Sotto il Campanile 24 Dicembre

Pubblicato giorno 22 dicembre 2023 - Avvisi, In home page, NOTIZIARIO

 

 

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NATALE DEL SIGNORE
25 Dicembre 2023 – Foglio n. 242
“Un bambino è nato per noi” (Is 9, 5)

A pochi chilometri da Gerusalemme, sulle colline ai margini del deserto di Giuda, si estende la città di Betlemme. Tante volte l’ho visitata e sempre mi ha lasciato dentro qualcosa di ineffabile, come avvenne per i pastori, che tornarono ai loro greggi “glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto” (Lc 2, 20). Ricordo una notte, camminando per le sue vie, nel silenzio assoluto, senza luci se non quelle appese nel cielo, sentii su di me lo sguardo di un Dio povero che scelse la piccolezza, la semplicità, e si fece bambino per venire nella quotidianità dell’esperienza umana. In quel momento ogni grandezza perse il suo fascino e sorse nell’animo la voglia intensa di scomparire nelle trame della gente per essere il compagno di strada che distribuisce l’amore.

Il primo viaggio da pellegrino lo feci nel 1984 con i miei compagni di seminario per ricordare il decennio della nostra Ordinazione Sacerdotale. Era il mese di aprile, i giorni dopo Pasqua. Nella grotta del campo dei pastori, simile a quella dove nacque Gesù, pregammo e cantammo “Astro del ciel”. Quale sorpresa quando alle nostre voci si unirono quelle dei gruppi francesi, spagnoli, polacchi, tedeschi, slavi, americani, indiani, arabi, vietnamiti … . Ognuno lodava Dio nella sua lingua. Una dolcezza e una gioia indescrivibili. Ci abbracciammo come fratelli e sorelle contenti di rivedersi dopo tanto tempo e condividemmo il panettone che avevamo portato da Milano. Sotto i nostri occhi si era avverato il miracolo della pace. Non erano stati necessari i grandi di questo mondo. Era bastato Gesù!

Nell’antica Basilica della Natività si entra attraverso una piccola porta. Bisogna inchinarsi, abbassarsi, ritornare bambini. Appena varcata la soglia, mi trovai alla presenza di un Mistero infinitamente grande. Le invasioni, che portarono distruzione in tutta la Terra Santa, qui si sono fermate e non recarono oltraggio alla sua austera bellezza. Il Bambino di Betlemme segnò la resa alla violenza della conquista. La stella, che aveva illuminato la Notte Santa, ora in terra indicava il punto esatto dove “il Verbo si fece carne” (Gv 1, 14) e, lì vicino, la mangiatoia, la prima casa di Gesù. La debolezza è davvero la forza di Dio! La sua voce mi invitava a indossare il grembiule del servizio, mentre mi risuonavano nel cuore le parole del Vangelo: “Chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10, 43-44). L’abnegazione e la ricerca dell’ultimo posto mi si aprirono davanti come una strada straordinariamente bella da percorrere.
Ora, mentre ripenso a tutto questo davanti al presepe, avverto un po’ di malinconia simile a quella che provò Etty Hillesum, la giovane ebrea olandese, morta a Auschwitz, quando nascosta in una soffitta di Amsterdam vedeva i rastrellamenti per le strade e i treni partire carichi di Ebrei per una destinazione ignota: come è possibile vivere in tanta pace, mentre attorno preme la ferocia? Gaza, Kiev, le coste libiche, le acque gelide del Mediterraneo, i conflitti dimenticati, le guerre civili, la fame e la miseria, l’alcool e la droga, il mondo spaccato, la morte di Dio … “In una notte come questa – scriveva Etty, guardando quei treni andare allo sterminio – bisognerebbe soltanto inginocchiarsi e pregare”.

È quello che dovremmo fare anche noi. Un riflessione molto bella del teologo Bruno Forte sul primo presepe, ideato da S. Francesco d’Assisi nel 1223, ci aiuta a entrare nel mistero del Natale e accoglierlo.

