio incontrollabile. Da quando Sara, la fidanzata, l’aveva lasciato, Alberto aveva perso la testa. La perseguitava giorno e notte, rendendole la vita impossibile, tanto che la giovane si era rivolta a Yoan, chiedendogli il favore di condurre alla ragione l’amico di vecchia data.
Una richiesta d’aiuto che Alberto aveva male interpretato, come se tra i due ci fosse più di un rapporto di semplice amicizia. Una fissazione che è diventata condanna a morte per Yoan, a sangue freddo, una sera d’estate, dopo la partita di calcetto, a 23 anni.
“È giusto che paghi per quello che ha fatto, ma non riesco ad odiare Alberto e la sua famiglia”, ha detto il padre di Yoan. Ed ha compiuto un gesto di grande umanità, che ha messo a tacere ogni tentativo di odio, mitigando la drammaticità del dolore. Con la moglie e i genitori di Alberto è andato sul luogo del delitto a deporre una corona di fiori con scritto un messaggio: “Da chi ti ama”. I quattro genitori, straziati dal dolore, sono stati a lungo insieme, si sono abbracciati piangendo. Hanno deciso che l’amicizia tra le loro famiglie – che hanno la casa a pochi metri l’una dall’altra – non dovesse finire troncata dal male.
“Non cambia niente, eravamo amici, lo siamo e lo rimarremo. L’amicizia resta. Tutti i genitori crescono i propri figli nel bene, quello che succede dopo nella vita non lo possono decidere. Erano i migliori amici. Yoan voleva fare da paciere. Questa volta non ha tenuto la parte di Alberto ed è finita in tragedia. Ma non odio Alberto. Sarà la Legge a farlo pagare per quello che ha commesso”.
Dopo la delirante confessioni sui social, a pochi minuti dall’omicidio, per Alberto si sono aperte le porte del carcere. Sono iniziati i giorni della presa di coscienza del gesto scellerato che ha posto fine alla vita del suo miglior amico ed ha cambiato per sempre la sua. Un peso che non ha la forza di portare da solo. “Voglio farla finita, è meglio che mi uccida”, ha detto al giudice durante l’udienza di convalida del fermo. Nell’interrogatorio è apparso provato, confuso, è scoppiato più volte in lacrime, per poi tornare a chiudersi nel silenzio. Ora si apre un nuovo capitolo, dove i genitori di Yoan avranno una parte importante per ricostruire la vita di Alberto. Il calore umano, che non gli lasceranno mancare, confermerà l’affetto sincero del suo miglior amico. Yoan continuerà a volergli bene. Vuole vederlo felice. Quando Alberto avrà trovato pace nella coscienza, potrà iniziare il cammino della speranza, verso l’alto, che solo il perdono renderà possibile.
L’Eucaristia celebrata con le Acli in questa domenica porta alla riscoperta di un’altra forma di amore, il volontariato, la carità politica che ferve attorno ad ambiti come la salute, il benessere, lo sport, la povertà, l’ambiente, l’urbanizzazione, la cultura, la tecnologia, l’innovazione, la pace, i diritti umani, l’economia, il clima, lo sviluppo sostenibile. Sono in tanti ogni giorno a dare un aiuto concreto a chi ha bisogno e a sostenere la società civile, mossi da valori antichi, ma sempre attuali, come la generosità, l’amicizia, la passione per la vita, l’attenzione al bisogno, la cura del bene comune, la costanza dell’azione. Carità e giustizia sono un binomio inscindibile. Uniti, abbattono muri e costruiscono la civiltà dell’amore.
don Franco Colombini