Sotto il Campanile 23 maggio 2021

Pubblicato giorno 21 maggio 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

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DOMENICA di PENTECOSTE
23 Maggio 2021 – Foglio n. 152
Vi manderò il Paraclito, lo Spirito della verità (Gv 16, 7.13)

Durante l’ultima cena Gesù preparò i suoi discepoli allo scandalo della passione. La fine di un sogno. La morte di Dio. Il buio assoluto. Conosceva bene la fragilità del cuore dei Dodici. Non avrebbero retto alla croce né compreso la rivelazione di un amore verso chi nutriva progetti omicidi. Solo una forza speciale avrebbe consentito di vedere la luce filtrare attraverso le crepe. Ciò che mi stupisce è che Gesù sapeva di questa debolezza. Non fece nulla per evitare che Pietro lo rinnegasse e Giuda lo tradisse, se non l’andare fino in fondo, portare a termine la missione ricevuta dal Padre, amare i suoi fino alla fine.

Il turbamento dei discepoli è vicino al nostro, quando problemi seri e persistenti sembrano sopraffarci e pensiamo che Dio ci abbia abbandonato. Non siamo attrezzati ad affrontare l’imprevisto, l’ineludibile. Siamo fragili, pieni di paure. Gesù è consapevole delle nostre difficoltà, indica la via per affrontare il disagio e uscirne vittoriosi: “Quando sarò andato, vi manderò il Paraclito. Egli vi guiderà a tutta la verità” (Gv 16, 7.13). Promette lo Spirito, un dono straordinario, che apre al Mistero, illumina, commuove, rinvigorisce, sconvolge e nulla è più come prima. Pietro rilegge il suo rinnegamento come un evento di grazia, dove ha toccato con mano fino a che punto è stato amato. E piange pentito. Tommaso scorge nelle piaghe di Gesù la porta di accesso alla misericordia di Dio. E crede. Una nuova luce rischiara la cronaca dei fatti, registrata dai due discepoli di Emmaus, convinti com’erano che le cose avrebbero dovuto prendere tutt’altro corso. E corrono a Gerusalemme pieni di gioia a raccontare a tutti che hanno visto il Signore.

È lo Spirito che ci fa riconoscere la gloria di Dio nel Crocifisso e attesta al nostro cuore che vale la pena vivere nello stile di Gesù. È lo Spirito a sostenerci, quando il cuore è sopraffatto dall’angoscia e dalla solitudine. Quante situazioni umane inspiegabili, prive di senso, immotivate, irragionevoli! Il male, il dolore, la sofferenza, la morte sono enigmi indecifrabili e spesso li attraversiamo senza speranza. La luce interiore dello Spirito ce li fa vedere dalla prospettiva di Dio, secondo la quale non c’è scarto, ma tutto è prezioso, perché la sua opera si compia. Ciò che fa la differenza non è l’essere risparmiati dalla contraddizione, ma la consapevolezza che a guidarci, anche in quei gravi frangenti, è lo Spirito del Risorto. E ci porta là, perché la vita vinca la morte, la schiavitù ceda il passo alla libertà, il bene fiorisca sul terreno del male, la gioia esploda irrefrenabile. Guai a spegnere lo Spirito, altre logiche prenderebbero il sopravvento!

La sfida più dura dell’età della globalizzazione, causata dal Covid-19, non è ancora terminata. Era iniziata con lo slogan “Ne usciremo migliori”, sta continuando seminando rassegnazione e rabbia, anche se qualche spiraglio di luce sembra vedersi alla fine del tunnel. L’esperienza di un anno luttuoso, costellato da desolazioni ed errori, ha fatto emergere ferite personali, politiche, ecclesiali, per molto tempo taciute. Abbiamo bisogno dello Spirito per uscire dalla palude culturale che sta inghiottendo ogni speranza. Il nostro Arcivescovo Mons. Delpini ha detto qualche giorno fa: “Intendo lanciare un allarme: se il virus occupa tutti i discorsi, non si riesce a parlare d’altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e praticare la carità? Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza?”.

