Sotto il Campanile 24 Aprile 2022

Pubblicato giorno 23 aprile 2022 - Avvisi, NOTIZIARIO

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II Domenica di Pasqua
24 Aprile 2022 – Foglio n. 182
L’irresistibile forza della verità disarmata
La morte di Gesù fu un trauma per i discepoli. I Vangeli raccontano che due di loro lasciarono Gerusalemme sconfortati, prendendo la via di Emmaus. Pietro con qualcuno dei Dodici tornò in Galilea a fare il pescatore. Gli altri stavano nel cenacolo a porte chiuse per timore dei Giudei (Gv 20, 19). C’era paura e delusione. Tommaso, a fronte dell’entusiasmo di coloro che avevano visto il Signore, rimase ancorato alle sue domande e perplessità. Non era uno scettico, amante del dubbio, nemmeno un incredulo. Anzi, in alcune occasioni aveva dimostrato coraggio ed entusiasmo. Questa volta, però, voleva vederci chiaro. Aveva bisogno di toccare con mano: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò” (Gv 20, 25).
Gesù lo accontentò. “Otto giorni dopo i discepoli erano ancora in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù a porte chiuse” (Gv 20, 24). Un gesto squisito di amicizia, di affetto, di calore umano. Gesù conosceva bene il cuore di Tommaso. Sapeva che moriva dalla voglia di rivedere e abbracciare il Maestro. Sognava di ritornare tutti insieme, riprendere il cammino, euforici come prima, disposti a gettarsi nel fuoco, consapevoli che i tempi nuovi erano iniziati. Gesù gli mostrò le mani e il costato, i segni dell’amore più grande. E Tommaso credette.
Mi viene alla mente quanto scrisse Boris Pasternack, l’autore del dottor Zivago: “ Penso che se la belva che dorme nell’uomo si potesse fermare con una minaccia – la minaccia della prigione o del castigo d’oltretomba, poco importa quale – , l’emblema più alto dell’umanità sarebbe un domatore da circo con la frusta e non un profeta che ha sacrificato se stesso. Ma la questione sta in questo, che, per secoli, non il bastone, ma una musica ha posto l’uomo al di sopra della bestia e l’ha portato in alto: una musica, l’irresistibile forza della verità disarmata, il potere d’attrazione del suo esempio”.
Gesù è “l’irresistibile forza della verità disarmata”, la musica che affascina, la pienezza verso cui tutti ci sentiamo attratti. Egli usò accenti forti, quando doveva aprire gli occhi ha chi aveva il cuore duro. Ma con parole mai sentite prima elaborò racconti per suggerire la bellezza di una esistenza splendida, spalancata all’infinito, docile al volere del Padre, tutta spesa al servizio della gente. Amò la giustizia, preferì i poveri, “come pecora muta di fronte ai suoi tosatori” sopportò la violenza di un tradimento e subì una ingiusta sentenza di morte.

Compì gesti coraggiosi per abbattere barriere. Sostenne con mitezza l’ostilità
di chi non la sopportava. La fede mi dice che ha vinto. È risorto. “Ecco l’uomo!”
Tra i racconti della tradizione legata ai padri del deserto c’è quello che narra la
vicenda di tre giovani monaci, che di frequente andavano a far visita a un uomo
di Dio anziano e saggio. Ogni volta due di loro ponevano domande impegnative
sulla salvezza dell’anima e il senso profondo delle cose, mentre il terzo se ne
stava in silenzio senza aprir bocca. A conclusione di uno di questi incontri, quando
i tre si erano alzati per prendere congedo, l’anziano si rivolse al taciturno: “I
tuoi compagni mi interrogano ogni volta e tu non parli mai. Perché?”. Il giovane
rispose: “Abbà, a me basta guardarti”.

È bellissimo! La musica, che porta in alto, non è la frusta del domatore di leoni,
ma l’esempio di uomini e donne che parlano vivendo. Presentano ai tempi amari
“l’irresistibile forza della verità disarmata”. Sono quelli che, solo a guardarli,
incantano, insegnano le cose fondamentali della vita, parlano di Dio, rivelano il
volto del Padre, fanno sentire i brividi della sua presenza. Così dovrebbe essere
ogni discepolo di Gesù .
“Essi sono nel mondo, ma non del mondo” (Gv 15, 18-21; 17, 14). I cristiani sono
diversi. Seguono il vangelo. Anche in questo tempo di guerra. L’aggressione
dell’Ucraina e la legittima difesa hanno aperto profonde ferite nelle coscienze
e nelle relazioni tra i popoli. Nelle nostre comunità si è tornato a pregare per
la pace, a riflettere sugli stili di vita nonviolenta, a ragionare sull’assurdità della
corsa agli armamenti. Una strada sbagliata che si continua a percorrere, toglie
risorse ai poveri, spacca l’umanità, frammentandola in blocchi contrapposti. Ci
ha lasciato col fiato sospeso prendere coscienza che pochi uomini, spesso dittatori
senza scrupoli, tengono in mano il destino del mondo. Usano il nucleare,
le fonti energetiche ed alimentari come armi di ricatto, per soddisfare la propria
cupidigia e ambizione di potere. Abbiamo avvertito il disagio quando ci è stato
ricordato che tanti altri conflitti nel mondo non hanno avuto la stessa attenzione
e l’accoglienza così generosa dei fratelli ucraini ha superato di gran lunga quelle
discussioni avvilenti sulle quote-paese, come se i profughi siriani, irakeni, afghani,
i poveri in fuga dalla miseria fossero rifiuti ingombranti da ripartire. Più che
mai urge un cristianesimo unito per il bene dei popoli e dei crocifissi della terra!
La pandemia ci ha procurato non pochi sacrifici. Anche questa guerra presto ci
presenterà il conto. Cesserà, se smetteremo di alimentarla. Per contrastare l’aggressore,
dovremo rinunciare a qualche comodità, al benessere, al quale siamo
assuefatti. La costruzione della pace passa dall’economia civile ed esige di far
agire la non violenza attiva accanto agli eserciti in campo, come migliaia di ucraini
fanno ogni giorno, resistendo nascosti, sventolando bandiere, cantando inni o
come migliaia di dissidenti russi continuano a testimoniare, andando in carcere
pur di manifestare il no alla guerra.
“Si vis pacem, para pacem. Se vuoi la pace, prepara la pace”. Sarà una scelta
feconda, se vissuta alla luce della Pasqua, che si conclude con la resurrezione
e non lascia alla morte l’ultima parola.
don Franco Colombini