Sotto il campanile 24 maggio

Pubblicato giorno 22 maggio 2020 - Avvisi, NOTIZIARIO

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VII Domenica di Pasqua
24 Maggio 2020 – Foglio n. 114
Si aprirono gli occhi e lo riconobbero (Lc 24, 31)

Ogni volta che leggo l’episodio dei due discepoli di Emmaus, mi colpisce la trasformazione interiore, che hanno avuto. Immagino i primi credenti riuniti con gli Undici, mentre risuona l’annuncio che davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone. Mi pare di vedere la comunità esultare di gioia incontenibile. Una esplosione che ho visto nei viaggi missionari in Africa. Ricordo quando il parroco di Murhesa mi invitò al Consiglio Pastorale. Tutti i membri erano riuniti in silenzio, molto seri, un po’ timidi, quasi impacciati, per la mia presenza. Succede di rado che un prete bianco passi e si fermi in quella terra lontana, sul lago Kivu, tra il Congo e il Ruanda, segnata da lotte fratricide tra Hutu e Tutsi. La violenza non aveva risparmiato nemmeno i Vescovi, due di quali erano stati uccisi, uno per avvelenamento, l’altro trucidato col machete e abbandonato nella foresta. Io chiesi di raccontarmi qualcosa di loro, di parlarmi dei problemi della parrocchia, dei tentativi di riconciliazione, dei rischi che correvano a motivo del Vangelo, delle difficoltà a vivere in pace, dell’aiuto ai più poveri, soprattutto agli orfani e ai malati di Aids. Uno si alzò e disse: “Vedi, noi siamo in tanti. C’è l’Azione Cattolica, le Figlie di Maria, la Caritas, gli operatori Liturgici, i catechisti, … . Proveniamo da etnie diverse, le nostre tribù non hanno radici comuni, però ci vogliamo bene”. E cominciò a battere le mani e a ballare in mezzo alla sala. Tutti quanti, uno dopo l’altro, si alzarono e si misero a danzare insieme. Fu uno spettacolo meraviglioso! È stato il loro modo di pregare. Poi si è parlato, si è discusso, ci siamo detti tante cose. Nessuno aveva premura di tornare a casa. Ho toccato con mano l’esultanza di una comunità, felice di essere unita, più che preoccupata per i gravi problemi, che la tormentavano. Non fu difficile per me ricordare le parole di Luca negli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola” (At 4, 32).

Ho incontrato per la prima volta Mario Ramirez, un giovane peruviano di 25 anni, nel carcere di Opera. Veniva da un’esperienza lontana dal Vangelo. Era cresciuto sulle strade di Lima, abbandonato dai genitori. Per tirare avanti ricorreva a espedienti, che a lunga andare gli procurarono molti nemici e tanti rischi. Fu arrestato per traffico internazionale di stupefacenti. Un giorno mi chiese la Bibbia. Non so per quale motivo si era messo in mente di leggerla. Mi accorsi ben presto che faceva sul serio. Divorava quelle pagine con avidità. Sottolineava le parole, scriveva a matita le riflessioni, si poneva infinite domande. Mi chiedeva spiegazioni, chiarimenti, confronti, che scavavano sempre più nel profondo. Si era innamorato di quelle pagine. Dopo alcuni mesi volle essere confessato. Si sentiva pronto. Con un candore quasi infantile mi confidò: “ Mi sembra di essere rinato. Ricomincio a vivere. Tutto mi appare nuovo, grande, più bello. Vedo la vita con un altro sguardo”. Il Cardinale Martini, attento al mondo penitenziario, lo volle come testimone all’Assemblea di Sichem. Dinanzi a migliaia di giovani Mario raccontò la sua storia. “In carcere i mesi si susseguivano con lentezza. Il tempo si fece eterno. Soffrivo. Più soffrivo e più mi allontanavo da Dio. La tristezza, la solitudine, il rimorso, la paura, le umiliazioni del carcere mi portarono al limite dell’esasperazione. Più volte pensai che era meglio la morte alla vita. Finché una notte ebbi proprio la sensazione di essere arrivato alla fine. Non ne potevo più. In quel momento, non so come, nel buio della galera e di me stesso, mi ritrovai in ginocchio e lentamente incominciai a pregare. Non capivo il perché, mi stupivo di quella posizione, ma qualcosa dentro mi spingeva a continuare. Poi, all’improvviso, ho sentito la sua presenza. Ho visto una luce che rischiarava il mio cuore e gli dava pace. Lui, Gesù, era con me. Piansi e chiesi perdono dei miei peccati”. Le parole di Mario caddero nel silenzio più assoluto. Anche i respiri si erano fermati per ascoltare. Poi la folla dei giovani, rispondendo a un impulso interiore incontenibile, si avvicinò per abbracciarlo. Io ero al suo fianco con i quattro carabinieri di custodia, stupiti da tanto affetto. Vidi il volto bello della Chiesa, che si raccoglie attorno ai testimoni del Cristo Risorto, per gioire e rendere grazie. Proprio come era avvenuto per i discepoli di Emmaus al ritorno a Gerusalemme.

Da qualche giorno è ripresa la celebrazione della Messa. Ho notato con stupore la presenza di tante persone. Più di prima. Ci è costato molto sospenderle durante il lockdown della pandemia a salvaguardia della salute pubblica. Per noi non è un semplice rito o la memoria di un evento passato. Nell’Eucaristia incontriamo il Signore Risorto. Qualcosa di incredibile, inaudito, che rasenta la follia. Ma è questa la meraviglia del messaggio cristiano: Dio è entrato nel mondo, facendosi uomo. La morte non l’ha imprigionato. È risorto! Vive nella storia. Continua ad amare, accarezzare, parlare, chiamare, guarire, risanare. In lui vediamo in una luce nuova, come uscire dalla notte e contemplare all’alba, quando apre l’orizzonte, la vivacità dei colori, la maestà delle cime, la vastità delle campagne, il candore delle nevi, l’oro biondeggiante delle messi, il verde smagliante dei prati, il turchino del cielo. L’incontro con Gesù è la stessa cosa. Riempie di ardore, suscita il gusto della vita e il desiderio di stare insieme, apre il cuore all’amore fraterno, al perdono, alla comprensione, spinge a cercare i lontani, a chinarsi sugli ammalati, a prendersi cura dei poveri, a impegnarsi per la pace e la giustizia, coinvolge nella sua stessa carità senza misura né frontiere, ci unisce nella gioia della comunità.
In ogni Eucaristia riconosciamo Gesù e sperimentiamo le parole dei discepoli di Emmaus: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24, 32). La Messa è l’eterno creare di Dio, che cambiando l’uomo, rinnova la faccia della terra. In questo periodo abbiamo pianto oltre trentamila morti, come se da inizio marzo ogni giorno fosse caduto un Boing 747 pieno zeppo di passeggeri. Il fuoco dello Spirito ci brucia dentro. Davanti a noi ci sono vite umane, un tessuto economico lacerato e un Paese da ricostruire.
Giocando insieme e confidando nella presenza di Colui che ha vinto la morte, ce la potremo fare.

don Franco Colombini