PRESEPE, IL “VANGELO IN DIALETTO”
L’incontro di due protagonisti, il divino e l’umano, congiunti in una storia d’amore che dona vita e pienezza a ogni vita: è questo il messaggio che il presepe racconta. Una narrazione di cui c’è bisogno oggi almeno come ce n’era quando nel 1223 Francesco d’Assisi, per la prima volta, rievocò a Greccio la scena della Natività. Oggi come allora l’uomo ha bisogno di Dio: oggi, forse ancor più che allora c’è sete di un amore che vinca la “folla delle solitudini” e stemperi l’accanirsi dei conflitti. Il presepe oggi più che mai si offre come un annuncio di pace e di speranza, che può parlare al cuore di tutti. Forse nessuno più di Sant’Alfonso de’ Liguori ne ha saputo attualizzare il messaggio per l’oggi degli uomini: lo ha fatto con la densità poetica di uno dei suoi testi più belli, Quando nascette Ninno, che ha avuto un’enorme diffusione, collegato al canto natalizio che da esso proviene ed è universalmente conosciuto: Tu scendi dalle stelle.

Era una notte luminosa e bella quella in cui tutto cambiò per la storia del mondo: e l’universalità dell’annuncio raggiunse i confini della terra, quell’Oriente da cui nell’immaginario comune tutto nasce come il sole all’aurora. Una gioia nuova e misteriosa sembrò inondare i cuori, e perfino gli animali e l’intero Creato vollero far festa con sentimenti di esultanza del tutto inediti: un Bambino è nato per noi, piccolo e bisognoso di calore e d’amore come ogni bambino della storia, ma gli Angeli annunciano al mondo che in quel Piccolo l’infinito Amore viene a offrirsi per noi, che perciò l’uomo non è più solo, ha anzi la certezza di essere amato accompagnato dall’Emmanuele, il Dio con noi, sole che illumina ogni notte e la fa giorno di nuova vita e di gioiosa speranza. Il divino è rappresentato nel presepe dalla scena che dà senso a tutte le altre: il mistero dell’Incarnazione. Essa comprende le figure del Bambino, di Maria e di Giuseppe, affiancati dal bue e dall’asinello, e la mangiatoia (praesepium), che dà il nome all’insieme. Che si sia di fronte al luogo in cui l’Eterno sta entrando nel tempo è indicato dal roteare degli angeli, impegnati a cantare la gioia del cielo che viene ad abbracciare e ad abitare la terra. Che un nuovo inizio si compia è figurato dalle colonne del tempio in rovina, gloria della classicità ormai compiuta e superata dall’avvento del divino venuto nella carne, per noi, fra noi.

Le fattezze dei personaggi sono tutte orientate a far risaltare questa novità tanto grande e importante per la vita degli uomini nell’oggi e per l’eternità: la tenerezza del Bambino, la soavità della Madre, la serietà di Giuseppe, perfino un certo portamento dell’asinello e del bue, non privi di un “physique du role” adeguato alla scena, convergono nel dire che la gloria che viene a manifestarsi nei poveri segni della storia è sovrabbondanza di amore, di gratuità e di misericordia. L’altro protagonista del Presepe, l’umano, è rappresentato in tutta la varietà delle sue espressioni: al primo posto, i pastori, i poveri aperti alle sorprese di Dio, ai quali l’angelo porta
l’annuncio; poi i Magi, figura di tutte le “genti” raggiunte dalla luce della stella; e, infine, l’umanità indifferente e distratta, rappresentata dagli ospiti della locanda. Quest’ultima categoria, la più largamente umana, è descritta nel presepe con toni di bonarietà e di misericordia, quasi a farla partecipe – perfino suo malgrado – della festa di tutto il Creato. La rappresentazione dei “pastori”, raggiunti dall’annuncio, è quanto mai dolce e partecipata: quelli che hanno come casa la natura e come tetto il cielo, e la cui unica sicurezza è affidata all’umile fatica dei giorni, appaiono i destinatari prediletti della buona novella.

A essi si congiunge il vasto mondo delle“genti”, significato dai Magi, rappresentati per lo più come un ragazzo, un vecchio e un giovane, dal diverso colore della pelle, a comprendere la varietà dei popoli e
delle stagioni della vita, a cui è destinato il Vangelo. L’abbraccio della natività del Dio con noi si estende al non meno affollato mondo degli animali: il presepe ne ospita di ogni specie, come se anche per loro si celebrasse la festa di un nuovo inizio. In realtà, è tutta la natura ad accogliere il Redentore del mondo:

le intuizioni della più antica teologia cristiana, per la quale Cristo è il centro e il fine del cosmo (Col 1, 15s), sono presenti nel presepe come un invito ante litteram alla spiritualità ecologica, sollecita della
custodia del Creato.

don Franco Colombini