Sotto il Campanile 25 aprile

Pubblicato giorno 24 aprile 2021 - Avvisi, NOTIZIARIO

 

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IV DOMENICA di PASQUA

25 Aprile 2021 – Foglio n. 148

Non muore l’Amore!

È la domenica del buon pastore. Un’immagine familiare a Gesù. Chissà quante volte si sarà fermato a guardare le pecore sulle colline di Galilea e osservare la cura e l’attenzione dei pastori! Le conoscevano ad una ad una, le chiamavano per nome, sapevamo difficoltà e sofferenze, le soccorrevano, alleviavano la fatica delle gravidi, calcolavano la marcia al passo delle più deboli, sostavano ad aspettare quelle stanche, cercavano le disperse. Sceglievano i pascoli migliori e le acque più limpide. Prendevano tra le braccia e sulle spalle gli agnelli tremanti e ancora fragili. Vigilavano giorno e notte, al caldo dell’estate e al gelo dell’inverno, per difenderle dagli assalti dei lupi e dalle mani dei ladri. Erano come tante figlie e figli. Ci mettevano il cuore e la vita. Il gregge era “tutto” per loro. Gesù dice di amarci così e così vuole i suoi preti. Oggi la chiesa prega per le vocazioni sacerdotali. Non è poesia.

È amore fino alla fine per la propria gente. In questa domenica 25 Aprile voglio ricordare don Aldo Mei, un martire della Resistenza, il 34nne parroco di Fiano, fucilato all’alba del 4 luglio a Lucca dai nazifascisti per avere dato asilo, tra gli altri, a un giovane ebreo. Era l’estate del 1944, “anno terribile” di scontri fra tedeschi e alleati lungo la Linea Gotica. La controffensiva antipartigiana della Wehrmacht, sostenuta dalle milizie fasciste, dava la caccia ai combattenti alla macchia e puniva con la morte chi si prendeva cura di loro, assisteva i feriti, nascondeva i ricercati, offriva cibo e soccorso. Si sfogava contro la popolazione inerme, condannata a subire stragi terribili e immotivate, come quella di Monte Sole. Don Mei si era dato alla causa della protezione dei perseguitati con l’approvazione del suo vescovo Mons. Antonio Torrini.

Accoglieva tutti, ebrei, disertori, militari sban- dati italiani e stranieri Quel giorno, tra i tanti, ospitò un giovane ebreo, Adolfo Cremisi. Il padre e il nonno erano già stati deportati ad Auschwitz. Ci fu una soffiata. Il mattino del 2 agosto le SS irruppero nella casa parrocchiale, la perquisirono e scovarono il giovane ebreo. Lo arrestarono insieme a don Mei e altre trenta persone. Il processo fu sbrigativo. Il giovane sacerdote venne condannato alla fucilazione, eseguita all’al- ba del 4 agosto, dopo essere stato costretto a scavarsi la fossa. Gli sforzi di Mons. Turrini a salvargli la vita non servirono a nulla. Nella cella don Aldo scrisse un messaggio ai genitori, che lasciò dentro il libro di preghiere. “Babbo e mamma, state tranquilli, sono sereno in quest’ora solenne. In coscienza non ho commesso delitti. Solamente ho amato come mi è stato possibile. Condanna a morte: 1° per aver protetto e nascosto un giovane di cui volevo salvare l’anima; 2° per aver amministrato i sacramenti ai partigiani e cioè per aver fatto il prete. Il terzo motivo non è nobile come i precedenti: aver nascosto la radio. Muoio tra volto dalla tenebrosa bufera dell’odio, io che non ho voluto vivere che per amore! Deus charitas est e Dio non muore. Non muore l’Amore! Muoio pregando per coloro stessi che mi uccidono”. Prima dell’esecuzione don Aldo benedì i suoi fucilatori. A noi resta quell’esclamazione straordinaria. Riassume tutta la sua vita, la storia di un pastore secondo il cuore di Dio, che “dopo aver amato i suoi, li amò sino alla fine” (Gv 13, 1). “Non muore l’Amore!”.