È ora di ricominciare, guardare avanti, sognare, aprirsi al futuro, immaginare. Mi viene alla mente la trama del romanzo di Emma Donoghue. Parla di una madre sequestrata e rinchiusa in un capanno, dove partorisce e cresce il figlio Jack. L’unico contatto col mondo esterno sono un lucernario e un televisore. Ma un bel giorno il ragazzo riesce fuggire e scopre la bellezza e l’immensità dell’universo. Un’immagine che mi ha colpito, quale meravigliosa metafora del dopo pandemia. Dal bianco e nero si passa al colore. Il ripetitivo: “Si è sempre fatto così” lascia il posto all’audacia del pioniere che apre nuovi sentieri. È un invito per noi cristiani a riaccendere la fiamma della speranza e ravvivare la fede un po’ spenta e addomesticata. La vita è un’avventura meravigliosa, dalla quale l’ombra di Dio non è mai assente. La gente è assetata di trascendenza e cerca Gesù Risorto. Sogno una Chiesa unita dalla volontà di rendere presente la Buona Notizia, radicata nella storia e libera dai suoi condizionamenti, aperta e sciolta al soffio dello Spirito, appassionata ad incarnare il Vangelo, indipendente dalle ideologie dominanti, spogliata dal potere politico, docile al Signore e alla sua Parola, sottomessa ai suoi legittimi pastori, vicina alla gente, povera tra i poveri, dalla parte della giustizia e di chi non ha voce, in ascolto dei giovani, impegnata a difendere l’ambiente, china su ogni sofferenza, che sente come sua, senza programmi e manie di grandezza. Una delle cose più belle del Vangelo è contemplare come Gesù rompe gli schemi e costringe gli altri a fare lo stesso. Si tratta di essere pronti a seguire il cambiamento dei tempi, lasciarsi portare nelle mani di Dio in un cammino che si impara a conoscere strada facendo, vivere con coraggio e gioia piena. È un percorso vertiginoso, rischioso, ma bello, come trovarsi nei mari aperti e navigare all’infinito.

La pandemia ha accelerato tutto, costringendoci a processi che già prima ci spingevano a uscire dalla nostra zona di comfort, a cambiare il modo di concepire la società. Di fronte ai bisogni urgenti dell’umanità non esistono risposte preconfezionate. Bisogna abbandonare le ideologie, i clichés, i metodi stereotipati per affrontare la novità, riportare la logica, dove è prevalsa la follia e l’arbitrarietà, scommettere sui principi di solidarietà e uguaglianza, sostituire un modello di sviluppo, che ha incubato il virus. L’ha ribadito Papa Francesco: “La nozione di ripresa non può accontentarsi di un ritorno a un modello diseguale e insostenibile di vita economica e sociale, dove una minuscola minoranza della popolazione possiede la metà della sua ricchezza”. Tempo, intelligenza e risorse ci sono affidati per condividerli e costruire un mondo più giusto.
Una nuova Pentecoste aiuterà l’uomo contemporaneo a progettare il futuro e quello che non è stato potrà essere. Il mio amato Soren Kierkegaard diceva che Dio è colui per cui le cose restano possibili. L’oggi è nelle nostre mani. La storia non è finita, è da scrivere, mettendo in essa un plus di umanità, la vita dello spirito. Esistono forze che spingono il mondo verso il non umano, ad accettare le morti per fame, a giustificare la violenza più bieca, a restare indifferenti davanti a milioni di bambini mai nati o costretti a combattere o resi oggetto di piacere. Il cristiano può annunciare una “sovraumanità” possibile, non come una volontà di potenza e di dominio, ma come quel Cristo, Figlio di Dio, che ci ha donato una eccedenza di cuore fino a farci servi della vita. Il mondo si può cambiare. Lo Spirito Creatore geme e ribolle in noi nell’impazienza di operare. Il cuore del Vangelo è l’amore e l’amore, quando è vero, è esplosivo.

don Franco Colombini