La preghiera e il cuore delle centinaia di preti assassinati ieri dalla rabbia nazifascista e oggi dalla più bieca violenza, che in ogni parte del mondo odia la giustizia, la libertà, la verità. Mi piacerebbe assomigliare a loro nella testimonianza della vita! La Resistenza è una parte dell’anima. Quella dei martiri e quella di donne e uomini che non si piegarono al più forte né cedettero allo sconforto e alle lusinghe. Rimasero in piedi aggrappati al bene. E vinsero per tutti. Il coronavirus è dannoso, tremendo, fa tanti morti, ma il virus che non ci salva, ci abbatte, ci ammorba è la malattia dell’anima, che uccide l’amore. In questa giornata mi viene spontaneo ricordare mio papà. Passò due lunghi interminabili anni di guerra in Russia, ignaro dei campi di sterminio, la Shoa, i forni crematoi, le mutilazioni, gli esperimenti su cavie umane. “Quando la Wehrmacht sferrò l’attacco all’Unione Sovietica, varcò i confini e puntò con le colonne corazzate su Mosca, arrivando a un tiro di cannone io ero là e combattevo al loro fianco. Se ce l’avessimo fatta?”. Esprimeva questa triste considerazione con immane sofferenza e tanta paura. Una guerra senza amore. Giovani ingannati e mandati al massacro. Mai più tornati. Uno sterminio. L’insurrezione generale del 25 Aprile fu un gesto coraggioso, eroico, temerario. Per chi aveva visto i regimi dittatoriali dispiegare tutto il loro potere disumano quel giorno “nel nostro cervello – scrisse Primo Levi, imprigionato nel Lager – i ricordi delle grandi salvazioni bibliche arrivarono come un vento”. Il motore più potente della storia è l’amore. “Ribelli per amore”.

“Ero una ragazza dell’Azione Cattolica di nemmeno sedici anni. Vedendo quelle persone impiccate nella piazza del mio paese, ho deciso di prendere la bicicletta e raggiungere mio padre e i miei amici alla macchia”. È la testimonianza di Tina Anselmi. Con lei tanti giovani cattolici, dopo il radiomessaggio di Pio XII del Natale 1943, presero la decisione di unirsi ai combattenti. Alcuni scelsero addirittura di farlo senza armi. Tra loro tre futuri padri costituenti: Giuseppe Dossetti, Pasquale Marconi, Benigno Zaccagnini, che nella fondina al posto della rivoltella teneva il Rosario. E poi le parrocchie, i conventi, i monasteri … tutti al servizio della vita a scapito della propria. L’amore può tutto. Spinge a lottare contro le ingiustizie, le violenze, le dittature. Ha animato la Resistenza e ci ha consegnato la libertà. Un dono sacro, da non perdere mai. In questo tempo oscuro, difficile e drammatico dobbiamo gestire il presente, pensando al futuro con lo stesso spirito di don Zeno Saltini, il fondatore di Nomadelfia, che all’indoma- ni della guerra entrò nel campo di Fossoli con un esercito di ragazzi orfani, abbattendo muri e fili spinati, portando serenità e voglia di vivere là dove c’erano stati dolore e morte. Un Paese non è un’azienda. È una comunità di vite, di speranze, di culture, che diventa grande quanto più abbatte muri e diffidenze. Serve coraggio per contrastare le disugua- glianze, rinnovare la politica, operare oltre la logica dei profitti, mettere l’economia al servizio del bene comune, lasciare la strada distruttiva dell’individualismo, riconoscere la nostra comune appartenenza alla famiglia umana e affrontare i suoi bisogni fondamenta- li: casa, lavoro, istruzione, salute, cura del corpo, dell’ambiente e soprattutto dell’anima. Penso ai giovani in cerca di impiego, agli anziani soli e dimenticati, al vergognoso Olocausto dei migranti, vittime dell’egoismo e dell’indifferenza globali. Mio papà, il popolo della Resistenza, i Padri della Comunità Europea sognavano un mondo dove la dignità e la libertà delle persone fossero il valore fondamentale, inestimabile, mai negoziabile o sottomesso ai parametri del “mercato”. Qualcuno afferma: dopo la pandemia, mai più il mondo di prima! Ma dovremo lavorare sodo. Percorrere le vie dell’amore. E crederci.

don Franco Colombini